Un’aura potentemente suggestiva circonda da
sempre l’antica Sparta. È un luminoso mattino
di settembre e dalla terrazza più occidentale
dell’acropoli si vede il Taigeto schierare la sua
barriera in un maestoso dispiegamento, e Sparta
adagiata ai suoi piedi.
La città appare ancora rassegnata, in una grata
accettazione del dominio delle cime che sancirono
verso occidente i limiti del suo abitare. Dalla
parte opposta, a est, la delimitano le anse del
suo fiume Eurota. Ci attrae la sua apertura: la più
aperta città della Grecia, l’unica polis senza mura,
«abitata per villaggi secondo l’antico modo della
Grecia»: così Tucidide (I.10.2) ne fissò per sempre
l’eikós, l’aspetto.