Lungo la Via Licia, in Turchia, esistono innumerevoli siti archeologici con resti di notevole importanza. Tra essi troviamo l’acquedotto a sifone invertito di Delikkemer vicino Patara.
Patara, anticamente chiamata Arsinoe, fu una fiorente città marittima e commerciale nella costa sud-ovest della Licia. Affacciata sul Mediterraneo era tra le città principali dell’antica Lega Licia, un primo esempio di un insieme di città-stato democraticamente organizzato con l’innovativa rappresentanza proporzionale presso un governo centrale, che in seguito fu di ispirazione ai padri fondatori degli Stati Uniti d’America per la redazione della Costituzione.
Nel 43 d.C., dopo circa un secolo di fedeltà a Roma, la Licia divenne una provincia romana, pur mantenendo un’ampia autonomia, e un importante punto di riferimento del commercio marittimo nel Mediterraneo, in particolare per il commercio del grano egiziano.
Quando i Romani si stanziarono su queste terre dovettero garantire un adeguato approvvigionamento idrico per soddisfare le esigenze della città e per alimentare i diversi edifici termali costruiti. Non poteva mancare neppure un arco monumentale.
Fu così che, sotto il regno di Claudio, dal 41 al 54 d.C. fu costruito un acquedotto di 22,5 km in grado di trasportare l’acqua dalle sorgenti di montagna alla città. Per attraversare la campata fu costruito un muro ciclopico dello spessore di 3 metri per un’altezza di 10, così da sostenere il ventre del sifone invertito.
Il sistema idrico però fu distrutto da un grande terremoto nel 68 d.C. e, sulla base del materiale frammentario rinvenuto nel sito, si è appreso che era costituito da più canali paralleli formati da tubi in ceramica. L’analisi dei depositi di carbonato sui frammenti dei tubi in ceramica indica che l’acquedotto originale fu attivo per 17 anni, a partire dal 51-52 d.C. Le iscrizioni sui blocchi bugnati incorporati nel muro documentano il restauro della struttura avvenuto sotto Vespasiano dal 69 al 79 d.C. e spiegano inoltre che l’opera di manutenzione fu eseguita evitando che tasse e pagamenti aggiuntivi gravassero sulla cittadinanza locale. Il merito venne attribuito agli amministratori romani del luogo che agirono per conto dell’imperatore.
Il restauro di epoca vespasiana ha visto la sostituzione della conduttura originaria in ceramica con quasi 200 grandi blocchi bugnati di calcare traforato e ad incastro posti sulla sommità del muro e fissati tra loro con morsetti metallici. Il sifone invertito, detto anche sifone rovescio, veniva utilizzato nel caso in cui il percorso dell’acquedotto si trovava a dover superare valli molto profonde e ampie, il superamento delle quali avrebbe comportato altrimenti un costo eccessivo.
Il suo funzionamento si basa sul principio dei vasi comunicanti. L’acqua in arrivo riempiva un serbatoio da cui dipartiva un condotto in forte pendenza verso valle raggiungendo ad alta velocità la parte più bassa del sistema, il ventre del sifone, per risalire poi l’altro versante fino a raggiungere un secondo serbatoio posto a una quota inferiore rispetto al precedente. Da questo secondo serbatoio riprendeva il normale percorso dell’acqua verso la città.
Affinché il sifone funzioni il condotto deve essere perfettamente a tenuta stagna in ogni sua parte e considerando la forte pressione esercitata dall’acqua, da calcolare in base all’altezza tra il serbatoio e il ventre del sifone, non è una cosa semplice. Nell’acquedotto di Patara ogni blocco pesa quasi 900 kg con una dimensione di 90x90x50 cm e il foro centrale presenta un diametro di 30 cm. I blocchi si incastrano perfettamente l’un l’altro e, sigillati con cemento idraulico, assolvono perfettamente al loro compito garantendo una perfetta tenuta stagna.
Inoltre, alcuni degli elementi bugnati sono dotati di fori aggiuntivi per facilitare la pulizia del condotto senza dover separare gruppi di blocchi.
Insomma, non si può che rimanere affascinati nell’ammirare questa grande opera d’ingegneria idraulica che da un paio di millenni si snoda come un enorme serpente di pietra lungo il dorso delle colline turche.
Fonte e foto: romanaqueducts, Electrum Magazine