È stata da pochi giorni divulgata dall’Università di Pisa la notizia di un clamoroso ritrovamento, avvenuto durante l’ultima campagna di scavi presso l’antica città di Doliche. Fondato da coloni greci provenienti dalla Tessaglia in epoca seleucide (III secolo a.C.), questo piccolo insediamento si trovava entro i confini del Regno di Commagene, un piccolo potentato dell’Anatolia sud-orientale, di cultura fortemente ellenistica e presto inglobato dall’espansione dell’Impero Romano.
Sebbene nota per un particolare culto di Zeus/Giove (lo “Zeus Dolicheno”) e, più tardi, per la presenza di un vescovado, Doliche non ebbe mai un ruolo di primo piano nelle vicende storiche della sua regione; essa venne probabilmente distrutta da un’incursione dei Sasanidi, guidati dal loro re Shapur I nel 253 d.C. Durante questa devastante campagna militare (che portò Roma a perdere una grande fetta dei suoi domini in Oriente, poi lentamente riconquistati), i Sasanidi conquistarono e saccheggiarono un gran numero di città siriane e anatoliche, seminando morte e distruzione. Eppure, è proprio grazie a questo evento traumatico che gli archeologi hanno potuto effettuare la loro ultima scoperta.
La città era stata indagata per la prima volta da una missione archeologica tedesca negli anni ’70; sempre un ateneo tedesco, a partire dal 2015, ha ripreso gli scavi nella zona, portando alla luce alcuni imponenti costruzioni, tra cui delle terme imperiali. È stato ampliando questi scavi che gli archeologi pisani, in collaborazione con l’ateneo di Münster e sotto la guida congiunta dei proff. Margherita Facella e Michael Blömer, hanno rinvenuto un altro grande edificio pubblico, identificato poi come “archivio cittadino” tramite la strepitosa raccolta di oltre 2000 bullae, o “impronte di sigillo”. Questi importantissimi reperti consistono in piccoli grumi d’argilla, su cui è riportata come fosse un timbro l’impronta di anelli, sigilli e altri strumenti amministrativi; essi servivano a sigillare documenti, garantendone l’integrità e la segretezza.
La loro estrema, innata fragilità, li rende difficili da ritrovare, conservare e decifrare in condizioni normali; tuttavia, in questo caso l’incendio che ha portato alla distruzione dei documenti che essi sigillavano, ha involontariamente causato la cottura dei grumi d’argilla, rendendoli più resistenti e consentendo agli archeologi di rinvenirli in ottime condizioni. Come spiegato dallo studioso Touraj Daryaee, “i nuovi reperti rinvenuti raccontano l’imperialismo, la religione e la cultura dell’antico Impero Romano”, attraverso le immagini impresse nell’argilla. Quando le impronte appartengono a sigilli di amministratori pubblici, esse spesso raffigurano divinità ed entità legate alla città di Doliche, tra cui spicca naturalmente il già citato “Zeus Dolicheno”; più vario invece il repertorio iconografico dei sigilli appartenuti a privati cittadini.
La prof.ssa Facella si è detta estremamente felice “dei risultati raggiunti da questa prima campagna di scavo” e, nel ringraziare l’Ateneo pisano e il personale che ha consentito lo svolgimento delle indagini, ha posto l’attenzione sull’importanza che ha avuto e potrebbe ancora avere la missione archeologica per la regione in cui si è svolta. “È anche importante – ha commentato – che il progetto interessi una zona recentemente colpita da un devastante terremoto, in cui l’investimento di risorse è di sicuro aiuto per la popolazione, che ha trovato nelle strutture della missione archeologica un rifugio e da parte del gruppo di ricerca un aiuto concreto. La valorizzazione del patrimonio archeologico a fini turistici sarebbe poi indubbiamente un apporto significativo alla ripresa di questa regione”.