Pochi giorni fa il Concilio Supremo delle Antichità Egiziane ha annunciato il “progetto del secolo”, ovvero lo studio e il restauro dei blocchi in granito della piramide di Micerino a Giza, con l’obiettivo di riportare il monumento funerario al suo antico e originale splendore rimettendo in opera i blocchi caduti. Il tutto all’interno di un progetto della durata di tre anni che prevede una collaborazione tra il Ministero egiziano e un gruppo di ricerca giapponese. Ma si tratta davvero di “un dono dell’Egitto al mondo del XXI secolo”?
La piramide di Micerino appare oggi, così come già dal Medioevo, priva del rivestimento esterno costituito da blocchi di granito che dovevano far apparire il monumento lucente e ancora più spettacolare una volta colpito dai raggi del sole. L’obiettivo del progetto, quindi, sarebbe quello di riportare l’antico splendore, sfruttando proprio i blocchi che si trovano alla base della piramide e che sono attualmente visibili dai turisti.
Studiosi, ricercatori e archeologi stanno discutendo circa il senso di questa operazione: come ha affermato anche Salima Ikram, direttrice del dipartimento di egittologia dell’Università americana del Cairo, scansionare e documentare i blocchi di granito caduti a terra è un lavoro molto utile, sia per gli studi attuali riguardanti le tecnologie costruttive, sia per quelli futuri, ma rimettere in opera i blocchi, forse, non è un’operazione così condivisibile.
Non bisogna infatti confondere le operazioni di studio con l’anastilosi, ovvero la ricostruzione di edifici antichi mediante i pezzi originali degli stessi: secondo C. Brandi, padre del restauro moderno, ogni ogni opera è irripetibile, unica nella sua collocazione spazio-temporale e ha la capacità di assumere il ruolo di testimonianza storica. Il restauro, quindi, non deve cancellare le tracce del tempo, della storicità di un’opera. Ricollocare sul corpo della piramide i blocchi in granito sarebbe come cancellare le tracce del tempo e il ruolo storico che questi blocchi hanno avuto: molti sono stati recuperati durante il Medioevo e utilizzati come materiali da costruzione per le vicine città, molti altri sono ora degradati a causa degli agenti atmosferici, di altri, invece, non si è nemmeno sicuri dell’effettiva origine.
Si può, dunque, poste tali premesse, pensare di riportare all’antico splendore un monumento che costituisce un esempio straordinario di arte, storia, vicende politiche e sociali così com’è?
Riguardo l’articolo sulla ricostruzione della piramide di Micerino, a mio modestissimo parere sarebbe meraviglioso riuscire a riportare il monumento alla sua bellezza originale, naturalmente si dovrebbe fare utilizzando i frammenti esistenti ed evidenziando quelli nuovi aggiunti dopo per non creare falsi storici; un po’ come stanno facendo con il Partenone ad Atene. Oggi si ha la presunzione del presente come periodo unico valido e tutto ciò che si trova deve essere lasciato nella situazione attuale. Secondo questo modo di vedere, non ci dovrebbe essere il campanile di San Marco a Venezia e la Cattedrale di Noto crollati per eventi naturali. Nella mia Siracusa ci sono i resti della più grande opera di fortificazione del mondo greco antico, parlo delle mura Dionigiane e del Castello Eurialo. Anche in questo caso si potrebbe intervenire ricostruendo anche solo parzialmente l’imponente opera utilizzando i blocchi di pietra caduti che sono ancora là. Purtroppo, a causa del pensiero dominante attuale, abbiamo dei meravigliosi monumenti che sembrano cumuli di macerie dopo un terremoto che non riescono a fornirci, pur potendolo, una testimonianza storica valida e comprensibile per tutti.
Da appassionato e amante dell’antico Egitto sono più che d’accordo per la rimessa in opera dei resti. Abbiamo ricostruito Dresda, avanti con Micerino