La ricchezza storica del territorio siculo ha lasciato ai posteri numerosi segni del suo verificarsi, con opere e monumenti che talvolta non ricevono l’enfasi e la fama che meriterebbero. È questo il caso della Chiesa di Santa Maria della Valle, struttura medievale posta alla base dei colli che sovrastano la città di Messina: essa rappresenta l’antica porta dei Peloritani rivolta alla storica via Francigena.
L’edificio ecclesiale, altresì definito Chiesa di S. Maria della Scala o comunemente Badiazza, era parte di un monastero femminile e fu edificato probabilmente nel secolo XI sui resti di costruzioni tardo-romane risalenti al V-VI secolo, come sostenuto dallo storico dell’arte Enrico Calandra, benché vi siano opinioni divergenti a riguardo. Infatti la sua storia è alquanto incerta e ciò ha dato origine a due ipotesi predominanti: la tesi di una comunità monastica benedettina, la cui nascita risale alle fine dell’XI sec. – prima metà del XII sec. in epoca normanna, si oppone alla tesi di una comunità cistercense sorta tra il 1133 ed il 1168 – inizi del Duecento. L’aspetto vago del sito storico non si limita alla sua origine, ma interessa anche la data del suo abbandono in quanto taluni suppongono che esso avvenne al termine del XIII secolo, altri ritengono che risalga alla metà del XIV secolo ed alcuni agli inizi del XVI secolo.
Guglielmo II il Buono apprezzò questo monumento a tal punto da renderla Cappella Reale nel 1168, dunque comunemente si ritiene che la sua fondazione risalga a questo periodo, benché lo storico Placido Samperi supponga una data antecedente secondo l’antica tradizione che lo attribuisce alle monache Basiliane, Cistercensi ed infine Benedettine. Tale ipotesi è stata corroborata da documentazioni successive che ne rievocano il ricordo al 1088 o, più probabilmente, al 1103. Alle donazioni e ai privilegi forniti alla chiesa da Guglielmo II il Buono, seguirono quelle della figlia di Ruggero II, Costanza d’Altavilla, e di Federico II di Svevia. Inoltre tra quelle mura agli albori del Trecento nacque l’amore Federico II d’Aragona ed Eleonora d’Angiò. Il trascorrere dei secoli ebbe effetti deleteri sull’abbazia, a differenza della chiesa che è attualmente perdurata.
A tale sito religioso, ormai sconsacrato, è connessa una leggenda correlata ad un quadro miracoloso raffigurante Santa Maria della Scala: l’imbarcazione che lo conteneva non riusciva a partire finché non fu deposta in terraferma l’immagine mariana che era stata rubata, la quale fu posta su un carro di giovenche privo di guida giungendo proprio all’eremo di Santa Maria della Valle. Ciò comportò il cambio di denominazione del sito proprio in chiesa di Santa Maria della Scala, per dedicarla ad un’effige cui resterà sempre legata nel corso dei secoli e che, sebbene non sia più presente, è visibile mediante un’immagine rappresentativa al suo interno.
Dopo un ampliamento nella prima metà del XIII secolo, nel 1282 il complesso abbaziale venne danneggiato a causa di un incendio durante la guerra del Vespro per opera delle truppe di Carlo d’Angiò, che la assediarono e saccheggiarono distruggendo le opere d’arte ivi riposte e privandola dei suoi tesori. All’inizio del XIV secolo per volere di Federico II d’Aragona ricevette attività di decorazione e restauro, interventi che la resero maggiormente gotica come si evince nella parte alta dell’edificio, nelle costolonature bicrome (bianco-nere, esito dell’alternanza di calcare e lava) delle volte a crociera. Fu altresì realizzata l’edicola votiva posta in alto nel prospetto absidale, mentre il portale d’ingresso fu modificato con archivolti decorati con un motivo a zig-zag, tipico stile trecentesco dell’architettura siciliana. Tuttavia nel 1347 vi fu la grande peste che condusse all’abbandono del luogo, con conseguente rimozione dell’immagine della Madonna.
Successivamente le monache tornarono a Messina presso il monastero di Santa Maria della Scala, riservando il proprio soggiorno alla Badiazza esclusivamente nel periodo estivo, ma il Concilio di Trento impose loro la clausura in città comportando l’abbandono definitivo dell’edificio che, di conseguenza, cadde in rovina. Nel corso dei secoli è stata poi ripetutamente invasa dal fango a causa del dissesto idrogeologico che purtroppo caratterizza il territorio messinese, unitamente ai devastanti terremoti che hanno sovente sconvolto l’area dello Stretto: in particolar modo va citata la devastante alluvione del 1855 che ne provocò l’interramento esterno ed interno, nonché il sisma del 1851 che comportò la caduta di alcuni archi. Inoltre la cupola arabeggiante crollò tra 1838 ed il 1840: la pietra pomice di cui era costituita, sebbene idonea a tale forma architettonica per via della sua leggerezza, presentava una fragilità inadeguata a reggere il peso del tempo.
Nel 1951-55 la Soprintendenza alle Belle Arti promosse dei restauri che condussero alla ricostruzione di archi, pilastri e capitelli persi durante il funesto terremoto del 1908, erigendo anche un ampio muro di arginamento finalizzato a difendere l’edificio dalle alluvioni, benché lo abbia in parte celato alla vista.
L’edificio è ornato la merlature e presenta finestre ripartite su due ordini. L’architettura interna è caratterizzata da una pianta a tre navate con volte a crociera acute costolonate, pilastri cruciformi, una cupola centrale ed un ampio transetto quadrato con quattro pseudo-matronei agli angoli, riservati a diverse categorie di fedeli: sacerdoti e religiosi, monache, autorità civili e militari, dame e nobildonne. Ai lati dell’abside semicircolare vi sono due cappelle della medesima forma quali prolungamento delle navate, costituendo dunque tre absidi ognuna delle quali avente un’edicola per i vasi liturgici. Evidente la similitudine con le strutture architettoniche locali: il santuario rievoca le cattedrali di Palermo e Monreale, mentre lo schema planimetrico tipico della qubba islamica è rinvenibile in ulteriori chiese cristiane di epoca normanna. Dunque emerge indubbiamente l’influenza della tradizione arabo-normanna, parimenti alla chiesa palermitana di Santo Spirito del Vespro cui la Badiazza somiglia.
Di derivazione normanna anche la cupola che poggia su quattro ampi archi ogivali, diversamente dalle crociere a sezione rettangolare poste su peducci annegati nelle pareti, tipiche dell’epoca sveva. Si suppone che anche l’impianto basilicale sia dovuto ai mutamenti che la struttura ricevette in epoca sveva aggiungendo tre navate al preesistente edificio a pianta centrica bizantino-normanna, come ipotizzato da Calandra, diversamente dall’ipotesi avanzata dagli storici Bottari e Agnello di un santuario unitario con navate coeve ambedue edificati successivamente al 1086.
A favore dell’ipotesi di un’edificazione in momenti differenti vi sono le ulteriori divergenze stilistiche rilevabili nei capitelli e nelle navate, riflesso dei differenti influssi bizantini, cistercensi e borgognoni pregotici. Lo stile gotico è palesemente riscontrabile, tra l’altro, nei capitelli con foglie uncinate sulle colonne nicchiate agli angoli dell’abside centrale. Sul fianco nord vi è una porta ogivale con capitelli in pietra decorati con motivi vegetali, inoltre è stata rinvenuta più in basso un’ulteriore porta probabilmente per l’accesso ad una cripta o ad un passaggio sotterraneo. Permangono invece solo alcune tracce della porta ogivale che un tempo congiungeva la chiesa al monastero.
Dopo decenni di incuria, la struttura ha ricevuto attività di restauro a cura della Soprintendenza ai Beni Culturali di Messina, restituendole l’atmosfera medievale che la caratterizzava. Permangono tuttavia molteplici lavori da effettuare. Attualmente il sito è in concessione all’associazione “Il Centauro” onlus, che pazientemente e passionalmente ha curato e continua a curarne la conservazione. A tal fine mesi fa ha organizzato una fiaccolata, coinvolgendo un ampio corteo di cittadini, affinché le istituzioni porgano un’attenzione maggiore verso questo patrimonio risalente a quasi un millennio fa. Sarebbe opportuno ricevere dei fondi, pubblici o privati, miranti a fornire a questo maestoso monumento il giusto rilievo. Dinnanzi ad uno stato che spesso trascura ciò che più dovrebbe custodire ed esaltare, siamo tutti chiamati a contribuire alla salvaguardia e all’enfatizzazione di simili monumenti rari, patrimoni storici da tutelare.