Resti delle terme romane nel parco archeologico urbano di Buccino.

Nella provincia di Salerno, l’area tra la valle del Sele e quella del Tanagro, comprendente il massiccio dei Monti Alburni, conserva una storia millenaria. Qui, le prime attestazioni di insediamento umano si trovano nella necropoli eneolitica di Sant’Antonio, parte della Cultura del Gaudo, sviluppatasi in Italia meridionale tra il IV e il III millennio a.C. Tipiche sono le tombe a forno, di tipo familiare, con camera circolare o ellittica, in cui i defunti sono inumati e sepolti in posizione supina o contratta. Varie sono le forme vascolari, di cui sono peculiari le “saliere”, ed è attestata la presenza di armi in selce e pugnali in rame. Di questi ultimi, la rara tipologia a codolo esprime lo status sociale del defunto di sesso maschile.

Corredi funebri della Cultura del Gaudo. III millennio a.C. Museo Archeologico Nazionale “Marcello Gigante”

Datato alla metà del II millennio è, invece, l’abitato di Tufariello, testimonianza importantissima per le civiltà proto-appenninica e appenninica. Il villaggio è caratterizzato da capanne rettangolari o quadrangolari racchiuse entro una cinta muraria realizzata a secco. Successivamente le unità abitative vengono soppiantate da attività di tipo commerciale, come testimoniano tracce di ceneri e i forni. Tra le forme ceramiche, sono distintivi i bollitoi da latte con coperchio forato (proto-appenninico) e la decorazione con motivi a meandro e di tipo geometrico su forme note (appenninico).

Reperti di differenti momenti insediativi presso abitato di Tufariello. Museo Archeologico Nazionale “Marcello Gigante”

 

Le più antiche testimonianze di occupazione sul sito dell’odierna Buccino risalgono al IX sec. a.C. I terrazzamenti alle pendici del versante orientale, oggi noto come area di Santo Stefano, nei pressi dell’I.I.S. “Assteas” – Liceo Scientifico-Linguistico, presentano continuità insediativa fino al IV sec. a.C. I defunti adulti sono inumati in posizione contratta o semi-contratta già nelle fasi più antiche, sul fianco sinistro per le donne e su quello destro per gli uomini, in fosse rettangolari segnalate dall’accumulo di pietre, una continuità che si riscontra anche nella necropoli di fine VIII-inizi VII sec. a.C., testimone di una cultura unitaria anche per la produzione vascolare a decorazione geometrica mono- o bicroma, tipica della Lucania settentrionale. Particolare è una sepoltura infantile femminile ad incinerazione (n. 286) all’interno di un pithos ad impasto (fine IX-inizi VIII sec. a.C.), traccia di una probabile separazione tipologica funeraria tra adulti e bambini.

Sepoltura femminile infantile ad incinerazione (n. 286). Prima metà VIII sec. a.C. Museo Archeologico Nazionale “Marcello Gigante”

Della fine del VII sec. a.C. è una produzione ceramica al tornio con precise forme e decorazioni che denotano una specializzazione, in cui l’archeologo Werner Johannowsky (1925-2010) individuò la “Cultura della Valle del Platano” identificandone la popolazione con i Peuketiantes, menzionati da Ecateo di Mileto (550-476 a.C.) per avere contatti con i coloni greci già nell’VIII sec. a.C.; tuttavia non si hanno ancora prove sufficienti per avvalorare l’ipotesi. Nel corso del VII sec. a.C. c’è una modifica nelle deposizioni funerarie: il defunto è sepolto con busto supino, con braccia piegate sul torso e arti inferiori ritratti; il corredo, che presenta brocche, olle, askoi e kantharoi, è disposto intorno al corpo e si differenzia nelle sepolture maschili per la presenza di armi e in quelle femminili per ornamenti e abbigliamento.

Corredi funebri femminile e maschile dalla località Santo Stefano/Braida. VII sec. a.C. Museo Archeologico Nazionale “Marcello Gigante”

Alla fine del secolo, accanto alla locale produzione ceramica, si riscontra la presenza di quella greca, esprimibile in modo particolare nell’oinochoe. Dal VI sec. a.C. in alcune sepolture maschili sono presenti elmi corinzi, spade, cinturoni, schinieri, morsi per cavalli, che simboleggiano una differenziazione nello status sociale, esprimendo la figura del capo clan. Nelle figure vascolari di queste sepolture diventano caratteristici il kantharos in bucchero, che deriva dai contatti con Pontecagnano, e la nestorìs, forma locale a quattro anse, di cui due orizzontali e due con ornamento a rocchetto, la cui decorazione geometrica è mano a mano più fitta e può presentare uccelli acquatici. Le tazze ioniche soppiantano le forme locali, e sono presenti le situle in bronzo. Tutti questi elementi inquadrano il defunto maschio adulto all’interno del banchetto funebre di tipologia greca associandosi, ai già citati elementi, grattugie, spiedi e alari, colini e oinochoai.

Sepoltura maschile da località Santo Stefano. Primo quarto VI sec. a.C. Museo Archeologico Nazionale “Marcello Gigante”

Il tessuto sociale locale dei Volceientes è in relazione sia con gli etruschi di Pontecagnano che con i greci della Ionia. Le sepolture infantili, solitamente accanto alle femminili, presentano come segno distintivo piccoli ornamenti in bronzo e collane con conchiglie del tipo cardium. Fa eccezione la tomba 251 il cui ricco corredo con oinochoai, askoi zoomorfi con code forate da utilizzare come poppatoi, kantharoi e coppe in bucchero, denota l’alto status sociale del bambino. Nel corso del V sec. a.C. la nestorìs viene soppiantata dal cratere, che evidenzierebbe la volontà dei locali di essere socialmente pari ai greci; si tratta di imitazioni locali che concorrono anche nel motivo ellenico.

Cratere di produzione locale con il motivo delle navi. Museo Archeologico Nazionale “Marcello Gigante”

Per quanto riguarda il settore sulle pendici meridionali, le attestazioni più antiche testimoniate dalle sepolture di Braida-Tempone datano al VII sec. a.C.; della fine del secolo è l’occupazione dei lati occidentale e settentrionale. Un ulteriore sviluppo nelle aree funerarie si evidenzia tra il VI e la seconda metà del V sec. a.C., allorquando sembra esserci la dismissione dell’area, eccetto nel settore orientale che invece presenta un cambiamento sociale che darà vita a Volcei. Sempre nella zona di Santo Stefano, infatti, sono attestate delle strutture murarie non chiaramente definibili, alcune delle quali perterrebbero ad un oikos, unità familiare di tipo rettangolare lastricata. Nella terrazza inferiore, tra VI e V sec. a.C. sorge un’area sacra dedicata alle acque con copertura lignea e antefisse con maschere gorgoniche.

Antefisse con maschere gorgoniche provenienti dall’area sacra di Santo Stefano. Museo Archeologico Nazionale “Marcello Gigante”

Il rinvenimento di una melagrana carbonizzata e di un altare con orientamento a N, indicano anche un culto legato alle divinità ctonie. Dal IV sec. a.C. la zona è occupata in modo stabile da nuclei familiari aristocratici, come confermato dai test del DNA, le cui sepolture a fossa situate sulla terrazza superiore si concentrano intorno ad una tomba a camera (n. 104) appartenente quasi certamente al capo famiglia. Da quest’ultima provengono frammenti ceramici dipinti da Assteas, ceramista greco a Paestum e uno dei pittori vascolari a figure rosse più attivi della Magna Grecia. Altri rinvenimenti riguardano elementi appartenenti forse ad un carro funebre, come chiodi, fermagavelli, struttura di ruote e lamine in bronzo decorate a sbalzo. Nella tomba 156 è stata rinvenuta una cassetta di strumenti chirurgici. La sepoltura dell’ultimo membro della famiglia (fine IV-inizi III sec. a.C.), che si trova nella terrazza inferiore dell’area sacra, è stata rinvenuta pressoché intatta, nascosta da una frana: è la “Signora degli Ori” (n. 270). Dalla sua tomba provengono unguentari in argento e a vernice nera, pelikai, lekanai, un bracciale, orecchini, anelli, collana in oro, uno spillone e set da toeletta in argento, un set da trucco, ma anche oggetti pertinenti al banchetto funebre, come un’olpe con colino, un bacile, una coppa e uno strigile d’argento, un candelabro in bronzo. Si tratta di elementi insoliti per una sepoltura femminile, ma che risaltano la presenza dell’elemento greco nella vita aristocratica locale.

Una parte del corredo della “Signora degli Ori”. Museo Archeologico Nazionale “Marcello Gigante”

Dalla seconda metà del IV sec. a.C. la zona è soggetta a nuove modifiche con una nuova area sacra su tre terrazze che si impianta sulle strutture cultuali e funerarie precedenti. Il culto è sempre legato alle acque, questa volta incarnate dalla dea italica Mefite. Sulla terrazza superiore viene realizzato un edificio con porticato su tre lati delimitato nella zona occidentale da due ambienti quadrati. Uno di questi è stato identificato grazie ai confronti con una sala da banchetto. Dopo un primo tentativo di salvaguardia in loco, la sala si trova oggi al Museo Archeologico Nazionale “Marcello Gigante” per preservarla dagli scivolamenti argillosi che interessano la falda sulla quale venne impostata. Questa sala da banchetto, essendo in un’area sacra, rientra nelle sale da banchetto di tipo funerario. Essa ha tetto spiovente in legno e tegole piane in terracotta; nell’angolo N-O è presente un pozzetto in lavapesta per i residui del banchetto; il pavimento è rialzato in corrispondenza delle klinai, e la parte centrale, più bassa, è decorata con pavimento musivo a fascia a meandro con tessere e lavapesta, una fascia in cocciopesto, e agli angoli della decorazione centrale con stella a sei punte si trovano quattro delfini in lavapesta circondati da un motivo ad onde. Nei depositi votivi della terrazza inferiore e superiore sono stati rinvenuti diversi ex voto oltre ad una lamina in piombo piegata in due: si tratta di una richiesta di maledizione agli dei contro un avversario.

La sala da banchetto funebre. Museo Archeologico Nazionale “Marcello Gigante”

La fine del IV secolo a.C. vede l’abbandono dei nuclei insediativi sparsi. Si crea, sulla sommità della collina, quello che diventerà il centro urbano di Volcei: si notano infatti strutture pertinenti ad un tracciato murario in blocchi con rinforzo di torri, presenza di porte di accesso e assi viari di attraversamento. Tra la fine del IV e gli inizi del III sec. a.C., sull’asse stradale viene realizzato un bouleuterion a pianta quadrangolare, localizzato al di sotto dell’attuale piazza Amendola. L’edificio viene risistemato e monumentalizzato nel corso del II sec. a.C., di cui pochi resti documentano la presenza di pilastri in laterizio sul lato meridionale.

Resti del bouleuterion

Nello stesso periodo viene risistemata anche l’arx, sostenuta sul lato meridionale da un edificio realizzato con strutture in cementizio con il ruolo di porticato.

Una parte del terrazzamento dell’arx

Dell’edificio a podio, in parte ricavato nella roccia e in parte in cementizio, è oggi visibile l’alloggiamento del rivestimento e delle lastre della pavimentazione. Orientato ad est, la sua funzione originaria doveva essere quella di auguraculum.

Resti dei blocchi dell’auguraculum

Le indagini per la realizzazione della carta archeologica hanno permesso di individuare impianti più piccoli in località San Paolo (metà IV-fine III/inizi II a.C.) dove sono presenti una fattoria e un complesso artigianale con fornaci; in località Fossa Aimone un’altra fattoria distrutta in modo violento nel III sec. a.C. Sporadici sono anche i rinvenimenti di tombe, tra cui una di un personaggio di rango elevato per la presenza di un cratere che rappresenta la parodia del ratto del Palladio di Assteas, e quella di una foglia di alloro in oro in località San Cono, che testimonierebbe la presenza di corone d’oro nei contesti funebri sulla scia delle aristocrazie indigene e greche della penisola.

Il ratto del Palladio di Assteas. Museo Archeologico Nazionale “Marcello Gigante”

Durante l’ultimo quarto del III sec. a.C. Volceientes , Lucani ed Hirpini sia alleano con Annibale. Lo storico Tito Livio, la cui fonte nella menzione di questi popoli li riconosce come tre tribù separate stanziate nell’Appennino calabro-lucano, riporta che essi si arresero al console Quinto Flavio il quale li perdonò (Ab Urbe Condita XXVII, 15.2). L’archeologia narra però un’altra storia: evidenze di abbandoni e distruzioni sono presenti alla fine di questo secolo, come è chiaro nella fattoria di Fossa Aimone, dove sono stati rinvenuti resti delle travi crollate a causa di un incendio e segni di aratura per livellare le macerie; oppure nell’area sacra di Santo Stefano dove vi si stabilisce una fattoria mentre la sala da banchetto viene riutilizzata come dispensa. I romani entrano dunque nel territorio dei Volceientes. Per quanto riguarda l’origine di questo popolo, la loro distinzione dai Lucani ne evidenzia una popolazione differente. Se è difficile verificare una differenza di tipo linguistico, l’analisi del DNA dei soggetti di Santo Stefano conferma una continuità genetica dal VI al IV sec. a.C., ovvero tra quelli della facies arcaica e quelli lucani, così come vi è una continuità nelle forme vascolari, ma la posizione del defunto nelle sepolture si modifica da quella rannicchiata a quella supina, come abbiamo visto. Sembrerebbe dunque che i Volceientes siano eredi della comunità arcaica enotria ma si associano alla cultura materiale lucana dal IV sec. a.C. Incerta è l’origine del nome Volcei, forse dall’etrusco Vulc/Velc, e non è possibile stabilire se la popolazione dei Volceientes abbia dato il nome a Volcei con la fondazione del IV sec. a.C. o se invece essa derivi dal toponimo.

Ritornando all’epoca romana, importante si rivela la metà del II sec. a.C. con la costituzione della via consolare Annia, diramazione dell’Appia che conduceva a Reggio. Della sua realizzazione abbiamo attestazione nel cosiddetto “elogio di Polla” (CIL X, 6950), nel quale si legge “viam fecei ab Regio ad Capuam”, realizzata da Tito Annio Lusco (cons. 153 a.C.) o da Tito Annio Rufo (cons. 128 a.C.).

L’elogio di Polla. Museo Archeologico Nazionale “Marcello Gigante”

In questo secolo, dopo la centuriazione graccana, compaiono diverse ville rustiche con produzione di lana e olio, come quella in località Mattina-Linitoni che presenta un cortile centrale sul quale si affacciano aree di soggiorno, servizio e produzione; nella prima parte del I sec. a.C. la villa subisce una modifica con aggiunta di corte servile e una ricca zona padronale con stanze che si aprono su un grande peristilio. È presente un’area termale della quale è stato finora scavato solo il calidarium. Non lontano da questa villa è stato rinvenuto il monumento funerario di Quinto Insteio Cimbro, eretto dalla moglie Gresia Tertia, simile per tipologia a quello delle Ghirlande fuori Porta Ercolano a Pompei.

L’assetto urbanistico di Volcei si modifica con il suo stato di municipium: vengono restaurate le mura e le porte d’accesso, e l’asse principale sembra dividere la città in una parte superiore, dove si concentrano edifici sacri e civili in continuità con quelli precedenti, mentre quella inferiore presenta il foro ed edifici nuovi realizzati sugli impianti preesistenti. Il foro, di cui è andata perduta gran parte della pavimentazione, va collocato nella spianata rocciosa dove, tra XIII e XIV sec. è stata realizzata la chiesa di S. Maria Assunta. Lungo l’asse che conduceva all’arx viene realizzato un tempio su podio rivolto ad est, indicato nella tavola redatta dall’arciprete Bartolomeo Bardaro (1854) come “S. Nicola de’ Veterani, olim tempio di Apollo”;

Alcuni frammenti architettonici del tempio su podio dedicato ad Apollo

il bouleuterion diventa un’aula aperta sulla strada senza grosse modifiche riguardo la sua funzione; tra gli edifici della metà superiore e il foro si inquadra il macellum, una struttura con ben due tholoi su sostruzioni voltate che ha eguali solo a Leptis Magna. Sul lato orientale del podio sono un ambiente stretto, forse una via tecta, e un’aula rettangolare, parte dell’edificio termale di epoca augustea. Sono presenti anche un’aula pavimentata con mosaico e una fontana pubblica. Le terme, sul lato settentrionale del foro, presentano cinque ambienti, di cui due riscaldati. Diversi sono i rifacimenti che, nella fase di III/IV sec. d.C., presentano un mosaico con Eracle nel pavimento dell’aula centrale. Di epoca augustea sono delle statue onorarie, a cui andrebbero riferite le dediche ad Augusto (2 a.C.) e Agrippa Postumo (4 d.C.). Due statue femminili, che derivano dai prototipi tardo-classici/ellenistici, sono pure da inquadrare tra Augusto e Tiberio.

Resti delle terme con aula con pavimentazione musiva

A metà del I sec. d.C. ca., un evento sismico interrompe la vita della città, come si evidenzia dalla presenza di fosse di scarico e livellamenti delle colmate. Successivamente, una grande opera di ristrutturazione interessa le aree pubbliche e private. Tra la fine del III e gli inizi del IV sec. d.C. vi sono altre attività di restauro negli edifici pubblici, mentre al V sec. d.C. risalgono interventi sulla rete idrica, sul piano stradale e per alcuni edifici. Viene realizzato un bacino di fontana su uno spazio aperto sul decumano, l’aula viene trasformata in edificio porticato, viene costruito un thermopolium. Interventi di restauro e manutenzione sono attestati anche per i secoli VI e VII d.C. Intono all’anno 1000, un terremoto distrugge Volcei, forse lo stesso registrato dalle fonti nel 989 d.C. L’occupazione si sposta verso le pendici settentrionali del colle, lungo via Egito, dove si hanno attestazioni di dimore rupestri, forse legate anche alle presenze orientali e bizantine. Con l’arrivo dei Normanni nel XII sec. d.C., il basamento dell’area sacra dell’arx viene sfruttato per impiantare un dongione, ovvero una torre fortificata utilizzata sia come struttura difensiva che come residenza per nobiltà e guarnigioni. Nella sua realizzazione viene utilizzata, come pietra angolare, un’iscrizione redatta sotto i Cesari Augusti Costantino e Licinio (CIL X, 407), che nomina tutti i pagi appartenenti al territorio di Volcei, ultima testimonianza della città romana. La zona resta invariata fino alla metà del XIV sec. d.C. quando, con l’arrivo degli Angioini, la collina viene rinforzata con fossato, doppia cinta muraria e due torri circolari. La cinta muraria interna difendeva l’area destinata agli abitati e agli spazi artigianali. Tra XVI e XVII sec. d.C., l’area viene progressivamente abbandonata, fino al XVIII/XIX sec. d.C. dove il cortile interno viene occupato da una stalla e si crea un nuovo sistema di drenaggio delle acque. Nel corso del XIX sec., esso diventa una calcara, come dimostrano le vasche e le fosse di spegnimento. Abbandonato anche questo utilizzo, il sito del castello diventa una discarica fino a quando, dopo il terremoto del 1980, non è stato realizzato il Parco Archeologico Urbano.

Il castello di Buccino

Raccontare in modo breve la storia di Volcei/Buccino è stato tutt’altro che semplice. Esso è un territorio intriso di storia, come si vive passeggiando tra i vicoli del suo parco archeologico urbano. Tante, vivide ed emozionanti le testimonianze di coloro che hanno vissuto in questo luogo, la cui memoria è custodita presso il Museo Archeologico Nazionale dedicato a Marcello Gigante, grecista, filologo classico e papirologo nato in questa terra.

Ringrazio il presidente della Pro Loco di Buccino, Marcello Nardiello, e il personale del Museo Archeologico Nazionale “Marcello Gigante” per la disponibilità e la cortesia con le quali mi hanno accolta.

Fonte: pannelli espositivi Parco Archeologico Urbano di Volcei e Museo Archeologico Nazionale “Marcello Gigante”. Crediti: Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Salerno ed Avellino

Foto: Chiara Lombardi

Advertisement
Articolo precedente44 monete d’oro puro scoperte nel sito archeologico di Banias
Prossimo articoloRendlesham (Suffolk): portata alla luce una sala in legno del palazzo reale dei primi sovrani dell’Anglia orientale
Chiara Lombardi

Laureata in Archeologia Orientale presso l’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” con una tesi magistrale in Archeologia Egiziana dal titolo “Iside nei testi funerari e nelle tombe del Nuovo Regno: iconografia e ruolo della dea tra la XVIII e la XIX dinastia” (2013), ha conseguito un master di primo livello in “Egittologia. Metodologie di ricerca e nuove tecnologie” presso la medesima Università (2010-2011). Durante il master ha sostenuto uno stage presso il Museo Egizio de Il Cairo per studiare i vasi canopi nel Nuovo Regno (2010). Ha partecipato a diversi scavi archeologici, tra i quali Pompei (scavi UniOr – Casa del Granduca Michele, progetto Pompeii Regio VI, 2010-2011) e Cuma (scavi UniOr – progetto Kyme III, 2007-2017). Inoltre, ha preso parte al progetto Research Ethiopic language project: “Per un nuovo lessico dei testi etiopici”, finanziato dall’Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente e dal progetto PRIN 2005 “Catene di trasmissione linguistica e culturale nell’Oriente Cristiano e filologia critico testuale. Le problematiche dei testi etiopici: testi aksumiti, testi sull’età aksumita, testi agiografici di traduzione” (2006-2007). Ha collaborato ad un progetto educativo rivolto ai bambini della scuola primaria per far conoscere, attraverso sperimentazioni laboratoriali, gli usi e i costumi dell’antico Egitto e dell’antica Roma (2014-2015). È stata assistente di ricerca presso la Princeton University (New Jersey) per “The Princeton Ethiopian, Eritrean, and Egyptian Miracles of Mary digital humanities project (PEMM)” (2020-2021). Ricercatrice indipendente, attualmente è anche assistente di ricerca per il Professor Emeritus Malcolm D. Donalson (PhD ad honorem, Mellen University). Organizza e partecipa regolarmente a diverse attività di divulgazione, oltre a continuare a fare formazione. Collabora con la Dott.ssa Nunzia Laura Saldalamacchia al progetto Nymphè. Archeologia e gioielli, e con la rivista MediterraneoAntico, occupandosi in modo particolare di mitologia. Appassionatasi alla figura della dea Iside dopo uno studio su Benevento (Iside Grande di Magia e le Janare del Sannio. Ipotesi di una discendenza, Libreria Archeologica Archeologia Attiva, 2010), ha condotto diversi studi sulla dea, tra cui Il Grande inno ad Osiride nella stele di Amenmose (Louvre C 286) (Master di I livello in “Egittologia. Metodologie di ricerca e nuove tecnologie”, 2010); I culti egizi nel Golfo di Napoli (Gruppo Archeologico Napoletano, 2016); Dal Nilo al Tevere. Tre millenni di storia isiaca (Gruppo Archeologico Napoletano, 2018 – Biblioteca Comunale “Biagio Mercadante”, Sapri 2019); Morire nell’antico Egitto. “Che tu possa vivere per sempre come Ra vive per sempre” (MediterraneoAntico 2020); Il concepimento postumo di Horus. Un’ analisi (MediterraneoAntico 2021); Osiride e Antinoo. Una morte per annegamento (MediterraneoAntico 2021); Culti egiziani nel contesto della Campania antica (Djed Medu 2021); Nephthys, una dea sottostimata (MediterraneoAntico 2021). Sua è una pubblicazione una monografia sulla dea Iside (A history of the Goddess Isis, The Edwin Mellen Press, ISBN 1-4955-0890-0978-1-4955-0890-5) che delinea la sua figura dalle più antiche attestazioni nell’Antico Regno fino alla sua più recente menzione nel VII d.C. Lo studio approfondisce i diversi legami di Iside in quanto dea dell’Occidente e madre di Horus con alcune delle divinità femminili nonché nei cicli osiriaco e solare; la sua iconografia e le motivazioni che hanno portato ad una sempre crescente rappresentazione della dea sulle raffigurazioni parietali delle tombe. Un’intera sezione è dedicata all’onomastica di Iside provando a delineare insieme al significato del suo nome anche il compito originario nel mondo funerario e le conseguenti modifiche. L’appendice si sofferma su testi e oggetti funerari della XVIII dinastia dove è presente la dea.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here