Nella sua opera prima Michela Tozzi affronta un tema scabroso, nuota in un mare periglioso, si arrampica per un sentiero salitoso, avventurandosi nell’impalpabile e insondabile mondo dell’Egitto misterioso!
Il tema che ha scelto riguarda una struttura ipogea di grande interesse che si trova nell’area archeologica di Saqqara, l’immensa necropoli che fu luogo di sepoltura delle prime dinastie egizie e utilizzata senza soluzione di continuità fino almeno al V sec. d.C., come testimonia il monastero di San Geremia.
Lì, sotto le calde sabbie del deserto, Ramesse II volle realizzare una serie di ambienti dedicati al culto e alla sepoltura del toro Api, in un luogo dove già Amenhotep III aveva provveduto a seppellirne almeno otto in tombe singole.
Stiamo parlando ovviamente di pr-wsir-hp chiamato anche kA-kmt, ma noto ai più con il nome che gli diedero i greci e che comunemente utilizziamo nella sua traduzione latina: Serapeum.
Cosa può esserci di misterioso in un luogo dove si è perpetuato un culto antichissimo e ben attestato in numerosi scritti che ci sono pervenuti direttamente dall’antico Egitto?
Più o meno sempre le stesse cose: la durezza e la pesantezza della pietra!
All’interno di queste gallerie sotterranee, ben descritte in questo libro edito da Formamentis, furono rinvenuti tra le altre cose 24 sarcofagi in pietra dal peso stimato che oscilla tra le 70 e le 100 tonnellate, realizzati con diversi tipi di granito che presentano caratteristiche di durezza molto elevate, con un livello di finitura che ha dell’incredibile.
E infatti…
L’archeologia in effetti non è in grado di spiegare in modo esaustivo il “come” e qui si inseriscono le teorie che vedono nell’intervento esterno di alieni o nella tecnologia ereditata da una civiltà scomparsa, la soluzione più logica e conveniente.
Poco importa se il contesto è privo di qualsiasi indicazione in tal senso e se tutto lascia pensare che gli autori di tali opere siano proprio gli antichi egizi. Poco importa se lo spostamento di pietre attraversi i millenni quasi ininterrottamente passando dalla celebre Grande Piramide di Giza (2500 a.C. circa), attraversando strutture templari come il tempio di Karnak (1300 a.C. circa) dove monoliti di svariate tonnellate formano il tetto della Sala Ipostila a parecchi metri di altezza; che un obelisco realizzato in un unico blocco dal peso di 340 tonnellate – l’Obelisco del Laterano – venga spostato dal suddetto tempio per giungere, attraversando il Mediterraneo e per volere di Costantino II, a Roma (357 d.C.).
Una presenza costante di alieni o l’utilizzo continuativo di una straordinaria tecnologia, dal 2500 a.C. almeno fino al 357 d.C., che all’improvviso svanisce nel nulla senza lasciare un appunto, un attrezzo, un’immagine o una eco tra l’infinito elenco di professioni che ci è giunto dall’antichità.
Michela Tozzi non dà nessuna risposta ai temi del mistero, ma fa qualcosa di molto importante: raduna in un agile libro, scritto molto bene, tantissime notizie che riguardano il Serapeum. Racconta la storia del suo ritrovamento e dell’archeologo che ne è stato l’artefice, Auguste Mariette, figura straordinaria dell’egittologia della metà dell’Ottocento. Descrive le varie fasi della costruzione indicandone una cronologia di riferimento, scava tra i libri in cerca di notizie attendibili e riesce così a smontare molti dei luoghi comuni che avvolgono in strette maglie il Serapeum di Saqqara, restituendoci una storia più vicina al vero, più vicina al pensiero dell’uomo egizio, troppo stesso catapultato senza filtro alcuno in un tempo che non gli appartiene rendendolo, lui si, un alieno incompreso.
E’ stato per me un piacere contribuire a questo lavoro, se pur in minima parte, con alcune foto che ho scattato all’interno del Serapeum pochi giorni dopo la sua riapertura al pubblico, dopo un lunghissimo e complesso restauro.
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