Il mito del Graal ha attraversato la storia in maniera alterna, talora in maniera evidente, altre volte seguendo un percorso carsico, perché un vero e proprio oscuramento della leggenda in realtà non c’è mai stato. Tale è stata la fascinazione che questo mito ha sempre esercitato nella storia dell’uomo.

Il mio racconto prende le mosse dalla lettura di un passo di un grande scrittore del XII secolo, Chrétien de Troyes, che ha raccontato, raccogliendo vecchie storie come troviere alla corte di Maria di Champagne, nipote di Riccardo Cuor di Leone, la storia del giovane e ingenuo Perceval nel suo romanzo “Perceval ou Le conte du Graal”.

Il romanzo gli fu commissionato da Filippo d’Alsazia, conte di Fiandra, e sviluppa la vicenda in cui appare, pare per la prima volta in forma scritta, l’oggetto magico che sarà esaltato e in seguito caricato di valenze mistiche e purificatrici da autori successivi, affascinati dal modello dello scrittore francese: il Graal. O meglio: “un” Graal.

The Damsel of the Sanct Grael (dettaglio). Opera di Dante Gabriel Rossetti (1858-1882), Andrew Lloyd Webber Collection. https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Holygrail.jpg

Perceval è un ragazzo di 15 anni che vive in un castello con la madre vedova, Herzeloide, che lo tiene all’oscuro della vita al di fuori del castello. Ha paura che la cavalleria gli porti via l’unico figlio rimasto in vita, poiché gli altri e suo marito sono morti in guerra. Ma arriva il giorno che Perceval lascia il castello per completare la sua educazione. Vuole diventare cavaliere e riuscirà nell’intento alla corte di re Artù. Un giorno arriva davanti ad un fiume: vorrebbe attraversarlo, ma non trova guadi. Interpella due uomini su una barca e uno dei due, impegnato nella pesca, lo informa che, se salirà su per la collina, troverà un castello dove potrà trovare ospitalità. Il castello, apparsogli improvvisamente dal nulla come sacra epifania, è magnifico ma il suo proprietario è un uomo malato e lo accoglie dal suo letto nella grande sala da pranzo. Ed ecco che Perceval, smarrito, assiste ad una processione misteriosa e avrà rivelazione del Cristo in una straordinaria liturgia del Venerdì Santo.

“Mentre parlavano del più e del meno, venne un valletto da una camera che teneva una lancia bianca impugnata nella parte centrale, passò nel mezzo, proprio a metà tra il fuoco acceso e quelli che erano seduti nel letto; così tutti potevano vedere la lancia bianca ed il ferro bianco. Dalla punta della lancia usciva una goccia di sangue e quella goccia rossa colava fino alla mano del valletto. Il giovane, che era venuto lì quella notte, vide quella scena meravigliosa, però non domandò nulla, trattenendosi dal chiedere come potesse avvenire tutto ciò, e questo perché si ricordava dell’ammonizione del suo maestro che gli aveva insegnato a trattenersi dal troppo parlare; perciò credeva che potesse fare una cosa scortese a domandare e per questo motivo non lo fece. Giunsero allora altri due valletti che tenevano in mano dei candelieri, di oro fino, lavorato e cesellato.

I valletti che portavano i candelieri erano molto belli. In ogni candeliere bruciavano dieci candele. Una damigella veniva insieme ai valletti, bella, elegante e ben acconciata e teneva un Graal nelle mani. Dopo che lei fu entrata dal Graal che teneva in mano si sprigionava una luce così forte che le candele perdevano la loro luminosità, come le stelle quando si leva il sole o la luna. Dopo di lei ne venne un’altra che teneva un tagliere d’argento. Il Graal che aveva davanti era di oro fino e di smeraldo, aveva pietre preziose di varia qualità, delle più ricche e delle più care che ci possano essere nel mare e nella terra: tutte le altre pietre valevano sicuramente meno di quelle del Graal”.

Perceval arriva al Castello del Graal, per essere accolto dal Re Pescatore. Da un manoscritto del 1330 di Perceval ou Le Conte du Graal di Chrétien de Troyes. https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Perceval-arrives-at-grail-castle-bnf-fr-12577-f18v-1330-detail.jpg

Perceval, dunque, vorrebbe interrogare il Re Pescatore (pecheur significa “pescatore”, ma anche “peccatore”) ma si frena: il suo maestro gli aveva raccomandato di non parlare troppo. E questo sarà un errore, perché la sua domanda avrebbe liberato il Re Pescatore dalla sua malattia – che è malattia dell’anima prima che del corpo – e dalla tristezza e miseria in cui era sprofondata la sua terra. Da allora la sua vita assumerà la forma delle “queste” (ricerca): quella del Graal, di cui diventerà, al termine di un percorso iniziatico e di formazione, il custode. Ma prima dovrà espiare i suoi peccati: quelli da lui commessi (come non aver chiesto al Re Pescatore non solo il significato della processione, ma anche il motivo della sua malattia) e quelli di cui non ha contezza, come la morte della madre, uccisa dal dolore della sua partenza. Lo saprà da un colloquio con un eremita, che gli rivelerà di essere suo zio e che il Re Pescatore è suo cugino.

La parola “Graal” proviene dal latino medioevale “gradalis”, anche se la parola è passata attraverso il celtico, e alludeva ad un recipiente largo e dai bordi arrotondati, ben diverso dalla coppa a cui siamo soliti associarlo. Una sorta di calderone, per dirla con uno dei massimi specialisti dell’argomento, il grande storico Franco Cardini, che nelle culture celtiche serviva per fabbricare pozioni di lunga vita o addirittura per conferire al possessore l’immortalità.

E’ solo col passare del tempo e a seguito del grande successo del romanzo di Chrétien, peraltro incompiuto, che il Graal assumerà significati diversi. Diventa il calice dell’Ultima Cena, ma anche il sacro contenitore delle gocce di sangue del Cristo in croce raccolte da Giuseppe d’Arimatea (secondo il racconto di Robert de Boron), dunque una reliquia di straordinario valore in un Medioevo assetato di testimonianze sacre che rimandano alla Passione di Cristo. E qui inevitabile è il rimando ai chiodi della croce, alle spine della corona e alla lancia di Longino a cui si allude già nel romanzo di Chrétien. Tutti elementi che servivano a rafforzare ulteriormente la fede in Dio e a combattere le eresie che in quel periodo seminavano dubbi e incertezze, anche dottrinali.

Anche la diffusione dei miracoli servì a questo fine: ci riferiamo, ad esempio, al famoso miracolo di Bolsena (1263) in cui Pietro da Praga, dubbioso che il corpo di Cristo potesse essere “contenuto” nell’ostia consacrata (hostia in latino significa vittima), assistette ad un evento prodigioso: da una particola di ostia gocciolò del sangue, che macchiò il pavimento. Così ebbe conferma il dogma della transustanziazione, emanato durante il IV concilio Laterano del 1215 e confermato dal concilio di Trento, quando fu necessario sancire i confini dell’ortodossia cattolica fortemente minacciata dalla riforma luterana.

Il miracolo di Bolsena affrescato da Ugolino di Prete Ilario (1357-1364) nella cappella del Corporale del duomo di Orvieto. Credits: www.festivaldelmedioevo.it

La reazione della Chiesa alla diffusione del mito fascinatore del Graal non si fece attendere e non fu di aperta riprovazione, ma neanche di approvazione, nonostante il fatto che il romanzo di Chrétien non sembrasse caricare la coppa di significati reliquiari. Restava un grave problema ed era che un troviere come lo scrittore francese, un laico, potesse, sia pure tangenzialmente, rasentare le verità di fede in una realtà dominata dai clerici, detentori della dottrina cristiana. Non una critica apertis verbis, quindi, ma un velo di sospetto che mascherava appena l’intenzione, prontamente messa in opera dal chierico Robert de Boron, di modificare quello che di fatto era diventato un mito per farne un supporto alla fede. Non era questione di poco conto, né si limitava al mero ambito letterario, sebbene il Graal fosse apparso per la prima volta all’interno di una produzione letteraria. E’ appena il caso di ricordare che i romanzi nel Medioevo godevano di un pubblico assai esteso di ascoltatori, specie nelle corti, e che certe idee, considerate pericolose dai chierici, potevano camminare sulle gambe di un pubblico poco avvertito nei riguardi della dottrina ecclesiastica, ma affascinato dal racconto.

Robert de Boron, come detto,  fu il primo autore a dare un’esplicita dimensione cristiana al Sacro Graal. Secondo la sua versione, Giuseppe d’Arimatea (protagonista del romanzo omonimo, scritto prima del 1201) utilizzò il Graal per raccogliere il sangue di Cristo. La sua famiglia portò poi il Graal ad Avalon, dove l’oggetto sacro venne custodito e protetto fino all’ascesa di Artù e all’ arrivo di Perceval, permettendo la ricongiunzione del filone mistico-religioso con quello avventuroso di matrice arturiana. Dopo l’opera di Robert de Boron, figura storica ripresa peraltro dal nostro Umberto Eco nel suo romanzo “Baudolino” col nome di Borone, Wolfram von Eschenbach “tradusse” il “Perceval” in tedesco, modificando il nome del giovane e ingenuo cavaliere in Parsival (o Parzival). Era il 1210.

Wolfram von Eschenbach inevitabilmente attinse alla fonte del “Perceval” di Chrétien de Troyes, anche se ebbe l’abilità di aggiungere altri elementi narrativi che arricchiscono il racconto e su cui si basò anche il libretto wagneriano: si allude qui alla comunità sacra del Graal, cui accedono solo cavalieri eletti da Dio per custodire la reliquia e diffonderne nel mondo le virtù santificanti. E, se centrale rimane la vicenda del giovane Parzival e del suo cammino di formazione che lo porterà a diventare prima cavaliere di re Artù e poi custode del Graal, accanto a questa vicenda von Eschenbach ne aggiungerà un’altra, dal sapore più mondano e terreno, che ha come protagonista Gawan. Sono le due dimensioni del codice della cortesia che si intrecciano e si alternano: quella laica, espressa da Gawan in cui i valori, come prodezza e magnanimità, fedeltà e misura, determinano la figura del perfetto cavaliere; e quella religiosa, rappresentata dal giovane Parzival, che deve combattere una difficile battaglia contro le tentazioni per sublimarle e raggiungere così il più alto livello di perfezione spirituale.

Wolfram von Eschenbach https://it.wikipedia.org/wiki/File:Wolfram_von_Eschenbach_monument_(2).jpg#globalusage

Nell’opera di von Eschenbach, peraltro, il Graal non è una coppa ma una pietra, il lapis exilis o exilix, contrazione probabilmente di lapis lapsus ex caelis. (“pietra caduta dai cieli”). Altra interpretazione suggerita da Waite nella sua opera “The Holy Grail”, di ispirazione rosacrociana, è quella che rimanda al lapis exilii o exsulis, con il significato di “pietra in esilio” sulla terra.

Una evidente allusione al Cristo come pietra angolare.

Il ciclo arturiano si sarebbe concluso nel XIV secolo con il romanzo “La morte di Artù” di Thomas Malory, forse il più importante romanzo in lingua inglese sulla materia bretone.

Dal XVI secolo fino alla fine del XVIII secolo il silenzio calò apparentemente definitivo sul Graal, ma in realtà il mito, come fiume carsico, continuò a persistere come riferimento spirituale. E’ stato nel Romanticismo, quando la condanna illuminista del Medioevo venne sostituita dalla tensione verso l’Assoluto e lo spiritualismo (non necessariamente legato ad una dottrina religiosa particolare) che riemerse dalle profondità il mito graalico. E assieme allo spiritualismo riemerse anche il gusto per l’esoterico, rintanato nelle pieghe dell’ermetismo. Erano passati i secoli in cui imperversava la Riforma luterana con la sua profonda riprovazione per le reliquie e la Chiesa cattolica non era più al centro della cultura europea, ma anzi nel XVIII secolo era entrata in una grave crisi. Fu così che i fratelli Schlegel e Walter Scott, espressione del Romanticismo tedesco e inglese, ripresero ad interessarsi della vicenda che ruotava attorno al sacro calice, proprio in concomitanza col rinnovato interesse per un Medioevo che i romantici tendevano però ad idealizzare e a descrivere in maniera poco problematizzata e di cui riproponevano in maniera poco originale il repertorio abusato di dame, cavalieri e tornei (come accade, ad esempio, nell’ “Ivanhoe” di Scott).

Richard Wagner fotografato nel 1871 da Franz Seraph Hanfstaengl. https://commons.wikimedia.org/wiki/File:RichardWagner.jpg

Nel 1845 Richard Wagner lesse il “Parzival” di Wolfram von Eschenbach e ne fu affascinato. Nel nome della sua visione d’arte, che comprendeva l’idea di  teatro in cui convergono musica, drammaturgia, poesia e arti figurative – la cosiddetta Gesamtkunstwerk –, scrisse il “Parsifal”, che rappresentò nel 1882, al Festival di Bayreuth, attirandosi la riprovazione di Fredrich Nietzsche, che evidenziò che il compositore tedesco si era “accasciato ai piedi della croce”. Non aveva compreso, Nietzsche, che Wagner aveva creato col “Parsifal” un mito profondamente nazionale e che il personaggio non era descritto come un puro e un candido, ma piuttosto come un giovane che, attraverso un difficile cammino di espiazione (simile ad un purgatorio terreno – e difatti anche il “Purgatorio” dantesco è opera dai marcati connotati esoterici ed iniziatici), diventa degno di diventare il custode del Graal. Ma Wagner si spinse anche oltre: il suo racconto di Parsifal, denso di simbolismi, si carica di evidenti richiami alla filosofia orientale – piuttosto che al Cristianesimo – che il grande compositore tedesco aveva ricevuto dal suo maestro, il filosofo Arthur Schopenhauer. Resta però la presenza della comunità dei puri di cuore consacrati al culto del Graal e della lancia di Longino, che trascorrono una vita ritirata e casta nell’eremo di Montsalvat, fondato dal vecchio Titurel.

René Guénon nel 1925
https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Rene-guenon-1925.jpg

Anche lo studioso di esoterismo René Guénon affrontò il tema graalico esprimendosi così nel suo saggio “Il re del mondo” (1927):

«Il Graal rappresenta nel medesimo tempo due cose che sono strettamente solidali l’un l’altra; chi possiede integralmente la «tradizione primordiale», chi è pervenuto al grado di conoscenza effettiva essenzialmente implicito in questo possesso, è difatti, per ciò stesso, reintegrato nella pienezza dello «stato primordiale». A queste due cose, «stato primordiale» e «tradizione primordiale», si riferisce il duplice senso inerente alla stessa parola Graal, perché, con una di quelle assimilazioni verbali che hanno spesso nel simbolismo una funzione non trascurabile, e che hanno d’altronde delle ragioni assai più profonde di quanto non si immaginerebbe a prima vista, il Graal è simultaneamente un vaso (grasale) ed un libro (gradale o graduale); quest’ultimo aspetto designa manifestamente la tradizione, mentre l’altro concerne più direttamente lo stato stesso.»

 

La declinazione in senso nazionale dell’opera wagneriana fu ulteriormente accentuata (in chiave nazionalista) dal Nazismo nella persona di Otto Rahn, che volle individuare nei Catari i custodi del sacro calice. In realtà non abbiamo testimonianze documentali su una relazione tra il Graal e i Catari, la cui dottrina risente fortemente del Mazdeismo persiano nella loro idea di un mondo governato da una forte contrapposizione tra principio del Bene e principio del Male e si discosta dalla Chiesa cattolica anche per l’idea di cercare Dio dentro di noi e senza intermediari, come Chiesa e Bibbia.

Otto Rahn (1904-1939)

Rahn fece presto il suo ingresso nei circoli occultistici francesi e tedeschi ed iniziò a viaggiare in cerca di prove a supporto della sua teoria: che cioè fosse necessario mettersi sulle orme dei Catari per ritrovare il Graal. Così arrivò nel castello di Montségur, luogo-simbolo della resistenza catara, in un momento storico per la setta gravemente avverso (ricordiamo la Crociata contro gli Albigesi); e nella chiesa di Rennes-le-Château, luogo dai grandi significati esoterici.

Pubblicò nel 1933 il volume che riassume i suoi viaggi alla ricerca del Graal, dal titolo “Crociata contro il Graal” e venne contattato da Heinrich Himmler prima, e da Adolf Hitiler poi. Ambedue erano rimasti affascinati dalle teorie di Rahn e speravano di rintracciare l’oggetto sacro per servirsi dei suoi straordinari poteri. Così nel 1935 viene fondata la  “Ahnenerbe”, associazione specializzata in ricerche sull’occulto e a cui si accostò anche Rahn. E fu proprio a seguito delle nuove ricerche, questa volta sponsorizzate da Himmler e da Hitler, che Rahn pubblicò il volume “Alla corte di Lucifero”. Le spedizioni organizzate sotto la supervisione nazista non avevano prodotto, però, alcun risultato e avevano pertanto fortemente deluso i vertici e l’organizzazione, che su questi progetti aveva investito grandi risorse finanziarie. Rahn si dimise e cadde in preda all’alcool. Venne trovato assiderato nel 1939, sulle montagne che sovrastano Soll, un comune austriaco. La sua fu una morte singolare e dalle dinamiche poco chiare, sebbene negli ultimi tempi fosse stato emarginato e fossero state messe sul suo conto in giro voci di omosessualità.

Ma, quali che siano la forma o il materiale di cui è composto il Graal o i suoi poteri, indubbia resta la fascinazione che nel tempo l’oggetto ha esercitato. Anche su autori che, come Dan Brown, hanno utilizzato teorie non suffragate da alcuna prova concreta dopo la lettura di un saggio “Il santo Graal” (“Holy Blood, Holy Grail“) di Michael Baigent, Richard Leigh ed Henry Lincoln (1982), per cui in seguito l’autore fu accusato di plagio e assolto. Nel saggio si collegava il Graal  al Sangue Reale della dinastia merovingia, espressione della discendenza di Gesù Cristo e di Maria Maddalena. Ma questa è un’altra storia.

Probabilmente è vero quanto affermò il filosofo Etienne Gilson, uno dei fondatori del Neotomismo:

«La ricerca del Santo Graal è la ricerca dei segreti di Dio, inconoscibili senza la Grazia».

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Annamaria Zizza

Mi sono abilitata in Italiano e Latino e in Storia dell’Arte, sono passata di ruolo per l’insegnamento dell’Italiano e del latino nei Licei nell’anno 2000/2001.

Sono attualmente in servizio dal 2007/2008 al Liceo Classico “Gulli e Pennisi” di Acireale CT, dove ricopro il ruolo di docente a tempo indeterminato nel triennio del corso C.

Ho frequentato con esito positivo i seguenti corsi di aggiornamento/formazione:

– Didattica della lingua italiana;

– Tecnologie informatiche applicato al PNI e al Brocca;

– Valutazione scolastica;

– Valutazione e programmazione scolastica;

– Sicurezza nelle scuole;

– Didattica della letteratura italiana;

– Didattica della letteratura latina;

– rogramma di sviluppo delle tecnologie didattiche;

– Didattica breve nell’insegnamento del latino;

– Comunicazione

– Per una didattica della lettura e della narrazione;

– Autori, collane, libri, progetti editoriali: valorizzare la scuola attraverso la lettura;

– La dislessia

Ho tenuto in qualità di esperto due corsi PON sulle abilità di base per l’Italiano e uno sui connotati profetici nella Comedìa dantesca; ho svolto il ruolo di tutor in altri corsi PON ministeriali.

Sono stata per tre anni funzione strumentale nell’area “Supporto ai docenti”, direttrice di laboratorio multimediale, catalogatrice Dewey nella biblioteca scolastica, bibliotecaria, RSU, coordinatrice e segretaria di Consiglio di classe con frequenza annuale. Ho elaborato e tenuto il percorso di ricerca-azione “Sopravvivere alla vita: istruzioni per l’uso” nell’ambito della DLC.

Ho partecipato a svariate iniziative culturali come relatrice: dalla tavola rotonda organizzata dal Comune di Acireale sul saggio della prof.ssa Ferraloro inerente il romanzo di Tomasi di Lampedusa “Il gattopardo”, a conferenze di argomento letterario presso scuole, al progetto “Dante nelle chiese di Acireale”, organizzato dal vescovado (con relativa Lectura Dantis), al festival Naxoslegge con un’altra lectura Dantis e a presentazioni di libri.

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