Un recentissimo studio operato dai ricercatori del Museo Nazionale di Praga, diretto da Petra Brunker Havelkovà e Miroslav Bàrta, e pubblicato sulla rivista Nature Scientific Reports (https://www.nature.com/articles/s41598-024-63549-z) ha cercato di capire se i compiti ripetitivi e le posture mantenute dagli scribi possano manifestarsi in cambiamenti scheletrici e identificare possibili fattori di rischio occupazionale. Per fare questo, sono stati analizzati 69 resti scheletrici di individui maschili, tutti operanti la professione di scriba, provenienti dalla necropoli di Abusir e databili tra 2700 e 2180 a.C. In questi sono stati registrati cambiamenti degenerativi, con una particolare incidenza di osteoartriti nelle articolazioni.

Va innanzitutto precisato che il termine “scriba” ha un significato molto ampio e si riferisce a tutti quegli uomini che certamente sapevano leggere e scrivere (solo l’1% della popolazione era alfabetizzato), ma ricoprivano anche una vasta gamma di incarichi e di funzioni a palazzo. Molti di loro si occupavano esclusivamente della stesura di documenti amministrativi, svolgendo così un lavoro molto ripetitivo.

Per questo motivo, i ricercatori si sono occupati dei segni lasciati da tale lavoro macchinoso e ripetitivo sull’apparato scheletrico: infatti, si suppone che vari marcatori scheletrici che si manifestano siano indotti dall’attività in natura e riflettano un carico meccanico e compiti ripetitivi per tutta la vita. E, viceversa, che specifiche attività fisiche occupazionali possono rappresentare fattori di rischio per lo sviluppo di vari cambiamenti allo scheletro.

Per gli scribi nell’antico Egitto, ci sono prove (testuali, decorazioni murali in rilievo in tombe e statue) che forniscono informazioni sul modo in cui venivano svolte le attività lavorative. Gli antichi funzionari egiziani utilizzavano una sottile penna a pennello fatta di giunco ​. Scrivevano regolarmente su papiro, ostraca o tavole di legno. Si ha anche una conoscenza abbastanza accurata delle posture in cui svolgevano la loro professione e in cui trascorrevano periodi relativamente lunghi.

Posizioni di lavoro degli scribi: (A) posizione a gambe incrociate (sartoriale) (statua dello scriba dell’alto dignitario Nefer, Abusir; ph. Martin Frouz); (B) posizione inginocchiata-accovacciata (decorazione murale della mastaba del nano Seneb 29 ); (C) posizione in piedi (decorazione murale della mastaba del nano Seneb 29 ); (D) in base alla decorazione del rilievo della tomba, diversa posizione delle gambe quando si è seduti. Disegno di Jolana Malátková.

Da tale studio è emerso che le regioni maggiormente colpite da danni osteo-articolatori sono la regione cervicale (con particolare riferimento alla vertebra C7), l’articolazione temporo-mandibolare (che si collega al fatto che gli scribi masticassero e tagliassero con i denti i giunchi usati come penne), la spalla e l’arto superiore, la parte inferiore del corpo (in particolare anche e ginocchia).

Disegno indicante le regioni più colpite degli scheletri degli scribi con maggiore prevalenza di alterazioni valutate rispetto al gruppo di riferimento: entrambe le articolazioni temporo-mandibolari (OA); colonna cervicale (OA, spondilosi); spalla destra (OA della faccetta acromiale della clavicola e testa omerale, EC sul tubercolo maggiore dell’omero); primo osso metacarpale destro (OA); tuberosità ischiatica sinistra (EC); condilo femorale mediale destro (OA) e faccetta accovacciata mediale sull’astragalo destro. Disegno Jolana Malátková.

Dunque, la ricerca ha rivelato che restare seduti o inginocchiati a gambe incrociate per lunghi periodi di tempo, nonché svolgere compiti ripetitivi legati alla scrittura e alla regolazione delle penne durante l’attività di trascrizione, causavano un sovraccarico estremo delle regioni della mascella, del collo e delle spalle.

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