Per la prima volta in assoluto è stato ricostruito l’identikit di una delle vittime dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C.: è stato infatti sequenziato l’intero genoma da parte di un team internazionale di ricercatori – di cui fanno parte anche le università italiane di Roma Tor Vergata e l’Università del Salento. Si tratterebbe di un uomo di circa 35-40 anni, alto 164 cm e probabilmente affetto dalla malattia di Pott, una forma di tubercolosi extrapolmonare.
L’ “Individuo pompeiano A”, così è stato chiamato dai ricercatori, è una delle due vittime trovate nella Casa del Fabbro a Pompei, una delle meglio conservate. Come molti sanno, infatti, lo spesso strato di ceneri che ha ricoperto la città ha fatto sì che si conservassero corpi, strade ed edifici, nella posizione e nella forma in cui si trovavano nel 79 d.C. Inoltre, i materiali vulcanici hanno protetto i corpi da fattori ambientali che normalmente degradano la materia organica, come l’ossigeno. Questi fattori e le nuove metodologie scientifiche hanno reso possibile la mappatura dell’intero genoma di tale individuo, permettendo di conoscere non solo le sue caratteristiche fisiche e biologiche e il suo stile di vita, ma aprendo la strada anche a nuove ricerche.
Dagli studi è emerso che l’Individuo pompeiano A avesse un DNA affine a quello delle popolazioni dell’Italia centrale vissute durante il periodo imperiale, inoltre riporta alcune caratteristiche presenti solo nelle popolazioni sarde, probabilmente derivate da migrazioni avvenute dall’Anatolia durante il Neolitico.
“Il DNA era molto degradato, ma siamo riusciti comunque ad estrarlo. Spero che questo sia il punto di partenza per analisi più dettagliate sui campioni di Pompei” ha riferito Gabriele Scorrano, coordinatore della ricerca. Comunque, questi studi, per quanto complessi, hanno dimostrato la possibilità di estrarre e studiare materiale genetico dai siti archeologici con l’obiettivo non solo di ricostruire la vita del singolo, ma anche di tutta la società in cui è vissuto.