Voglio scrivere queste righe sulla situazione in Sudan in quanto avendo visitato questa meravigliosa terra ed essendo ancora oggi in contatto con persone che ci vivono mi sento particolarmente coinvolta. Il mio pensiero è rivolto sia alla popolazione afflitta e martoriata da un’insensata guerra che al suo immenso patrimonio culturale seriamente in pericolo.
Forse non tutti sanno che il Sudan è uno luogo ricco di storia, vivace bacino culturale e terra di etnie differenti dove si contano più di 100 lingue e dialetti nativi.
Il Sudan è la terra del leggendario regno di Kush dove antichi templi nubiani ed egizi convivono con oltre 200 piramidi (più del doppio dell’Egitto) e dove l’ingombrante presenza faraonica non ha impedito lo svilupparsi di una propria cultura dai caratteri peculiari e decisamente interessanti.
Gli avvenimenti che hanno portato alla guerra civile espongono tutto questo patrimonio ad altissimo rischio di distruzione. Con l’intensificarsi dei combattimenti, archeologi, curatori, accademici e volontari sudanesi stanno affrontando una situazione molto complessa e pericolosa, con l’intento di proteggere e preservare la ricca storia che il loro Paese racconta.
Dal 15 aprile 2023, da quando la leadership dell’esercito sudanese e un gruppo paramilitare originario della regione del Darfur non sono riusciti a raggiungere un compromesso su come unire le loro forze in un accordo di condivisione del potere, è scoppiata la violenta lotta: da una parte le forze paramilitari di supporto rapido (RSF – Rapid Support Forces), guidate dal generale Mohamed Hamdan Dagalo, dall’altra le forze militari di al-Burhan. In un primo momento tutto il paese sembrava essere teatro di scontri, ora l’impressione è che in molte regioni la situazione sia parzialmente rientrata; mi è stato riferito, ad esempio, che a Karima i bambini sono tornati a scuola, mentre il cuore degli scontri armati sembra essersi concentrato nella capitale, Khartum. Dall’inizio della guerra migliaia di persone sono state uccise, altrettante ferite e milioni di civili sono stati costretti a lasciare le proprie case.
Nonostante i molteplici tentativi di tregua la violenza non smette di dilagare tra le fazioni rivali. Gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni alle società legate al conflitto in Sudan con l’intento di sedare gli scontri tra le fazioni in guerra e il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha invitato le RSF e l’esercito sudanese a fermare i combattimenti per consentire almeno l’accesso degli aiuti umanitari, invitando le parti a “riprendere le trattative verso il raggiungimento di una duratura, inclusiva e democratica soluzione politica”. Ma a nulla sono valsi i tentativi, come testimoniano i civili che raccontano di continui scontri tra RSF e militari nei distretti di Khartum, anche nei giorni di tregua.
Certo, in una città dove i negozi non hanno scorte di cibo, nessun bancomat funziona più, dove le banche sono state rapinate, la corrente elettrica non è garantita costantemente, dove la gente deve affrontare la fame e sente costantemente minacciata la propria sopravvivenza, pensare ai musei e ai siti archeologici può sembrare superfluo, per i sudanesi stessi questi luoghi in questo momento rappresentano un lusso di cui ora non hanno bisogno. Tuttavia, anche se i siti culturali costituiscono la minima preoccupazione per i civili coinvolti nei combattimenti, il conflitto riecheggia fortemente in molti strati della storia del paese.
Nonostante le difficoltà si è cercato di organizzare misure di sicurezza. Per questo è entrata in azione Heritage for Peace, un’organizzazione dedicata alla conservazione del patrimonio culturale durante le guerre (in Siria ha già contribuito al salvataggio dei manufatti dallo Stato Islamico), assistita dal Sudan Heritage Protection Initiative dell’Università di Birmingham e dal Centro Polacco di Archeologia Mediterranea dell’Università di Varsavia. Sotto la loro supervisione decine di volontari, comunità locali, archeologi e professionisti del settore hanno preparato piani di evacuazione dei musei e stanno documentando i danni occorsi ai preziosi siti presenti in tutta la nazione. Il gruppo è riuscito a posizionare guardie vicino alle aree archeologiche e ai musei fuori dalla capitale, mentre i musei di Khartum, irraggiungibili dal gruppo, cercano di proteggere come possono il patrimonio del Sudan, i suoi manufatti e i suoi secoli di storia. Preoccupante è l’assenza di informazioni sullo stato di alcuni musei vicini alle zone afflitte dai combattimenti più intensi. Ora tutti questi luoghi meravigliosi testimonianza di memorie collettive sono diventati potenziali bersagli di saccheggiatori e contrabbandieri. I volontari hanno lottato per poter entrare nella maggior parte dei 13 musei di Khartum, ma i combattenti hanno già saccheggiato e incendiato musei della capitale e inestimabili archivi universitari.
Heritage for Peace ha fatto appello a entrambe le fazioni affinché il patrimonio del Sudan non venga toccato, muovendosi in modo da prevenire le esportazioni clandestine di beni culturali e fermare gli scavi illegali nei siti archeologici, ma sin dai primi giorni della guerra, dal 2 giugno 2023, il Museo Nazionale sudanese è stato occupato dal gruppo militare delle Rapid Support Forces ed è da allora che girano segnalazioni di saccheggi e atti vandalici ai danni dell’immenso patrimonio culturale conservato nel prestigioso museo di Khartum. Da allora, per la prima volta, la RSF era stata accusata di essere razziatrice, anche se precedenti analisi satellitari avevano rilevato che numerosi siti del patrimonio culturale avevano subito danni sin dall’inizio del conflitto. Già dalla loro occupazione al museo erano circolate informazioni che ne denunciavano il saccheggio, convalidate poi dalla trasmissione di un videoclip dove si vedevano membri delle Rapid Support Forces in movimento al suo interno. Le preoccupazioni si sono intensificate quando le immagini satellitari ottenute dal Cultural Heritage Monitoring Lab, composto da una coalizione di esperti di diverse università statunitensi, hanno confermato che gli edifici appartenenti al Museo erano stati danneggiati da un incendio. I guerriglieri della RSF, però, avevano immediatamente smentito quelle accuse, affermando che erano “ben consapevoli del valore e del significato dei manufatti” e dell’importanza di salvaguardare il patrimonio culturale del Paese, garantendone quindi l’incolumità; ma l’archeologa francese Roxanne Trioux aveva dichiarato a Reuters che il suo team, monitorando le immagini satellitari del museo, aveva segnalato potenziali segni di incendio, confermando l’allarme lanciato dagli studiosi americani.
In questi giorni fonti attendibili hanno confermato che è in atto un’operazione di saccheggio e contrabbando su larga scala.
Secondo un rapporto di questa settimana dell’emittente nazionale del Sudan SBC, e come riportato nel Middle East Eye, immagini satellitari hanno monitorato i movimenti di diversi camion carichi di reperti che hanno lasciato il museo all’inizio dell’anno diretti verso il confine con il Sud Sudan. Il rapporto della SBC non ha specificato quali oggetti sono stati saccheggiati, ma fonti strettamente correlate hanno confermato che una serie di reperti del museo sono già in vendita online anche tramite diversi canali social, ma non sono in grado di confermare se le operazioni di compravendita siano state concluse o meno. La SBC ha ottenuto anche materiale fotografico che conferma la presenza sul mercato dei contenuti del Museo Nazionale.
Tra la guerra civile in corso e la crisi umanitaria del paese, c’è un crescente e giustificato allarme che il patrimonio culturale del paese possa affrontare la stessa sorte di Iraq e Siria, paesi che hanno subito pesanti saccheggi di massa durante i conflitti.
L’anno scorso, le autorità museali del Sudan avevano richiesto assistenza al Cultural Heritage Monitoring Lab dello Smithsonian Institution e alla Smithsonian Cultural Rescue Initiative per monitorare 14 siti culturali nel paese. I due enti dello Smithsonian hanno successivamente esaminato le immagini satellitari ad alta risoluzione disponibili per i 14 siti. Secondo un rapporto steso dallo Smithsonian, compilato nel dicembre 2023 e reso pubblico nel giugno 2024, il Sudan National Museum, l’Ethnographic Museum e l’Old Republican Palace – tutti ubicati a Khartum – sono stati danneggiati dall’inizio della guerra civile.
Inoltre, l’Unesco ha affermato di essere “profondamente preoccupato” per le segnalazioni di attività militare sull’isola di Meroe, un sito patrimonio dell’umanità che comprende la città reale dei re kushiti a Meroe, il sito religioso di Naqa e il complesso del tempio Musawwarat es Sufra.
L’Unesco chiede alla comunità internazionale di essere vigile sul traffico illecito di beni culturali dal Sudan.
Ricordiamo che il Museo Nazionale del Sudan è uno dei più grandi musei del Sudan. Fu aperto per la prima volta nel 1904 e poi trasferito nella sua attuale sede in Nile Street a Khartoum nel 1971. Si tratta di una struttura a due piani costruita nel 1955 che conserva beni archeologici di alto valore nazionale, storico e materiale che testimoniano tutti i periodi della civiltà sudanese spaziando dall’età della pietra al periodo islamico, passando per il cristianesimo e la Makuria medievale. Tra le collezioni più importanti sono da segnalare quelle della civiltà nubiana, del regno di Kush e del periodo mediovale di Alwa. Preziosi i reperti della cultura Kerma (3.000-1.500 a.C. ca.), Napatea (760-300 a.C. ca.) e Meroitica (300 a.C.-300 d.C. ca.), dell’antica Nubia e della sua sovrapposizione con il Medio e Nuovo Regno d’Egitto (ca. 2050- 1790 a.C. e 1570-1069 a.C.). Il cortile e il giardino sono un museo all’aperto che ospita statue di diverse dimensioni, numerosi templi, tombe, monumenti commemorativi anche afferenti alla civiltà egizia: tutti beni archeologici salvati dalle acque del lago Nasser prima che la diga allagasse le aree di Wadi Halfa. I monumenti e le tombe erano stati rimontati nella corte del museo attorno a un bacino d’acqua che rappresenta il fiume Nilo, così da restituire al visitatore un’immagine che ricordasse la loro posizione originale. Innegabilmente il Museo Nazionale è l’orgoglio del Sudan, è un’enorme testimonianza della storia umana e rappresenta il prezioso risultato di uno sforzo internazionale che ha portato alla realizzazione di uno scrigno patrimonio mondiale dell’UNESCO.
In questo momento così difficile la fortuna ha voluto che allo scoppio della guerra l’edificio principale del Museo fosse in fase di ristrutturazione, quindi la maggior parte dei reperti era già stata imballata e portata nel deposito. Ciò ha impedito che in un museo diventato campo di battaglia i reperti diventassero bersaglio degli scontri a fuoco, ma questo non ha garantito comunque la completa incolumità dei reperti ora oggetto di contrabbando. Nessuno sa quanti danni il Museo abbia subito. Dal rapporto steso a fine aprile dall’International Council of Museums (ICOM) emerge una grande preoccupazione per il Tempio di Buhen (il tempio costruito in alta Nubia dalla regina egizia Hatshepsut nel 1500 a.C. circa i cui resti sono conservati nel giardino del Museo) e per la tomba di Muhammad Ahmad, conosciuto come il Mahdi, colui che ha combattuto il dominio coloniale britannico nella seconda metà del XIX secolo e ha contribuito a stabilire uno stato islamico all’interno del Sudan. Inoltre, contrassegna come potenziali obiettivi di saccheggio e distruzione anche il Museo Etnografico[1], il museo del Palazzo della Repubblica[2] e quello di Storia Naturale[3] dove la paura è di perdere esemplari incapaci di sopravvivere al conflitto, nessuno può raggiungere gli animali per dar loro cibo o acqua. La perdita di esemplari vivi significherebbe la fine di molte specie. Questi animali rappresentano un importante segmento della storia del Paese e se dovessero morire di loro rimarrà solo la documentazione archiviata nel museo, sempre che questa resista incolume. La stessa desolante situazione avvolge anche gli altri musei della città.
Il 26 aprile 2023 era arrivato con un tweet un appello allarmante di Sara Abdalla Khidir Saeed (direttrice del Museo di Storia Naturale del Sudan) pubblicato da ICOM ARAB, un’estensione territoriale del Consiglio Internazionale dei Musei. Con questo appello la direttrice sottolineava la precaria sicurezza in cui versavano (e versano tuttora) i musei di Khartum “presi nel fuoco incrociato delle battaglie tra le parti in conflitto. I musei sono ora senza sorveglianza, impossibile proteggerli da saccheggi e atti di vandalismo”.
Tutte le speranze che fino a un anno fa si nutrivano per una trasformazione democratica del Sudan ora hanno lasciato posto alla disperazione, il paese si trova in una situazione in cui è impossibile dare priorità al suo ricco patrimonio. La guerra ha bloccato e annullato tutti i recenti sforzi compiuti dal Sudan per restituire la sua storia e far conoscere i suoi siti archeologici. Ovviamente si sono interrotte anche le negoziazioni in atto per la restituzione degli oggetti dell’era coloniale africana dai musei occidentali verso i paesi di origine.
Sfortunatamente, come afferma la direttrice Saeed: “Alla luce del quotidiano peggioramento della situazione, a causa della mancanza di cibo e risorse vitali, le anime deboli saranno sfruttate per rubare manufatti importanti e contrabbandarli fuori dal Paese. La guerra in Sudan deve essere fermata immediatamente”.
Noi di MediterraneoAntico, che in Sudan abbiamo lasciato un pezzetto del nostro cuore, siamo vicini alla sua ospitale popolazione e ci auguriamo che finisca presto questo incubo che ha spinto tanta gente e amici cari ad abbandonare il proprio paese; ma siamo anche molto preoccupati per la sorte di una terra custode di un patrimonio ricco di storia e che tanto amiamo. Per questo ci uniamo all’appello dell’UNESCO, della direttrice Saeed, del Museums Association e di tante altre associazioni e studiosi che si sono rivolti alla comunità internazionale affinché il patrimonio culturale del Sudan venga salvaguardato e con esso venga tutelato il suo popolo già troppo martoriato da un’insana guerra civile.
Condividete l’hashtag #Rescue_Sudan_National_Museum
Let’s move to save the heritage of the Nile Valley! (Muoviamoci per salvare il patrimonio della valle del Nilo!)
[1] Museo Etnografico. Fondato nel 1956 dai coloni britannici, è un luogo affascinante che consente ai visitatori di conoscere le varie etnie del Sudan, le loro culture e tradizioni.
[2] Museo del Palazzo Presidenziale, sede della storia moderna del Sudan.
[3] Museo di Storia Naturale del Sudan. E’ uno dei musei più antichi del Sudan: istituito nel 1929, è annesso all’Università di Khartum.