La mummia del cosiddetto “Golden Boy”, conservata nei magazzini del Museo Egizio del Cairo di piazza Tahrir, è stata avvolta dal mistero sin dalla sua scoperta, avvenuta nel 1916 nella necropoli di Nag el-Hassay, nel sud dell’Egitto, datata tra il 332 e il 30 a.C.
Ma chi era davvero quel ragazzo?
Lo splendido sarcofago che contiene la mummia del ragazzo è rimasto nel piano seminterrato del Museo fino al 2015, quando è stato esaminato per la prima volta dal Dott. Sahar Selim, professore di radiologia presso la facoltà di Medicina dell’Università del Cairo, in collaborazione con la Dott.ssa Sabah Abdel-Raziq, Direttrice generale del Museo Egizio di piazza Tahrir e il Dott. Mahmoud Al-Halouji, ex direttore del Museo, utilizzando i raggi TC, la radiologia avanzata, i moderni programmi per computer e la stampa 3D.
Il ragazzo aveva 14 o 15 anni e il suo corpo è stato imbalsamato con grande perfezione: tutte le viscere sono state rimosse e deposte nei vasi canopi ad eccezione del cuore, ancora visibile attraverso i raggi X, mentre il cervello è stato sostituito con delle resine. Inoltre, sempre attraverso la TAC, è stato possibile individuare quanto è presente al di sotto delle bende di lino: una maschera dorata intarsiata di pietre preziose, un cartonnage a copertura del busto e dei sandali bianchi, che dovevano permettere al defunto di uscire dalla bara e iniziare il suo viaggio, come viene riportato nel Libro dei Morti.
Il giovane era alto 128 cm, aveva un volto ovale, con naso piccolo e mento stretto. La sua identità rimane sconosciuta, ma doveva essere sicuramente di rango elevato, data la sua buona igiene dentale e l’alta qualità della sua mummificazione. Comunque, non è possibile risalire alla causa della sua morte.
L’aspetto senza dubbio più interessanti e affascinante riguarda la scoperta di 49 amuleti in una disposizione decisamente eccezionale di tre colonne tra le pieghe delle bende e all’interno delle cavità del corpo della mummia. Sono riconoscibili 21 forme differenti, tra le quali spiccano l’occhio di Horus, lo scarabeo, l’amuleto akhet dell’orizzonte, la placenta e il nodo di Iside, alcuni in oro, altri in faience e pietre preziose. Lo scopo di questi amuleti, come sottolineato dal Dott. Sahar Selim nello studio pubblicato sulla rivista Frontiers in Medicine il 24 gennaio 2023, era quello di proteggere il defunto nel suo lungo viaggio verso l’Aldilà.
Tra gli amuleti vi è anche una lingua d’oro, posta nella bocca del ragazzo, che secondo le credenze degli antichi egizi serviva al defunto per parlare di fronte al concilio degli dei una volta raggiunto l’Aldilà. Interessante è anche la presenza di un amuleto a forma di indice e medio, posto sulla parte inferiore del busto, in prossimità delle incisioni effettuate dagli imbalsamatori per estrapolare le viscere.
Questo studio, senza ombra di dubbio, ha fatto luce anche sulle pratiche sociali e sulle credenze religiose degli antichi egizi, dimostrando ancora una volta la loro abilità tecnica nel processo di mummificazione oltre all’abilità artigianale nella realizzazione di splendidi amuleti.
Inoltre, l’uso della tecnologia e delle tecniche moderne dell’imaging medico tridimensionale ha contribuito a fornire una visione preziosa della mummia, motivo per il quale il Museo Egizio del Cairo ha deciso di spostarla nelle sue sale espositive, dove è stata soprannominata “La mummia del ragazzo d’oro”, ed è quindi visibile assieme alle scansioni TC e ai raggi X.