In questo articolo prendo spunto da una domanda fattami, cui ho risposto con un post. Accolgo l’invito di Tiziana di ampliarlo un po’ poiché tali riflessioni su questo tema non sono facili da trovare in pubblicazioni ed ancor meno in documentari. Vediamo dunque di cosa si tratta.

La domanda era: “Possiamo dire che nell’antico Egitto funzionava un Io collettivo mentre dai greci in poi la civiltà occidentale si è organizzata in Io individuali?”

Alessandro Magno. Museo di Alessandria. © Archivio CRE/Maurizio Damiano

Domanda quanto mai stimolante poiché noi, studiosi d’Egitto, siamo (qui in Italia e in Europa, Occidente) alla fin fine “figli dei Greci”, e pertanto perennemente portati a comparare le due culture. Esercizio assolutamente – non solo lecito ma – costruttivo; stimolante e costruttivo. Ma pericoloso. Questo perché siamo esseri umani, e in quanto tali soggetti al fenomeno della proiezione. Il ché in sé non è né utile né dannoso; si tratta di un fenomeno incluso nel più grande processo di apprendimento, grazia al quale noi siamo le persone che siamo, frutto della nostra biologia, genetica, cultura, educazione, delle esperienze, insomma, quindi della nostra storia personale. E tutto ciò si fa con meccanismi ben precisi, uno dei quali è la proiezione.

Ora, se non ne siamo coscienti questo fenomeno è fonte di guai inenarrabili: ci porterà a non comprendere chi è diverso da noi, pretendendo che tutto ciò che non riflette il nostro pensiero sia sbagliato; ci porterà a proiettar fuori il nostro pensiero, e a confondere l’immaterialità dell’idea, del sogno, del desiderio, con la realtà: è l’aspettativa, fonte delle delusioni. Per capirci: se io mi attendo 100 e mi si dà 50 sarò infelice. Ma se io mi attendo 0 e ottengo 10 sarò felice. Niente proiezione, niente aspettative, vita migliore. Questo fenomeno poi, culturalmente, è ancora più devastante: ci porterebbe a proiettare la nostra cultura come metro di giudizio di tutte le altre e, maggiori saranno le differenze rilevate, più grave sarà il giudizio. E questo ha portato a razzismo e stermini.

Autobiografia di Uni. Questa grande stele di calcare fu ritrovata, il 17 febbraio 1860, da Auguste Mariette in una mastaba di Abydos (area della necropoli centrale). Misura m. 2,75 x 1,13 x 0,30 di spessore; Museo del Cairo (n. J. d’E. 34570).          © Archivio CRE/Maurizio Damiano

Tuttavia, se siamo coscienti dell’esistenza di questo meccanismo, possiamo evitare la proiezione oppure gestirla come strumento di pensiero. Allora sarà un prezioso strumento comparativo. Perdonatemi questa lunga introduzione, ma credo che ciò renda più comprensibile la risposta.

Eccoci qua, dunque: “Possiamo dire che nell’antico Egitto funzionava un Io collettivo mentre dai greci in poi la civiltà occidentale si è organizzata in Io individuali?” La risposta è: sì e no.

Diciamo che, così formulato, il concetto può indurre in errore.

La risposta è sì nel senso che l’Egitto fu organizzato fondamentalmente (ma parzialmente) in Io collettivo o piuttosto, come io preferisco, “universo costellativo”; preferisco questa definizione poiché evidenzia il concetto di conservazione dell’Io, dell’individualità che è rispettata.

Mi spiego meglio: l’idea di “io collettivo” vede una personalità emergente (ape regina, faraone) e una popolazione asservita passivamente (come in un alveare o formicaio). L’idea di “civiltà occidentale organizzata in Io individuali” per contro dà l’idea di una utopistica società in cui la collettività formata da “Io” individuali si autogestisce nel migliore dei modi. Purtroppo, come sappiamo, così non è, né mai è accaduto. Lungi dal coltivare l’Io più sano ed equilibrato per un’autogestione e per la miglior gestione autocosciente della società, al contrario sin dalla società greca si è coltivato piuttosto l’Ego. Ora, Ego personale, il coltivarlo, il suo farne tema di materia “auto cultuale” è ciò che ha portato ai paradossi della Grecia antica: i tiranni, gli oligarchi o coloro che sono apparenti eroi della democrazia ma in realtà ne sono capi, l’immagine di una “civiltà occidentale organizzata in Io individuali”, contiene in realtà una sorta di ossimoro intellettuale, poiché l’Io individuale è rimpiazzato piuttosto dall’Ego e dunque in contrasto con qualsiasi idea di organizzazione (si veda per esempio l’istruttivo saggio greco di anonimo ateniese: “la democrazia come violenza”).

Biografia di Harkhuf, sulla facciata della sua tomba a Qubbet el Hawa, Assuan (VI dinastia, regni di Merenra e di Pepy II).   © Archivio CRE/Maurizio Damiano

La prova più lampante ne sia il fatto che la tanto esaltata cultura greca (che io ammiro per tanti versi, sia chiaro) non fu mai capace di evolvere neppure dallo stato larvale, ossia, non fu mai capace di creare uno Stato. Solo città-stato l’una contro l’altra armate, anche alleandosi con fieri nemici della Grecia. Dovette essere conquistata da stranieri (i macedoni Filippo e poi Alessandro) per vedere – obtorto collo – finalmente una parvenza di unità nazionale. Ora, gli Egizi, come fecero molto spesso essendo una società etica, ossia che aveva come obbiettivo costante il benessere collettivo, cercarono una sana via di mezzo. Crearono una società “piramidale”, ossia con un monarca assoluto e semi divino, con una serie di sottoposti che dirigevano il paese in una serie scalare di gradi sino al popolo.

In questa struttura, simile all’alveare o al formicaio, manca però l’annientamento della personalità del singolo. Al contrario, la personalità, che continua a conservare la propria autonomia (come le stelle del firmamento) entra a far parte di un universo costellativo; è una luce che brilla in seno alla costellazione. Ossia, si fonde con la collettività senza perdere la propria individualità. E soprattutto – non va mai dimenticato! – l’Egitto seppe creare una società tanto etica quanto meritocratica. I “cacciatori di teste” del Tempio, come fanno i loro omologhi americani di oggi, giravano per il paese per cercare le menti più brillanti, a prescindere dal fatto che si trattasse del figlio di contadino o di nobile. Così, portatolo alla scuola del Tempio, se avesse avuto le giuste qualità, avrebbe fatto carriera superando figli di nobili o principi.

Tomba, a Moalla, di Ankhtifi, vissuto sotto la 10a e 11a dinastia; la tomba contiene un interessante testo biografico.           © Archivio CRE/Maurizio Damiano

Ma, al contrario della cultura greca, quella egizia non esalta l’Ego se non ai fini della comunità. Ne siano esempio le autobiografie in cui l’autocompiacimento non esalta l’Ego, ma ciò che il defunto ha saputo fare per la collettività; ed è la dimensione in cui l’individuo esalta e trova il profondo significato di sé stesso. Per capirci ancora meglio: l’Egitto non fu un “organismo” che spersonalizza i membri come l’alveare o il formicaio; al contrario, seppe integrare l’Io personale con l’organizzazione collettiva, ciò che non ne fece un “organismo” ma un’organizzazione, in cui l’Io si manteneva intatto ed esaltava nell’organizzazione sociale, e l’Ego si diluiva nella costruzione collettiva.

Insomma, hanno saputo mettere in pratica ciò che rimase solo un sogno di J.F. Kennedy: “Non chiedete cosa può fare il vostro paese per voi, chiedete cosa potete fare voi per il vostro paese”.

Ecco, gli Egizi lo realizzarono per millenni e fu solo grazie a questo concetto basilare che poterono creare, far vivere per millenni e lasciarci la civiltà più avanzata (socialmente e psicologicamente) del nostro pianeta.

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Maurizio Damiano

Egittologo, archeologo, Maurizio Damiano è oggi in Italia e all’estero un’autorità in materia, un nome associato a numerosi scritti, a tante spe­dizioni, organizzate e dirette in prima persona, un’attività scientifica ad alto livello intrapresa con la caparbietà e la passione che soltanto i sici­liani possiedono, quelli che sentono scorrere nel­le vene il fuoco dell’Etna, e fin da piccoli sono av­vezzi ad inerpicarsi per i suoi impervi sentieri.
Nasce a Randazzo nel 1957, i genitori sono due medici, l’ambiente familiare piuttosto aperto e stimolante, non mancano i viaggi ed i riferi­menti culturali, e poi c’è il nonno, Antonio Petrullo, con i suoi ri­cordi dell’Africa, a gettare inconsapevolmente un seme destinato a germogliare con gli anni.
Né va dimenticato lo zio materno, Alfio Petrullo, geniale scrittore, poeta e ricercatore del Tutto che pone i semi di un’apertura mentale, all’epoca di certo inusuale, nella mente del giovanissimo Maurizio.
Quest’ultimo fre­quenta la scuola statale, le medie al San Basilio, ed il Liceo, dove incontra, come professore di Storia dell’Arte, don Virzì, ed ha modo di affinare, nei lunghi colloqui con lui, la già grande passione per l’archeologia, nata probabilmente dalla fascinatio esercitata su di lui da bambino dagli spettacoli al Teatro Greco di Siracusa che vedeva assieme ai genitori; una passione per l’archeologia indirizzata e resa più solida dalla preparazione con don Virzì, e che Maurizio esterna esplorando con gli amici il territorio circostante.
A quel tempo colti­va anche l’hobby della pittura.
Poi la svolta: a 17 anni, assieme alla famiglia, lascia Randazzo, si iscrive a Medicina sotto la pressione dei genitori, ma poi la lascerà per Scienze naturali all’Università di Pavia, ma si laurea nell’88,perché nel frattempo premo­no altri interessi: la scintilla scocca quando visita il Museo Egizio di Torino, e ne incontra il diretto­re, Silvio Curto, poi sovrintendente per le Anti­chità Egizie in Italia, sotto la cui guida inizia gli studi di Egittologia.
Da quel momento ha incon­trato la sua vocazione e la sua strada.
Si specializ­za in Archeologia Egizia; poi in Storia ed Archeo­logia Nubiana, tiene corsi e seminari, diventa col­laboratore del Museo Egizio di Torino, e dal 1998 inizia l’attività di docente all’Università Aperta di Imola.
A quella teorico scientifica si affianca un’attività pratica frenetica ed incessante: fonda e coordina il Progetto Nubia (1979-1988), finanziato negli anni da vari sponsor, tra cui il ministero per gli Affari Esteri e l’istituto Italo-Africano, lavora in Sudan con varie agenzie dell’ONU; dal 1979 effettua ri­cerche nei deserti d’Egitto e Nubia.
La Nubiologia diviene la sua prima specializzazione, il «Progetto Nubia», infatti, è un progetto esplorativo e di ca­talogazione delle antichità della Nubia sudanese, grazie al quale si è resa possibile la creazione del primo archivio fotografico delle antichità nubia­ne e delle civiltà limitrofe (ad oggi uno dei più grandi archivi al mondo: oltre 1.000.000 di immagini dell’Egitto, Libia, Giordania, Israele, Libano, Siria, ecc., e una vastissima cartografia archeologica computerizzata).
Al nome di Maurizio Damiano sono lega­te scoperte e rinvenimenti di interesse storico: numerose necropoli meroitiche, un tempio dello stesso periodo, necropoli dell’epoca di Kerma e centinaia di siti preistorici.
Tra l’altro è ideatore e coordinatore generale del «Progetto Prometeo», di ricerca nei deserti d’Egitto e Sudan, in seno al quale ha esplorato per primo le aree più lontane del Deserto Occidentale egiziano, realizzandone la cartografia; ha scoperto l’oasi di Zerzura (quel­la cercata invano dal protagonista del film II pa­ziente inglese), la «pista di Alessandro Magno», un villaggio minerario egizio, cave, miniere, for­tezze romane… colmando inoltre varie lacune storiche.
Ha contribuito a fondare il CISE (Centro Italiano Stu­di Egittologici) di Imola e fondato il CRE (Centro Ricer­che Egittologiche) di Verona, organismo tutt’oggi da lui diretto che, fra l’altro, si occupa di realizzare la ricostruzione in realtà virtuale di intere aree archeologiche, e che ha ricevuto la concessione per la missione permanente di ricerca e scavo nel deserto presso la Valle dei Re e la costruzione di una sede a Tebe, poi mutata nell’ampia concessione per l’intero Deserto Occidentale egiziano, in cui le ricerche sono state portate avanti sino al 2011 e poi interrotte per le vicende politiche e la proibizione da parte dei militari a qualsiasi accesso nell’area, ritenuta pericolosa per la situazione libica.
Nel frattempo Maurizio Damiano, che è membro di varie associazioni cul­turali internazionali, organizza mostre, come quella del 1984-85 nella Galleria del Sagrato a Milano, tiene cicli di conferenze, partecipa a con­vegni, prende parte a servizi radiofonici e televisi­vi per la Rai e le Tv private, scrive libri, relazioni ed articoli.
Ne ha pubblicato circa un centinaio, per riviste italiane ed estere, quali Archeologia Viva, Historia, Farmacia Naturale, Nigrizia.
Fra le pubblicazioni, che ad oggi contano 21 volumi in Italia e all’estero, ricordiamo:
Oltre l’Egitto: Nubia (Electa, 1985), Il sogno dei faraoni neri (Giunti, 1994), Egitto e Nubia (Mondadori, 1995), Dizionario en­ciclopedico dell’antico Egitto e delle civiltà nu­biane (Mondadori, 1996), la grande opera divul­gativa Egitto.
L’avventura dei faraoni fra storia e archeologia, in quattro volumi, edita anche a fa­scicoli per la Fabbri, la realizzazione di due Cd­-rom: I tesori del Nilo (1998) e La Valle ‘dei Re (1999), e i due DVD di 150 minuti: Le meraviglie d’Egitto. (2004).
Nell’immaginario collettivo l’archeologo è sempre stato una figura affascinante, che vive esperienze ed avventure misteriose.
Ma oggi il nostro personaggio, oltre alla vanga, usa anche il computer, e per condurre le sue ricerche e realiz­zare le sue opere si avvale di tecnologie moderne e sofisticate.
A dispetto di quanti, nell’era di In­ternet, vorrebbero mandare in soffitta tutte le di­scipline «antiche», l’archeologia oggi ha avuto un nuovo impulso, e sembra po­tere registrare ancora notevoli progressi proprio grazie al sussi­dio delle scienze informatiche e multimediali. Sposa­to dal 1987 e separatosi nel 2014 per il ritorno della ex moglie nella città natale (Parigi; e come non comprendere la nostalgia del paese natìo?), è padre di Louise e Colette

(Tratto dal sito http://www.randazzo.blog/2017/09/04/maurizio-damiano/ )

1 COMMENTO

  1. Il concetto di persona “costellativa” fu proposto da Jan Assmann nel suo commento del “Dialogo tra se stesso e anima”, papiro Berlino 3024. “Una persona viene in esistenza, vive, cresce ed esiste costruendo una sfera di “costellazioni” sociali e corporee ed è annichilato se tale sfera è distrutta. Perciò propongo di chiamare tale concetto di persona “costellativo”…

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