La festa-sed (heb-sed) era per gli Egizi una delle più importanti della regalità. Oggi tradurremmo la parola “sed” come “giubileo”, e in effetti la festa giubilare – ancora oggi celebrata nei moderni stati monarchici – deriva dall’antico rito egizio, anche se il significato è ovviamente cambiato.
Nell’Egitto preistorico il sovrano veniva ucciso quando era troppo vecchio per regnare; le ragioni erano due: da una parte, vi era una ragione di carattere magico-religioso: il re incarnava il Paese (o, nella preistoria, il clan, la tribù) e dunque tutto ciò che concerneva la sua persona, la sua debolezza, la sua vecchiaia, i suoi mali si sarebbero riflessi sull’intera comunità. Queste constatazioni di carattere metafisico riposavano su osservazioni più concrete; in effetti la seconda ragione che portò ai sacrifici (e più tardi al giubileo) era più pratica e concerneva l’impossibilità fisica o psichica, per un re troppo vecchio, di reggere lo Stato; questo, in una struttura sociale di tipo piramidale, avrebbe portato alla paralisi delle strutture e al caos, come in effetti successe alla fine di regni, pur gloriosi, ma troppo lunghi (Pepy II, Ramses II).
Così la soluzione dei popoli con tale struttura (non solo d’Egitto e non solo preistorici) era quella di uccidere i vecchi re.
In un momento imprecisato della preistoria più recente (forse nel Neolitico, ma comunque nel Predinastico) venne creata la festa-sed; il rituale nasce proprio dall’esigenza di ridare forze al sovrano senza ucciderlo, come invece si faceva nella lontana preistoria, ma com’era uso, per esempio, anche presso tribù dell’Alto Nilo sino ai primi del XX secolo.
Il nome “sed” derivava dalla coda di toro, simbolo di potenza e attributo di re e dei; certamente il nome era connesso anche con il dio Sed, a forma di canide e associato a Wepwawet, a sua volta accostato più tardi ad Anubis.
Sappiamo che uno dei più antichi calendari, di remota origine preistorica, fu quello lunare, ove il mese era di 30 giorni; e di 30 anni era la cadenza della prima festa sed. Le due cose sono connesse? I 30 anni, che sappiamo con certezza essere connessi con l’elementare realtà biologica dell’invecchiamento, sono simbolicamente legati anche ai 30 giorni lunari, come simbolo della rinascita? La luna infatti, dopo la fase di luna nuova, rinasce per arrivare alla gloria luminosa della luna piena. Ad oggi, non è dato sapere se le due cose furono connesse; ciò che sappiamo, però, è che entrambe sono parte di quel fiorente periodo preistorico che vide nascere fondamentali idee sacre e profane, religiose e secolari (anche se dobbiamo tener presente che tali differenziazioni sono solo nostre, peculiari dell’Occidente moderno, sulla scia della mentalità analitica greca; negli altri popoli dell’antichità, era un tutt’uno).
La festa sed, essendo motivata dalla causa prima dell’invecchiamento biologico del re, può dunque considerarsi innanzi tutto una festa secolare (potremmo dire “naturale”) ma, come tutto nell’antico Egitto, era strettamente interconnessa con gli aspetti sacrali, divini, oltremondani, metafisici. Il tutto per far confluire le forze naturali nel punto focale, nello scopo ultimo di ridare forza, vitalità e virilità al faraone senza il rito dell’uccisione preistorica.
Così si comprende bene la particolare cadenza della festa: il giubileo infatti veniva generalmente celebrato dopo i primi 30 anni di regno, ossia, quando potevano iniziare a manifestarsi i segni della nuova fase biologica del sovrano: l’invecchiamento.
Dopo il giubileo del 30° anno, i giubilei venivano celebrati ogni 3 anni o, in caso di necessità, sempre più spesso. Ramses II arrivò a celebrarne 14: dopo il primo, gli altri si susseguirono ogni 3, 2 addirittura dopo un anno, viste le condizioni fisiche del sovrano che già dagli 80 anni aveva sviluppato una grave forma di arteriosclerosi e la cui salute fisica e mentale si deteriorava ovviamente sempre di più.
Ma anche quello del giubileo al 30° anno non era un dogma (l’Egitto era una società a-dogmatica): per differenti ragioni il faraone poteva decidere di celebrarlo in altri momenti, generalmente anticipandolo. Vista infatti la finalità dell’heb-sed, ossia rinnovare le forze, se il faraone si sentiva indebolito, se era malato, poteva decidere di celebrare il giubileo (o, se il sovrano era ormai in condizioni di non poter decidere, lo facevano i reggenti per lui). Così non mancarono i casi in cui il re, salito al trono troppo vecchio (per esempio Adjib) celebrasse il giubileo dopo pochi anni di regno; inoltre alcuni sovrani che erano stati associati al trono forse celebrarono la festa sed calcolando gli anni di regno dall’inizio della coreggenza.
Né mancarono anche altre motivazioni per celebrare la festa. Lo fece per esempio Akhenaton, che celebrò il giubileo addirittura nel 2° – 3° anno, evidentemente per tutt’altre ragioni, legate probabilmente alle sue idee di innovazione religiosa, dunque una “rinascita giubilare” di tutt’altro tipo, ma con lo stesso senso.
E vediamo adesso quali erano le modalità di celebrazione della festa giubilare. Innanzi tutto, come possiamo conoscere tutto ciò? Come sempre, ci rivolgiamo agli egizi, ai loro testi, alle loro immagini. I primi cenni sono le raffigurazioni della corsa del sovrano intorno ai cippi confinari dell’Egitto (v. sotto per i dettagli), che appaiono su tavolette sin dalla 1a dinastia; altre immagini ci vengono da tutti i periodi successivi, di cui possiamo ricordare le statue in abito della festa sed (da Djoser a Montuhotep II a molti altri faraoni), o rilievi come la già citata corsa intorno ai cippi confinari, che ora appare anche sui monumenti, come nei celebri sotterranei di Djoser; e sempre il complesso di Djoser conserva anche le strutture in cui si svolse il rituale: i cippi confinari, il cortile dell’intronizzazione con la pedana, le cappelle. Né vanno dimenticati i numerosi rilievi che raffigurano il sovrano seduto sul trono alcaico, due volte, con le corone del Doppio Paese (v. sotto).
Prima di analizzare la festa vera e propria, ricordiamo ancora che il tutto richiede strutture apposite (cortili, cappelle, pedane, ecc.), ossia aree costruite e destinate particolarmente all’heb-sed.
Del tutto, abbiamo testimonianze importanti nei cicli raffigurativi che ci narrano, e mostrano, lo svolgimento delle parti salienti della cerimonia.
I siti più generosi in questo senso sono numerosi: il più antico è il complesso funerario, e in particolare l’area destinata all’heb-sed, di Djoser (3a dinastia); poi abbiamo scene e testi del rituale nei seguenti siti: il tempio solare di Niuserre, ad Abu Gorab (5a dinastia); il tempio di Amenhotep a Soleb, la tomba di Kheruef a Tebe (TT549), il tempio orientale di Amenhotep IV a Karnak (tutti della 18a dinastia). Per la Bassa Epoca possiamo ricordare il grande tempio di Bastet a Bubastis (22a dinastia) con le sue numerose scene dell’heb-sed, e preziosi blocchi della 26a dinastia, saita. A tutto ciò vanno aggiunti testi e scene dei grandi templi tolemaici (Dendera, Esna, Edfu, Kom Ombo, File) che ci permettono di ricostruire dettagli e fasi del rituale.
Altri dettagli, spesso concernenti parti più segrete del rituale, provengono da papiri e testi biografici. Tutti questi documenti forniscono i mille frammenti di un complesso mosaico che oggi conosciamo a grandi linee e spesso in molti dei suoi dettagli: troviamo scene che ci forniscono conoscenze che vanno dal rituale a varie fasi della festa, con processioni, danze, giochi e canti. Rituali, abluzioni, preghiere e formule; ruolo dei partecipanti e loro funzione pratica e simbolica; insomma un quadro affascinante di vera e propria creazione magico-religiosa.
Il rito della festa sed si può schematizzare con una suddivisione in tre fasi.
1) La prima ripeteva sostanzialmente i riti dell’incoronazione: innanzi tutto veniva sepolta una statua che rappresentava il vecchio sovrano, ora pronto a rigenerarsi; il re era inizialmente vestito con il caratteristico abito della festa sed, un lungo mantello bianco che lo avvolgeva completamente, lasciando scoperte solo la testa e le mani; è probabile che questa sorta di guaina crisaliforme accostasse il rito all’idea di rigenerazione spirituale e fisica, come nel caso di Osiris; il re acquisisce in questa fase “anni per milioni”, ossia è completamente rigenerato. Il faraone riceveva le corone dell’Alto e Basso Egitto mentre stava seduto alternativamente sui due troni, ognuno posto sotto una cappella adatta e su una pedana, di cui un esemplare si conserva nel complesso di Djoser a Sakkara.
2) Nella seconda fase appaiono la sposa principale del re e i suoi figli; questi personaggi simbolizzano probabilmente l’eredità dinastica del passato (nella figura della sposa, che svolse sempre un importante ruolo nella trasmissione del potere in quanto incarnazione della Dea) e quella del futuro, rappresentato dai figli del re.
3) Nella terza fase il sovrano si identifica con Osiris nell’elevare il pilastro djed, simbolo del dio e di stabilità. Nel corso delle cerimonie il re dimostrava il proprio vigore fisico con una corsa rituale; in quanto a questa corsa, l’ovvia domanda è: “ma il faraone faceva davvero la corsa?”. Le raffigurazioni dicono di sì, e non potrebbe essere altrimenti, poiché la raffigurazione non solo attesta e perpetua l’avvenimento, ma lo rende reale, lo “ricrea” nell’eternità della dimensione metafisica. Ma nella realtà? Ovviamente, sarebbe sciocco porsi questa domanda riferendola ad un assoluto che invece riguarda millenni e decine e decine di faraoni. I casi saranno stati numerosi e differenti. Non solo per differenti faraoni, ma anche per lo stesso faraone nelle diverse età e condizioni di salute.
È un’ovvietà che in qualsiasi caso la raffigurazione mostri il sovrano per le ragioni di magia religiosa di cui sopra. Ma possiamo abbandonare le ipotesi ed avere qualcosa di più concreto? Si: ancora una volta gli Egizi ci vengono in aiuto con la straordinaria generosità documentale: questa corsa, effettuata in epoca storica direttamente dal re o da un suo rappresentante ove ne fosse impedito il sovrano, in epoche precedenti sappiamo essere effettuata da prigionieri: per esempio, sulla mazza di Narmer sono raffigurati 3 prigionieri in atto di correre fra gli altari. Ovvio e plausibile dunque inferire che in epoca storica, là ove il sovrano fosse inabile a svolgere il rito, si scegliesse un sostituto per il rituale (non più i prigionieri, ma probabilmente uno dei principi ereditari, se pensiamo alle condizioni di Ramses II per lungo tempo). Tornando alle raffigurazioni, quali altri dettagli ci danno sulla corsa? Vediamo che il faraone veste il rituale abito arcaico: la coda di toro (sed), la cintura (shesme.t) e il perizoma shendyt; indossa la Corona Bianca, tiene nella mano destra lo scettro nekhakha (il “flagello”) e nella sinistra il mekes (o imy.t), il contenitore che racchiude il Testamento di Geb, che assicura e testimonia la legittima regalità del sovrano.
Il resto dell’heb-sed è più una formalità dell’apparato religioso, la comunicazione ufficiale alle divinità del Paese del fatto che le forze del sovrano erano state rinnovate: con una processione il faraone si recava “in visita dalle principali divinità del paese”, ossia, nello stesso luogo dei riti, si recava dagli dèi dei nomoi (i distretti) che riposavano in apposite cappelle.
Per tutti questi riti erano approntate delle complesse strutture che comprendevano le cappelle citate, padiglioni e case del Nord e del Sud, il palco reale con i padiglioni per i due troni, le particolari strutture a forma di “D” accostate, che possono essere due (e dare la forma di “B”, come nel caso di quelli del complesso di Djoser) o più (documenti come placchette e rilievi ne mostrano 3) queste strutture si trovavano di fronte ad altre analoghe e speculari, ancora per simbolizzare le due parti del paese, e delimitavano l’area della corsa rituale e, in maniera simbolica, delimitavano l’Egitto e probabilmente l’intero universo, proprietà del faraone; per tale motivo sono state chiamate in inglese “cairn”, in francese “bornes”, in italiano “cippi”; insomma delle vere pietre di confine del territorio simbolico.
In occasione della cerimonia venivano emessi oggetti commemorativi che cambiarono in ogni epoca; nell’età thinita furono probabilmente palette, placche e vasi; poi vi furono oggetti sempre più importanti, come statue e monumenti; nel caso di Djoser, nel suo complesso funerario troviamo la maggioranza delle installazioni create per la festa sed.
Ricordiamo infine che, come accade in tutte le regalità del mondo e in ogni tempo, uno degli scopi della festa era quello di impressionare il popolo, che credeva realmente nella rigenerazione del sovrano; se dunque la maggioranza dei riti era segreta, allo scopo di tenere informato il popolo non veniva risparmiato nulla per rendere il rito più sfarzoso e solenne; i pochi documenti che abbiamo mostrano le strutture di cui abbiamo parlato, ma anche processioni, araldi che portano stendardi, animali e offerte in abbondanza.
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Grazie! Molto ben spiegato!