“Hanno preso le porte, e il secondo salone… non possiamo più uscire… arrivano…”. Così recitavano le ultime righe del Libro di Mazarbul, immaginato da J.R.R. Tolkien nel libro fantasy cult Il Signore degli Anelli. Quello scritto, rinvenuto dai protagonisti durante l’attraversamento di un magico regno sotterraneo, raccontava degli ultimi, angosciosi giorni di vita di quel regno, vittima di un’invasione che ne aveva intrappolato le genti nelle profondità della terra, troppo deboli per resistere all’avanzata nemica e senza via di fuga.

Vorranno perdonarci i lettori se, con un po’ di fantasia, vogliamo paragonare quel testo immaginario a quanto recentemente scoperto dagli archeologi dell’Istituto Giapponese di Archeologia Anatolica durante lo scavo dell’antica città ittita di Büklükale, a circa 60km dalla moderna capitale turca (Ankara) e 100km dall’antica capitale ittita (Hattuša). Ciò che è emerso dall’indagine del sito, infatti, è una tavoletta d’argilla, con iscritto un testo di 70 righe in lingua ittita e hurrita: questo testo racconterebbe, nelle prime sei righe, di una disastrosa invasione subita dal regno Ittita, in seguito alla quale la capitale Hattuša e altre tre città si trovavano “nel disastro”. Il resto dell’iscrizione, secondo il prof. Mark Weeden che ne ha fornito la prima interpretazione, sarebbe invece la trascrizione di una preghiera.

La tavoletta rinvenuta a tavoletta di Büklükale. Credits to Istituto Giapponese di Archeologia Anatolica

Ma di che invasione si tratta? Quando avvenne? E perché il testo è redatto in lingua hurrita, anziché nella lingua ittita? È lo stesso scopritore del reperto, il prof. Kimiyoshi Matsumura, a cercare di rispondere a queste e altre domande sollevate dalla tavoletta. Secondo le sue prime ricostruzioni, la tavoletta dovrebbe risalire al regno del re Tudhaliya II, collocato nella prima metà del XIV secolo a.C.. Alcuni testi rinvenuti in archivi di altre città anatoliche testimoniavano di una duplice invasione subita dagli Ittiti durante il periodo di governo del suo successore, Tudhaliya III, che si trovò a fronteggaire gli attacchi congiunti di due nemici storici: il Regno di Arzawa da ovest, e le tribù semi-nomadi dei Kaška (o “Caschei”) dal nord-est. Questi ultimi, in particolare, attirano l’attenzione di Matsumura: da sempre irriducibili avversari degli Ittiti, che non riuscirono mai a sottometterli nemmeno nei momenti più splendidi della loro forza, essi compivano periodiche razzie nelle terre ittite, calando dalle montagne della Propontide e ritirandosi poi nelle loro imprendibili roccaforti montane. Sembra dunque probabile che il disastroso attacco subito da Tudhaliya II fosse una delle periodiche puntate militari di questi fieri combattenti.

Il sito archeologico dell’antica Büklükale. Credits to Istituto Giapponese di Archeologia Anatolica

Resta da chiarire la questione della lingua: perché usare l’antico hurrita anziché l’idioma locale? È la stessa tavoletta a fornire delle indicazioni utili a spiegare questa particolarità. La lunga preghiera contenuta nelle righe 7-70 del testo, che è la parte redatta in hurrita, non sembrerebbe essere una semplice invocazione: secondo Weeden e Matsumura sarebbe la “trascrizione” di un rituale sacro compiuto dal sovrano, forse nella stessa città di Büklükale, volto a ricercare il sostegno degli dei. In particolare, Tudhaliya II avrebbe invocato il dio Teshub, dio del tuono e delle tempeste e signore del pantheon ittita, lodando lui e i suoi divini progenitori, per poi passare a una lamentazione riguardo la difficoltà delle comunicazioni tra uomini e dei e concludendo con la disperata richiesta di aiuto e consiglio. Se la ricostruzione dei due studiosi fosse esatta, l’utilizzo dell’hurrita sarebbe presto spiegato: questa antica lingua era parlata in Anatolia da ben prima dell’arrivo degli Ittiti, che ne avevano sottomesso i native-speakers, ma l’avevano mantenuta per ciò che concerneva le attività sacre e religiose.

Dettaglio delle celebri sculture rupestri di Yazilikaya, raffigurante l’esercito ittita in marcia.

Ecco quindi la situazione che ci viene raccontata dalla tavoletta secondo i due studiosi: Tudhaliya II, sorpreso dalla discesa in forze dei suoi acerrimi nemici dalle montagne, sarebbe fuggito dalla sua capitale (pericolosamente vicina ai confini settentrionali), perdendo parte del suo regno e la capitale stessa. Raggiunta una base più sicura a sud-ovest (Büklükale), si sarebbe fermato e avrebbe compiuto uno struggente cerimoniale, in cui accoratamente avrebbe cercato il perdono e il nuovo sostegno del dio, cercando di capire quale grave mancanza avesse commesso nei suoi confronti per venirne abbandonato così improvvisamente e disastrosamente. In quei momenti, un sacerdote o un funzionario del sovrano avrebbero trascritto il decisivo “colloquio” tra re e divinità a cui stava assistendo, aggiungendo un piccolo cappello introduttivo atto a spiegare ai posteri, se avessero avuto la possibilità di leggere il testo, la disperata situazione del momento.

La “Porta dei Leoni” di Hattuša, celebre ingresso monumentale alla capitale ittita.

E poi? Che corso prese da lì la storia? Tudhaliya II morirà in un momento non meglio definito attorno al 1480/1470 a.C. e, come già ricordato, gli succederà il figlio Tudhaliya III. Durante il suo regno i territori Ittiti saranno ridotti al minimo storico, a causa dell’attacco concentrico di Arzawa e Kaška e della ribellione di diversi vassalli; addirittura, alla morte del sovrano, la stessa corte reale sarà squassata da lotte interne e giochi di potere, con l’assassinio del giovanissimo figlio del sovrano, Tudhaliya detto “il Giovane”, che probabilmente non fece nemmeno in tempo a succedere al padre. Eppure, il crollo della civiltà ittita era ancora di là da venire, e anzi il momento di massima gloria del loro Impero stava per giungere. Dalle macerie di quei decenni, infatti, emerse un grande sovrano, Šuppiluliuma I, che stabilizzò lo stato, respinse i nemici fuori dalle sue terre e condusse campagne di conquista contro il potente regno di Mitanni e le ricche città-stato del Levante. Dopo di lui, altri grandi sovrani sarebbero sorti in Anatolia, e avrebbero portato i confini dell’Impero dal Mar Egeo all’Eufrate, dal Mar Nero fin quasi al Sinai, fermando l’espansione solo con la celebre Battaglia di Qadesh contro il faraone d’Egitto.

La tavoletta di Büklükale, dunque, ci racconta di un delicatissimo momento nella storia del Vicino Oriente: l’inizio di un disastro che avrebbe potuto portare alla dissoluzione uno dei più importanti Regni del Vicino Oriente Antico.

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Giulio Vignati

Nato nel 1997, grande appassionato di storia antica e storia in generale, frequenta il Liceo Classico a Milano diplomandosi nel giugno del 2016. Si iscrive poi al corso di laurea in Lettere con indirizzo Antichista presso l’Università degli Studi di Milano, laureandosi nell’ottobre del 2019 con una tesi in Epigrafia Latina dal titolo “Gli equites nella documentazione epigrafica di Brixia”. Passa poi al corso di laurea magistrale in Archeologia presso la medesima università, specializzandosi in storia e archeologia del Vicino Oriente Antico e conseguendo la laurea con una tesi di ambito vicino-orientale dal titolo “Produzione e circolazione di manufatti d’argento tra Anatolia e Mesopotamia Settentrionale durante il Bronzo Medio”. Dal 2020 è membro della missione italiana in Turchia PAIK, che scava presso l’antico sito anatolico di Kaniš/Kültepe, e della missione italiana nel Kurdistan Iracheno MAIPE, che scava presso gli antichi siti di Tell Aliawa e Tell Helawa, partecipando alle operazioni di scavo, documentazione e post-scavo di entrambi i progetti.
 

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