Capitalismo, lobby, società elitarie, sfruttamento della forza lavoro, processi di democratizzazione consapevole… concetti di questo tipo richiamano alla mente tanti eventi e tante dinamiche molto moderne, ben note a ciascuno dei nostri lettori e, in misure diverse, vissuti direttamente da ciascuno di noi. Ma si tratta davvero di questioni prettamente moderne? Secondo la prof.ssa Claudia Glatz, dell’Università di Glasgow, assolutamente no: dinamiche per cui un’élite cerca di prendere il potere, ma viene consapevolmente bloccata dal resto del tessuto sociale, si possono rintracciare non solo nel XX o XIX secolo d.C., ma addirittura nel IV millennio avanti Cristo.

La prof.ssa Claudia Glatz dell’Università di Glasgow

Le teorie della prof.ssa Glatz poggiano sui risultati delle indagini archeologiche del suo team di studiosi presso il sito di Shakhi Kora, nel Kurdistan Iracheno. Fondato circa 6.000 anni fa, l’insediamento, benché distante oltre 350 chilometri dalla città di Uruk (situata nel sud della Mesopotamia), presenta nella sua cultura materiali dai chiari tratti di inconfondibile ascendenza urukita. Bisogna tener presente che, in quei secoli, la grande città sumerica estese il suo controllo e la sua influenza politico-culturale su di un’area vastissima, portando alla fondazione di diversi insediamenti che, pur distando decine di chilometri da essa, ne prendevano a modello l’impianto pratico e teorico. Tra questi, potrebbe iscriversi Shakhi Kora.

cartina che mostra la localizzazione del sito di Shakhi Kora in Iraq settentrionale. Credits to Glasgow University (from C. Glatz et alii, “There and back again: local institutions, an Uruk expansion and the rejection of centralisation in the Sirwan/Upper Diyala region”)

Uno dei tratti più caratteristici di questo fenomeno è la presenza di una quantità esorbitante di “beveled-rim bowls” (“ciotole dal bordo smussato”), un tipo di recipiente molto particolare e ben noto agli archeologi di Vicino Oriente. Queste scodelle, tipiche della città di Uruk, erano lì prodotte in grandi quantità perché con esse venivano “pagati” i “dipendenti pubblici” dell’epoca. Fuor di metafora: la società di Uruk, stratificata in classi sociali, era in gran parte composta da produttori di cibo e materie prime, che venivano raccolti e redistribuiti dall’élite cittadina. Le beveled-rim bowls erano prodotte “in serie”, e costituivano l’unità di misura con cui veniva redistribuito il cibo ai lavoratori: la “razione tipo”, potremmo dire.

Un esempio di beveled-rim bowl

Quando Uruk esportò i suoi modelli sociali in tutta la Mesopotamia, esportò con essi anche la propria cultura materiale, e quindi le beveled-rim bowls. Analisi di laboratorio condotte su quelle rinvenute a Shakhi Kora mostrano che, effettivamente, restano in esse tracce di razioni di cibo estremamente uniformi. Si tratta principalmente di stufati di carne, un tipo di pasto molto adatto a chi deve compiere attività fisiche intense e spossanti. Come ad Uruk e in tanti altri siti di quell’area culturale, anche a Shakhi Kora le ciotole sono state rinvenute in massa in corrispondenza dei grandi edifici pubblici, che costituivano al contempo il nerbo e il simbolo di un sistema sociale centralizzato (ricordate i “palazzi” di età micenea che si studiavano alle elementari? Ecco, stessa dinamica!).

Beveled-rim bowls rinvenute durante gli scavi a Shakhi Kora. Credits to Glasgow University

Tuttavia, sottolinea la prof.ssa Glatz, Shakhi Kora mostra un’evoluzione particolare: al contrario di quanto storicamente accaduto a Uruk, infatti, sembra che a un certo punto i grandi edifici pubblici siano stati abbandonati: nessun segno di violenza o distruzione sembrerebbe emergere, solo un deliberato, pacifico abbandono delle strutture. Secondo l’archeologa, c’è una sola spiegazione possibile: gli abitanti di Shakhi Kora, conosciuta e sperimentata la “società organizzata” (o meglio ancora un sistema sociale gerarchico rigidamente verticale, con un controllo dall’alto verso il basso che portava pochi a decidere per molti), avrebbero deciso di non essere interessati a vivere in quel modo, rifiutando un sistema in cui il potere era centralizzato e optando per qualche altro sistema più “dispersivo”.

Il sito archeologico di Shakhi Kora. Credits to Glasgow University

L’ipotesi, certamente affascinante, deve essere verificata e deve ancora superare il vaglio critico dei fatti; tuttavia, è certamente sintomo di una rinnovata corrente d’indagine all’interno del mondo accademico, che sta mettendo alla prova alcuni pilastri interpretativi che hanno retto il sistema di comprensione del mondo negli ultimi decenni. La centralizzazione del potere, infatti, è sempre stata ritenuta elemento indispensabile allo sviluppo delle società complesse; il tempo e la ricerca ci diranno se si trattava di una verità effettiva, o di un bias culturale.

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Giulio Vignati

Nato nel 1997, grande appassionato di storia antica e storia in generale, frequenta il Liceo Classico a Milano diplomandosi nel giugno del 2016. Si iscrive poi al corso di laurea in Lettere con indirizzo Antichista presso l’Università degli Studi di Milano, laureandosi nell’ottobre del 2019 con una tesi in Epigrafia Latina dal titolo “Gli equites nella documentazione epigrafica di Brixia”. Passa poi al corso di laurea magistrale in Archeologia presso la medesima università, specializzandosi in storia e archeologia del Vicino Oriente Antico e conseguendo la laurea con una tesi di ambito vicino-orientale dal titolo “Produzione e circolazione di manufatti d’argento tra Anatolia e Mesopotamia Settentrionale durante il Bronzo Medio”. Dal 2020 è membro della missione italiana in Turchia PAIK, che scava presso l’antico sito anatolico di Kaniš/Kültepe, e della missione italiana nel Kurdistan Iracheno MAIPE, che scava presso gli antichi siti di Tell Aliawa e Tell Helawa, partecipando alle operazioni di scavo, documentazione e post-scavo di entrambi i progetti.
 

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