Si è tenuto nelle giornate di ieri e avant’ieri, 26-27 aprile, un convegno presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia dedicato alla prassi della produzione scritta nel mondo antico. All’interno di questa rassegna è stato presentato il Progetto Liber, coordinato dall’assiriologa e docente dell’ateneo Paola Corò, con la collaborazione del British Museum di Londra e del Centre for Cultural Heritage Technology dell’Istituto Italiano di Tecnologia, ha come oggetto di studio antichissime tavolette d’argilla di epoca assira.

La professoressa Paola Corò, docente presso la Ca’ Foscari di Venezia e coordinatrice del Progetto Liber

Le tavolette in questione provengono dalla cosiddetta “Biblioteca di Assurbanipal”, un insieme di testi cuneiformi realizzati all’epoca di questo grande sovrano assiro (VII secolo a.C.) e nel suo palazzo conservatisi. Si tratta per lo più di testi letterari, oggi del tutto traducibili e tradotti, di cui il più famoso è certamente l’“Epopea di Gilgamesh”, prima saga epica della storia dell’umanità. Quel che resta molto misterioso e ha attirato l’attenzione dei ricercatori sono una serie di fori praticati in alcune di queste tavolette, apparentemente senza uno schema intelligibile ma vagamente regolare.

Il sovrano assiro Assurbanipal, ritratto a cavallo in un bassorilievo proveniente dal suo palazzo

Essendo stato finora impossibile formulare un’interpretazione soddisfacente per l’esistenza di questi fori, la prof.ssa Corò ha deciso di sfruttare nuovissimi metodi d’indagine forniti dalla tecnologia, nella speranza di arrivare a nuove risposte grazie a nuovi metodi d’indagine. Curiosamente, la miccia che ha dato il via definitivo al progetto è stato… il lockdown nazionale del 2020! In quel periodo, infatti, non essendo consentiti gli spostamenti e l’interazione diretta, la docente ha avviato un programma di studio da remoto, con la collaborazione degli studenti, operando sulle fotografie delle tavolette di Assurbanipal. Fondamentale in questo senso il precedente lavoro di digitalizzazione operato dal British Museum (detentore della quasi totalità dei pezzi della “biblioteca”), i cui operatori hanno pazientemente e diligentemente fotografato ogni tavoletta e frammento di testo.

Una delle tavolette con “firing holes” oggetto di studio dei ricercatori. Credits to UniVe

Il lavoro del gruppo di studenti è consistito nell’esame ed “etichettatura” di oltre 2.000 tavolette cuneiformi, i cui dati sono stati convogliati in un algoritmo elaborato ad hoc per individuare caratteristiche e informazioni altrimenti irriconoscibili a occhio nudo. L’algoritmo è oggi in fase di raffinazione da parte di un ristrettissimo gruppo di ricercatori, e la prof.ssa Corò si auspica di “avere i primi risultati a breve”. Ma esistono già delle ipotesi circa la funzione dei fori?

Sempre secondo la docente, “le finalità di quei fori potrebbero essere state più d’una”. In passato era stata avanzata l’ipotesi che si trattasse di uno strumento funzionale alla cottura delle tavolette d’argilla (sottoposta ad alte temperature e priva di vie d’uscita, l’aria contenuta all’interno delle tavolette nelle fornaci avrebbe potuto causare lo “scoppio” delle stesse), tanto che ancora oggi negli studi ci si riferisce a questi buchi come “firing holes”, “buchi di cottura”. Tuttavia, come spiega la docente, “quelle tavolette non venivano cotte ai tempi della biblioteca. Furono invece cotte dall’incendio della biblioteca durante la distruzione di Ninive del 612 a.C., un evento che ne permise la conservazione e il ritrovamento da parte dell’archeologo Austen Henry Layard nell’Ottocento.”; la cottura sarebbe quindi un evento secondario e del tutto imprevisto nella “vita” di questi testi, e i fori potrebbero essere invece legati a un sistema di archiviazione e fruizione pratica dei singoli pezzi all’interno della biblioteca.

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