Alberto Savinio. Scrittore.
Se digitiamo sul celebre motore di ricerca il nome di Savinio, lo troviamo indicato generalmente come scrittore.
Insistendo un po’ di più scopriamo che Andrea Francesco Alberto de Chirico fu scrittore, pittore, drammaturgo e compositore italiano.
E partiamo proprio dal suo nome e dalla nascita dello pseudonimo per raccontare qualcosa di lui, perché l’artista è un grande protagonista dell’ambiente culturale europeo della prima metà del Novecento, ma rientra tra quei geni la cui popolarità non li precede.
“De Chirico” ci riporta infatti a Giorgio, con la sua pittura metafisica e le sue piazze “surreali”, di cui Alberto è fratello. Nati in Grecia, Giorgio a Volo nel 1888 e Alberto ad Atene nel 1891, vi rimangono fino alla morte del padre nel 1905, spostandosi poi tra varie città italiane, Monaco di Baviera e Parigi.
Alberto si diploma al conservatorio di Atene nel 1903 con il massimo dei voti e a Monaco di Baviera continua la sua formazione musicale con il celebre musicista Max Reger, avviandosi anche agli studi di filosofia ed avvicinandosi al pensiero, tra gli altri, di Schopenhauer e Nietzsche. Non riuscendo a trovare una propria posizione nel mondo della musica tedesca, nel 1911 decide di trasferirsi a Parigi dove poco dopo lo raggiunge Giorgio. I due fratelli frequentano gli ambienti culturali della Ville Lumière dove incontrano gli artisti più audaci e innovativi di quel tempo come Léger, Brancusi, Chagall, Picabia, Picasso, Jean Cocteau e soprattutto Guillaume Apollinaire, con il quale si instaura un rapporto di sincera amicizia.
In questo contesto fluido e ricco di spunti intellettuali Alberto vuole distinguersi da Giorgio, che proprio negli anni parigini comincia ad acquisire una certa fama personale e lo fa cambiando il proprio cognome, per altro pronunciato “sciricò” dai francesi, fatto poco gradito ad entrambi i de Chirico. Nel 1914 Andrea Francesco Alberto de Chirico pubblica un articolo sulla rivista Les Soirées de Paris dal titolo “Le drame e la musique”, firmandosi per la prima volta con il suo nuovo nome: Alberto Savinio.
Ma perché la scelta cade proprio su questo cognome?
La risposta vale qualche attimo di pazienza per la lettura delle prossime righe.
Per molto tempo nelle biografie di Alberto Savinio si è fatto il nome di Albert Savine come ispiratore dello pseudonimo, ma appare quanto meno strano che ad attirare l’attenzione di Alberto sia stato un conosciuto quanto insignificante letterato del tempo, mediocre nelle opere quanto nel pensiero, titolare di una casa editrice ben presto destinata al fallimento.
Per altro dall’italianizzazione di Savine ci si aspetterebbe come risultato naturale “Savino” piuttosto che “Savinio”.
Indagini più recenti a cura di Nicol Maria Mocchi, storica dell’arte specializzata in arte moderna e contemporanea, autrice di “La cultura dei fratelli de Chirico agli albori dell’arte metafisica” (Ed. Scalpendi, Milano, 2017), suggeriscono una spiegazione che pare essere più vicina al vero.
Lo studio di alcune carte d’archivio mostra quale fosse l’interesse letterario di Alberto grazie alle schede dei prestiti di alcune biblioteche, tra le quali la Biblioteca Nazionale Braidense. Tra i volumi presi in prestito dall’artista figura un’opera la cui trasposizione teatrale parigina del 1897 aveva riscosso un grande successo di pubblico, ispirata alla figura storica del celebre spadaccino guascone, Hercule Savinien Cyrano de Bergerac, tra i più estrosi scrittori del Seicento francese e precursore della letteratura fantascientifica. Autore dell’opera è il poeta e drammaturgo francese Edmond Rostand di cui Alberto incontra il figlio Maurizio, anch’esso poeta, in un modo un po’ buffo: salendo le scale che portano allo studio parigino di Apollinaire il giovane inciampa e ruzzola fino ai suoi piedi!
È più che una suggestione pensare che Alberto, assieme al fratello e allo stesso Apollinaire, abbia trovato nella figura di Cyrano tratti comuni con i propri ideali, le stesse tensioni emotive e lo stesso anelito di essere altro rispetto al consueto…e l’italianizzazione di “Savinien” con Savinio appare più coerente.
In questa sede non possiamo approfondire oltre i numerosi altri punti di contatto tra Andrea Francesco Alberto de Chirico ed Hercule Savinien Cyrano de Bergerac perché adesso, tra le splendide e accoglienti sale di Palazzo Altemps, comunque sia andata, ci aspetta Alberto Savinio in tutte le sue forme espressive.
Alberto ci accoglie con serietà e sobrietà nello spazio che apre l’esposizione al Piano Nobile di Palazzo Altemps, la Sala Mattei, che dal 1996 ospita una serie di ritratti, un capitello composito figurato e il sarcofago con il ratto delle Sabine, parte della Collezione Mattei che un tempo ornava la villa sulla collina del Celio.
In questo grande spazio, sovrastato dalle tentacolari braccia di bellissimi lampadari in vetro, risuona la registrazione d’epoca di un’opera teatrale che Savinio compose nel 1914, Le Chants de la Mi-Mort, della quale scrisse anche il testo e disegnò i costumi. Nelle vetrine alcune delle sue opere letterarie più significative tra le quali mi ha emozionato molto trovare “Dialoghi e Saggi”, edito da Bompiani nel 1944. In realtà non si tratta di un lavoro originale di Savinio, ma di un’intuizione che ha lo stesso Valentino Bompiani. In una lettera inviata ad Alberto il 16 aprile del 1942 scrive:
“Caro Savinio,
ho finito in questo momento di leggere la “VERIDICA STORIA” che mi ha spassato moltissimo. Ora ti faccio queste proposte:
I – prendere la traduzione di Settembrini, schiarirla qua e là quanto occorra per togliere le pesantezze antiquate (spezzare i periodi, mettere degli a capo, togliere i “pensomi”, isolare le battute di dialogo, ecc.);
II – preparare per “VERIDICA STORIA” e per qualche altro dialogo che aggiungeremmo al volume sino al raggiungere le 200 pagine circa (riceverai fra qualche tempo i primi volumi della nuova “Biblioteca Universale” in cui rientrerà il “LUCIANO”) una serie di disegni tuoi riproducibili al tratto da intercalare al testo;
III – una prefazione da 10/20 pagine. Il tutto per un compenso adeguato.
Adesso tu rispondimi dicendomi quanto tempo ti ci vorrebbe”.
Si tratta quindi di un restyling di una celebre traduzione pubblicata nel 1861 a cura di Luigi Settembrini, ergastolano in quel di Santo Stefano per le sue posizioni antiborboniche, delle Opere di Luciano di Samosata, uno scrittore del I secolo d.C. che visse tra Atene e Roma. (Lo stesso carcere in cui il 13 novembre 1943 scoppiò la rivolta dei detenuti guidata da Sante Pollastro, il “bandito” che ispirò De Gregori nel suo celebre brano. Quanti straordinari link ci offre la lettura della storia!)
Luciano e Alberto sono due persone dall’animo artistico perfettamente sovrapponibile, due greci itineranti in un altrove di luoghi nuovi e di ritorni consueti, ma intimamente legati alla propria origine ed accomunati dal medesimo senso di profonda deferenza per l’arte. Scrive lo stesso Settembrini: “a voler vivere in questo mondo bisogna pur credere in qualche cosa: e Luciano, come greco, credeva nell’arte, della quale non rise mai: solamente si scagliò contro coloro che la guastavano e l’avvilivano: e se fu acerbo contro di questi, non è a maravigliarsene, perché gli guastavano la cosa che egli più amava ed aveva unicamente cara”. Non potremmo dirlo anche di Alberto Savinio?
Cambiando sala, pur rimanendo in quelli che furono gli appartamenti del cardinale Melchior de Polignac, ambasciatore di Luigi XV, le note del pianoforte si attenuano restando comunque ben udibili e si incontrano le prime due opere di Savinio, Fin de Tempête e Le Temple Foudroyé, entrambi dipinti nel 1931. Osservandole mentre si ascolta la sua musica si avverte un legame singolare e molto intenso tra le pennellate e le note, tra la tela e il pentagramma. Ovunque Savinio metta le mani (s)compone fino ai minimi termini, disgrega le certezze dei sensi che non trovano riferimenti nel consueto, smarrendosi tra colori mutevoli che si fanno soggetto, tra isole e ibridazioni che impongono allo sguardo l’attenzione di un nuovo percorso.
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Le Temple Foudroyé
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Fin de la Tempête
E basta un passo ancora per trovare Alberto tra i suoi giocattoli, che sono isole e abitanti di isole. Che sono Sodoma e Gomorra. Abbandonati su una spiaggia o in una foresta. Equipaggi di un vascello o spettatori melanconici di fronte ad una finestra che si affaccia in qualsiasi cielo su cui possa volare un aquilone.
Protagonisti assoluti dei dipinti i giocattoli aggettano dal fondo scuro della tela squillando con l’energia dei colori accesi, mostrando l’anima inquieta di uno sguardo adulto sul respiro semplice di un bambino remoto. C’è qualcosa di insoluto e teso, ancora incompreso, che forse trova un senso metafisico nel Monumento ai Giocattoli del 1930, tra rocce che diventano supporti regolari e tappeti raffinati su cui, in un improbabile gioco di equilibri, i giocattoli sono mostrati passivamente ad autorappresentarsi. La vita, in fondo, è seriamente un gioco.
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Chevaucher Marine Monumento ai Giocattoli L’Ile au Tresor Nella foresta
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Fin qui l’”incanto” delle opere di Savinio protagoniste di spazi sostanzialmente neutri, che adesso però incontrano il “mito” nel cuore di Palazzo Altemps, dove la collezione permanente di statuaria antica può alludere a qualsiasi linguaggio dell’arte.
Nella grande sala delle feste del palazzo si trova una delle opere più intense dell’intera collezione: il Galata Suicida. Non è necessario descriverne i tratti che saranno certamente noti a chi legge, quanto indicare quel grande spazio come l’apice del confronto che ci riporta al tema dell’esposizione, curata da Ester Coen con la collaborazione di Zelda De Lillo, che accosta l’incanto e il mito in una sintesi che qui dà vertigine.
In questo spazio si concentrano le opere della mostra che ci raccontano del Savinio commediografo e regista e in particolare il Galata Suicida è messo in relazione con il fondale di scena de I Racconti di Hoffmann di Jacques Hoffenbach, prestito degli Archivi della Scala di Milano, con la quale Savinio collaborò tra il 1948 e il 1951. La musa accoglie, benedice e introduce Hoffmann nella dimensione della poesia e lo fa con un gesto preciso, pregno del significato profondo di un’investitura. E a rapportarsi al marmo del Galata, oltre al drappeggio, alla misura maggiore del vero e alla postura vi è soprattutto il “motus”, che prelude all’incorruttibilità dei grandi valori universali delle anime pure, rese eterne dall’adesione al trascendente.
Al coraggio e all’onore estremi del Galata si sovrappone senza indugi il sì di Hoffmann alla Musa della Poesia che gli appare in visione, scegliendo di abbandonare le pulsioni emozionali del quotidiano per abbracciare quelle più intense del cosmo.
E ancora un link che si apre su quest’opera di Offenbach e sulla più famosa delle sue arie, la Barcarola, che verrà ripresa da Elvis Presley in Tonight is so right to love nel film Cafè Europa del 1960, riarrangiata da Piovani in La Vita è Bella di Benigni e ancora nel celebre Titanic, per ritrovarla nel 2011 in Midnight Paris di Woody Allen.
Le opere che si incontrano nelle sale successive sono semplicemente affiancate ai capolavori antichi. Il rimando al dialogo tra antico e moderno non cerca una coerenza didascalica: non si guarda Savinio per ricercarne i tratti nell’opera antica e tanto meno si può fare il contrario.
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Il fil rouge è altrove e non ci deve ingannare la presenza dei richiami alle civiltà passate, lo si nota nella Sala degli Obelischi, dove al gruppo scultoreo di Pan e Dafne è associato Il Colloquio, dipinto nel 1932 ed oggi parte della Collezione Amodio. I due personaggi dipinti da Savinio richiamano nella forma il gruppo scultoreo antico, ma ad associarli ancora una volta è il “motus”, in questo caso l’abbraccio, “annullatore” di distanze per eccellenza. Un aspetto, questo, ancor più evidente nella Sala del Trono Ludovisi.
Associato visivamente a Les Angle Bataillers, dipinto nel 1930, vi è proprio il celebre trono datato dagli studiosi alla metà del V secolo a.C., che pur non avendo un collegamento filologico con l’opera pittorica di Savinio ne coglie il movimento. Le figure sono avvolte da piume e panneggi che ne esaltano la centralità e la nascita di Afrodite dalla spuma del mare di Cipro accolta da due Horai ci suggerisce quanto meno un dubbio: tra i due angeli è battaglia d’odio o d’amore?
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Il percorso continua ancora e le foto allegate a questo articolo ne mostrano in gran parte l’allestimento, consentendo a chi legge, seguendo il link indicato, di vedere per intero le opere di Alberto Savinio comprese nelle immagini.
Palazzo Altemps si conferma come luogo privilegiato per un dialogo dinamico tra antico e moderno. Il Museo Nazionale Romano ha voluto delegare a questa sua prestigiosa sede il racconto di artisti del Novecento italiano dove l’antico è filtrato e declinato dal tratto distintivo di ciascun autore.
Medardo Rosso, Filippo de Pisis ed Alberto Savinio hanno varcato la soglia del palazzo di Piazza Sant’Apollinare con l’intenzione di raccontarci il loro viaggio tra le epoche e i miti, accompagnati ogni volta da Electa con allestimenti coraggiosi e cataloghi indispensabili.
Ma vorrei ricordare anche “Citazioni Pratiche” di Fornasetti, sempre a cura di Electa, che ha inondato con la sua sfrenata creatività Palazzo Altemps trasformandolo di volta in volta in una casa, un atelier, un entrepôt d’art o lasciandolo all’apparenza intatto, come se le opere in mostra avessero sempre fatto parte delle collezioni permanenti.
L’esperienza di visita a Palazzo Altemps è sempre un’immersione completa da open air museum, dove contenitore e contenuto entrano in dialogo anche con gli incantevoli scorci di Roma, in una continuità di spazio che non ha eguali e dove “…l’arte nel suo mistero le diverse bellezze insiem confonde”.
Electa ci ha abituati a cataloghi di grande pregio, ma in questo caso il volume è un piccolo capolavoro! “Savinio. A-Z” ricorre all’ambiziosa e nobile forma enciclopedica per proporre, attraverso un racconto polifonico e un approccio multidisciplinare, un inusuale ritratto di uno dei protagonisti più eccentrici della cultura italiana del Novecento.
Il volume si sviluppa in una successione di 107 “lemmi” scritti da 31 autori che, “scompaginando e scomponendo un ordine tradizionale’” come spiega la curatrice Ester Coen, restituiscono la personalità versatile e poliedrica di Savinio, che è stato pittore, scrittore, musicista, costumista, scenografo, polemista, critico e molto altro ancora.
GALLERY:
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Gardiens D’Étoile o Les Gardiens du Port
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Souvenir d’Enfance a Athènes Souvenir d’Enfance Monumenti e Trofei