Un articolo dell’egittologa Marie Grillot tratto dal blog www.egyptophile.blogspot.com
Questo vaso d’argento, alto 16,8 cm, risale alla XIX dinastia. La sua pancia è caratterizzata dalla presenza di 675 cuori e presenta una capra d’oro in piedi sulle zampe posteriori come manico. Si sporge per vedere cosa c’è dentro? Si affretta a bere qualche goccia di una deliziosa bevanda che, per incredibile fortuna, è rimasta sul collo del contenitore?
Questa, tra mille, è una delle meraviglie che l’arte egizia ci offre…
L’egittologo Émile Vernier lo presenta in modo molto dettagliato – con il numero CG 53262 – nel “Catalogo Generale delle Antichità Egizie del Museo del Cairo” (1909). Ecco alcuni estratti da questa descrizione:
“Un vaso d’argento la cui pancia, sostanzialmente sferica, è prolungata da un collo cilindrico dello stesso metallo, che termina, all’estremità superiore, con un bordo avvolto in una fascia d’oro. Il manico è costituito da una capra, anch’essa dorata, le cui le zampe posteriori insistono sulla pancia del vaso e il cui muso poggia sul bordo dorato; le zampe anteriori, piegate, sono collegate al collo da una molletta le cui estremità sbocciano in un fiore di loto. Anche questa barra è d’oro ed è fissata al collo con due robusti rivetti.
Il vaso ha subito molti danni: la pancia è lacerata; all’interno è stato necessario versare del gesso per tenere fermi i pezzi che si separavano dal vaso. La capra è composta da due parti molto ben unite a cui sono state aggiunte le zampe anteriori e posteriori, la coda, le corna e le orecchie. Un anello passato attraverso le narici poggia sulla lamina d’oro che avvolge il bordo del collo… Il resto della pancia è decorato in modo più energico. Usando la malleabilità dell’argento e riempiendo il vaso con del cemento morbido, il cesellatore ha riccamente tracciato quarantacinque file verticali di cuori, quindici per fila. Tra ogni fila un utensile più largo, o un cesellatore più audace, è stato usato con più forza sul metallo, il che conferisce a questa parte della decorazione un aspetto più corposo e modellato. La parte inferiore è decorata, a grandi linee, da un fiore di loto sbocciato la cui esecuzione è sommaria”.
Quanto al lungo collo cilindrico, è decorato, su due registri, con scene animate, “eseguite a contorno”.
Esse sono presentate da Francesco Tiradritti ne “Le meraviglie del Museo Egizio del Cairo”: “Sul lato opposto del manico, una vignetta mostra una figura maschile riccamente vestita che stende le braccia in adorazione a una divinità femminile i cui attributi non sono noti nell’Egitto faraonico. Indossa un abito lungo e attillato e un copricapo in cima al quale, a quanto pare, spicca un ciuffo di piume. La mano sinistra regge il segno geroglifico ankh e la mano destra stringe uno scettro con la sommità a forma di fiore di papiro su cui è posto un uccello di difficile identificazione.
Due iscrizioni geroglifiche che partono dalla vignetta e si incontrano sotto il manico contengono gli auguri rivolti al coppiere del re Atumentyneb. Il collo del vaso presenta una doppia fascia di decorazioni naturalistiche. Il registro superiore trae ispirazione dai modelli orientali. Si distinguono animali reali e fantastici separati da composizioni floreali che ricordano l’albero orientale della vita. Si noti la figura di un grifone alato, a sinistra del manico. Poco più avanti, un altro grifone attacca un felino. Accanto ad esso, due gazzelle si stanno accoppiando. Nelle altre scene, assistiamo a una lotta tra diversi animali colti in pose che favoriscono la composizione a discapito dell’aspetto naturalistico.
Il registro sottostante è decorato con scene di caccia e pesca nelle paludi, tratte dal repertorio decorativo tradizionale dell’antico Egitto. Un uomo naviga su una barca di papiro sormontata da un’edicola all’interno della quale si trovano un uccello nel suo nido, un cesto e una trappola. Sul tetto, un fiore di loto. Non lontano, un altro uomo scende da una barca. Ha catturato un’anatra. Spaventati, altri uccelli prendono il volo e abbandonano i nidi situati ai margini di un laghetto dove nuotano tre pesci. Un altro pescatore si allontana dall’acqua. Sulle sue spalle, un lungo palo alla cui estremità sono legati due pesci. All’altra estremità, un cesto e una trappola. Un cespuglio di papiro separa questa scena dalla successiva. Alcuni uomini tirano una rete in cui sono imprigionati diversi uccelli che si erano posati su uno stagno, mentre altri, sfuggiti alla trappola, stanno prendendo il volo. La combinazione di motivi decorativi orientali ed elementi di più stretta origine egiziana si inserisce nel contesto culturale del periodo ramesside”.
Questo oggetto fa parte di un “tesoro” scoperto nell’attuale Tell Basta, l’antico “Bubasti” o “Per Bastet”. La posizione strategica della città, “su un’area di confluenza tra i rami Tanitico (o Bubastite) e Pelusiaco del Nilo, ne ha fatto uno dei più importanti crocevia della parte orientale del Delta”. Il sito, così come si presenta oggi, fatica a restituire la grandezza della città, in cui sorgevano due templi, uno dedicato ad Atum, l’altro a Bastet. Erodoto descrive “un tempio circondato su tre dei suoi lati da un grande specchio d’acqua che può essere ricostruito come un lago a forma di falce di luna”.
Gaston Maspero racconta l’incredibile storia in “Saggi sull’arte egizia” nel capitolo “Il tesoro di Zagazig”: “Ancora una volta, il caso ci ha servito bene. Il 22 settembre 1906, gli operai che stavano costruendo un terrapieno ferroviario vicino a Zagazig, sul sito della vecchia Bubasti, scoprirono un vero e proprio tesoro di gioielli e oreficerie egiziane tra le rovine di una casa in mattoni. Speravano di essere gli unici a trarre profitto dal ritrovamento, ma uno dei nostri supervisori li aveva visti senza tuttavia intervenire, per timore di essere maltrattato da loro. Il giorno dopo, fece il suo rapporto all’ispettore del luogo, Mohammed Effendi Chaban, che mise immediatamente alle calcagna di quegli operai la polizia e informò il suo capo, il signor Edgar, Ispettore Generale delle Antichità per le Province del Delta”.
Sebbene alcuni oggetti fossero già stati rivenduti, le ricerche hanno permesso di trovarne la maggior parte…
E la storia non solo non finisce qui, ma si ripete! “Il 17 ottobre, un operaio ha riportato alla luce diversi pezzi di vasi d’argento con un colpo di piccone: ha cercato di nasconderli, ma i nostri ghafir glielo hanno impedito e la ricerca è continuata sotto la protezione della polizia. Gli oggetti giacevano ammucchiati, l’oro tra due strati d’argento; quella stessa sera erano al sicuro”.
Nonostante la quantità di reperti rinvenuti come gioielli, vasi, brocche e altri ancora, sembra che Gaston Maspero abbia provato per questo vaso un vero e proprio “amore a prima vista”.
Così, è impossibile non citare, in conclusione, il meraviglioso omaggio, intriso di sensibilità, poesia e realismo, che egli tributa all’artista e all’opera che ha così splendidamente plasmato: “Ciò che lo distingue è l’originalità del disegno che ha scelto per il manico e il modo in cui l’ha realizzato. Un capretto, inebriato dall’odore del vino che contiene la brocca, si è arrampicato sulla pancia del vaso e lì, ritto e ardito sulle zampe posteriori, i garretti tesi, la schiena rigida, le ginocchia appoggiate a due calici di fiori d’oro che spuntano orizzontalmente dal muro d’argento, il muso premuto contro il bordo, guarda avidamente oltre l’orlo…”
Sources :
Émile Vernier, Catalogue général des antiquités égyptiennes du Musée du Caire – Bijoux et orfèvreries. Fascicule 4,Tome 1, IFAO, 1907
1927https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k5774000v/f40.item.r=53260.langFRGaston Maspero, Guide du visiteur au Musée du Caire, (4e éd.), IFAO 1915, n° 4216, fig. 128https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k6572454w/f501.item.r=4218Gaston Maspero, Essais sur l’art égyptien, E. Guilmoto Editeur, Paris, 1912?
https://archive.org/stream/essaissurlartg00maspuoft/essaissurlartg00maspuoft_djvu.txthttps://archive.org/details/essaissurlartg00maspuoft
Sydney Aufrère, Jean-Claude Golvin L’Égypte restituée, tome 3, Sites, temples et pyramides de Moyenne et Basse Égypte, Errance, 1997
Francesco Tiradritti, Trésors d’Egypte, Les merveilles du musée égyptien du Caire, Gründ, 1999
Christine Lilyquist, Treasures from Tell Basta: Goddesses, Officials, and Artists in an International Age, Metropolitan Museum Journal, v. 47, 2012http://www.google.fr/url?
sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=7&ved=0ahUKEwiFuNjn_JLLAhUGuRoKHbmeABUQFgg7MAY&url=http%3A%2F%2Fresources.metmuseum.org%2Fresources%2Fmetpublications%2Fpdf%2FTreasures_from_Tell_Basta_The_Metropolitan_Museum_Journal_v_47_2012.pdf&usg=AFQjCNHzgm8E734DgzWKoGzhA1fVsLMZ0w&sig2=pa9FNZ6KIh1S-1ktgzHZMw