IL NAOFORO FARNESE
Il Naoforo Farnese, assieme ad alcuni oggetti provenienti dal Tempio di Iside a Pompei, fu uno dei primi reperti afferenti la cultura egizia che entrò a far parte delle collezioni del Museo Archeologico di Napoli.
Il suo ingresso al Real Museo Borbonico si rese possibile per l’eredità che Carlo III ricevette alla morte di Elisabetta Farnese, che comprendeva tutte le raccolte di antichità custodite nelle varie proprietà che i Farnese avevano a Roma e a Parma.
La statua viene menzionata già nel 1803 all’interno dell’inventario delle statue che fu redatto in quell’anno e collocato probabilmente nel portico de’ miscellanei, dove venivano sistemati quegli oggetti che non trovavano una loro collocazione naturale nelle collezioni già presenti all’interno del museo.
Con l’arrivo di altri reperti egizi e con il formarsi quindi di una vera e propria collezione tematica, fu trovato uno spazio che da questa mutuò il nome: Portico dei Monumenti Egizj.
Le prime notizie di questo reperto si hanno in alcuni inventari seicenteschi di Palazzo Farnese, ma non ci è dato conoscere le circostanze del suo ritrovamento, che probabilmente avvenne tra il XVI e il XVII secolo scavando superficialmente e senza metodo tra le rovine di Roma, come quasi tutte le statue della Collezione Farnese.
Fu a Palazzo Farnese che il gesuita Attanasius Kircher ebbe modo di studiare il Naoforo, dando prova – come spesso è accaduto per i suoi studi sulla scrittura geroglifica – di una notevole dote di fantasia. A tal proposito scrive G. Finati nel 1822: “…la inesattezza somma in cui si incorse dal nostro Ch. Autore nel copiarli siasi commessa a bella posta, onde potergli a suo modo leggere e interpretare, poiché nell’incisione si osservano alcuni geroglifici che non sono nell’originale e viceversa”.
Questa particolare tipologia di reperto nasce in epoca ramesside (XIX-XX dinastia) anche se alcuni esemplari si possono far risalire al regno della regina Hatshepsut e rappresenta un uomo inginocchiato su di una base a forma di parallelepipedo.
Il personaggio indossa un gonnellino plissettato e una parrucca a “borsa” che gli lascia scoperte le spalle e le orecchie. Al collo porta un amuleto raffigurante una testa della dea Hathor, ma la cosa che lo identifica come statua-naoforo è il naos che il personaggio sorregge tra le mani tenendolo appoggiato sulle ginocchia.
All’interno vi è una statua di Osiride mummiforme che indossa la corona Atef e in mano regge il pastorale e il flagello.
Nel pilastro posteriore è stata incisa un’iscrizione suddivisa in due linee delle quali riportiamo la sola traduzione.
[Linea 1] Dio cittadino del Nobile, Principe, Porta-sigilli del Re, amico intimo (del re), Direttore della Casa delle Due Corone, Sacerdote di Horus, Capo del Distretto di Pe, Soprintendente ai Sigilli, Uah-Ib-Ra Mery-Neith, figlio diTa-Qerenet, [Linea 2] poniti dietro di lui mentre il sul ka è davanti a lui, non siano impediti i suoi piedi, non sia respinto il suo cuore. Egli è un Eliopolitano.
Un’analisi stilistica è la particolare formula incisa nel pilastro dorsale, detta “formula saitica”, consente di datare questa statua alla XXVI dinastia.