Secondo la medicina popolare la noce è il frutto secco più consigliato per nutrire il cervello e la gastronomia la utilizza sia in purezza che nella preparazione di pietanze salate e dolci. Già gli antichi conoscevano e piantavano l’albero, il noce, la cui origine non è nostrana ma deriva dalla regione mediterranea orientale e dall’Asia occidentale. Ai Greci era già noto ma lo trascurarono finchè dalla Persia ne ricevettero una variante detta del Re, e anche i Romani lo coltivavano sin dall’epoca regia e lo ritenevano originario della Persia. Il frutto dell’albero, la noce, contenuta in un guscio legnoso era sacro a Diana Caria, di cui si ricorda un tempio a Benevento e le cui sacerdotesse eseguivano dei rituali propiziatori danzando attorno all’albero praticando riti misterici che vennero poi banditi durante l’epoca cristiana.
Quello che forse non si sa è che oltre al valore rituale e alimentare la noce era uno dei giochi preferiti dei bimbi romani, sia maschi che femmine, che la ritenevano un vero e proprio bottino prezioso da conservare dentro dei sacchetti appositi. Un po’ come le “figurine” moderne erano infatti oggetto di accumulo e sfide in partite organizzate con i propri compagni di gioco. Le noci erano così identificative con l’età dei più piccoli, che il periodo dell’infanzia era chiamato “il tempo delle noci” e ne troviamo eco anche nei poeti antichi.
Catullo nel carme 61, un’epitalamio dedicato alle nozze di Manlio e Aurunculeia, nei vv. 119-128 scrive:
“Ne diu taceat procax Non taccia più lo scherzo
Fescennina iocatio, fescennino salace,
nec nuces pueris neget non neghi ai bambini le noci
desertum domini audiens l’amante, sapendo di essere
concubinus amorem. abbandonato dal suo padrone.
Da nuces pueris,iners Da’ le noci ai bambini,
concubine! Satis diu amante disoccupato;
lusisti nucibus: lubet che con le noci hai giocato abbastanza:
iam servire Talasio. È ora di servire Talassio;
Concubine, nuces da”. da’ le noci ai bambini.
Il poeta ci introduce ad un’altra consuetudine romana, ovvero quella dello sposo di regalare noci ai bambini come rituale di passaggio dall’età dell’infanzia a quella matura, segnata appunto dal “relinquere nuces”, lasciare le noci, famosa frase del poeta Persio (I,10). In questo caso è il povero schiavo a dover lasciare il gioco, perché con l’arrivo della sposa, il tempo per questo amore era finito per sempre. A dispetto di altri giochi di cui non abbiamo un riscontro letterario o figurato, le noci sono abbastanza rappresentate nell’arte e anche un poemetto di 182 versi chiamato Nux, “La noce”, attribuito erroneamente ad Ovidio, ci elenca una serie di attività ludiche in cui le noci erano protagoniste assieme all’abilità dei partecipanti.
Sicuramente il gioco più famoso era quello delle Nuces castellatae le cui regole erano : “Soltanto quattro noci, non di più, e subito si è messo assieme un gioco di lancio nel quale si deve piazzare un’altra noce sulle tre della base”. Chi giocava doveva formare una base a terra di tre noci e poi cercare con un lancio di far atterrare la quarta sopra senza far cadere tutto; chi vinceva si portava a casa il bottino. Di certo non era semplice, bisogna avere buona mira e soprattutto il lancio non doveva risultare troppo violento né troppo flebile. Qualcosa di molto simile trova echi in un gioco che ancora oggi in Sicilia si chiama “u tiru di nuciddi”, dove vengono utilizzate le noccioline ma che comporta, per le dimensioni ridotte dei frutti, anche regole diverse; i mucchietti infatti che si creano vanno fatti crollare con il tiro. Chi riesce anche qui porta a casa il castello di noccioline. Di questo gioco abbiamo due raffigurazioni artistiche rappresentate su sarcofagi. Uno è conservato presso il British Museum di Londra del III secolo d.C., l’altro di qualità migliore conservato presso la galleria Chiaramonti dei Musei Vaticani di Roma.
Il rilievo raffigura un gruppo di fanciulli impegnati in una partita, c’è chi incita il fanciullo che prende la mira, chi lo osserva e chi gli suggerisce la migliore strategia; sul fondo altri ragazzi discutono e si sfiora la rissa con uno che prende l’altro per i capelli. Sono presenti anche delle ragazze, forse le sorelle maggiori, che si disinteressano totalmente di ciò che avviene attorno perché intente a giocare e a chiacchierare tra loro.
Altro gioco quello dell’asse inclinata: “Su una tavola inclinata ne rotola una e ognuno spera che, mentre ancora si muove, la sua noce possa toccarne tante altre”. Spesso queste rappresentazioni si trovano nell’arte funeraria infantile e infatti una scena di gioco simile viene ritratta in un sarcofago conservato al Museo delle Terme di Roma, nel quale, come indica l’epigrafe, giaceva il corpo della piccola Artemidora. Anche qui dei fanciulli sono riuniti in gruppo attorno ad un asse che poggia su una colonna mentre fanno rotolare degli oggettini cilindrici lungo l’inclinazione, forse non noci, ma il gioco è lo stesso. Si vincevano gli oggetti urtati , invece se cadendo non si sfiorava nulla, il gruzzolo aumentava e veniva vinto dal lanciatore più fortunato.
Famoso era anche il gioco del Delta : “Si può poi disegnare col gesso la quarta lettera greca, così come una minacciosa costellazione ti indica. La figura è suddivisa in sezioni, e se uno colpisce il bersaglio che è posto sul suo limite, ci sono molte noci per lui”. I bambini disegnavano con del gesso o sulla terra la lettera maiuscola dell’alfabeto greco delta D e delle linee orizzontali parallele partendo dalla base; i lanciatori dovevano avvicinarsi quanto più possibile al vertice del triangolo senza mai uscirne dai contorni, un gioco che al giorno d’oggi potrebbe essere paragonato a grosse linee a quello delle bocce.
Ed infine il gioco della Fossetta o dell’orca (dal nome di un recipiente dall’imboccatura stretta), molto apprezzato : “Spesso anche c’è una buchetta posta ad una certa distanza, nella quale con abile mano si deve far cadere una noce”, dove l’obiettivo da una certa distanza era far cadere la noce dentro il buco o il recipiente.
In tutte le epoche il gioco era uno dei passatempi a cui i fanciulli ricchi e poveri dedicavano parecchie ore, sia da soli, che in compagnia di coetanei o di giovani schiavi. Si trattava come si è visto con le noci di giochi semplici, che non avevano bisogno di cifre esose e nonostante questo davano ai ragazzi ore e ore di divertimento.