Roma, nella seconda metà del III secolo d.C., doveva opporsi a numerosi nemici. I confini settentrionali dell’impero erano minacciati dai Goti, che spesso oltrepassavano i confini per fare bottino nei territori romani, mentre in oriente dopo l’umiliante sconfitta dell’imperatore Valeriano i Persiani ritenevano di poter conquistare facilmente le province dell’Impero Romano. Si oppose a questo progetto Palmira, una città di piccole dimensioni nel deserto siriano. Città antichissima, con insediamenti che si possono far risalire al 7000 a.C., in un primo tempo fu annessa all’impero seleucide, diventando pressoché indipendente al termine del I secolo a.C. (foto n. 1). I Palmireni decisero di voler far parte dell’Impero Romano, e non perché conquistati, al tempo di Tiberio. Pertanto i Romani avevano posto nella città una guarnigione ed avevano stabilito delle tasse molto blande, così che Palmira si era notevolmente sviluppata come centro urbano mercantile, commerciando con le città portuali della Siria romana e facendo arrivare spezie e sete dall’Arabia, dall’India, dalla Persia e dalla Cina. Nel III secolo d.C. l’Impero Romano attraversava una grave crisi. L’imperatore Licinio Gallieno cercava con notevoli sforzi di conservare l’unità dell’Impero, consapevole che i Romani da soli non sarebbero riusciti nell’intento che si erano prefissati, ma che fossero necessari dei validi alleati.

Foto 1 / Resti della città di Palmira

Pertanto Licinio Gallieno nominò Settimio Odenato (re di Palmira) «dux romanorum». Odenato aveva il compito di sconfiggere i Persiani ed allontanare la loro minaccia. Il «dux romanorum» era in possesso di due armi straordinarie, gli arcieri ed i catafratti. Il sovrano di Palmira, discreto comandante, in poco tempo ebbe nelle sue mani i forti di Carre e Nisibi, cingendo d’assedio pure la capitale persiana. Dopo queste vittorie Gallieno insignì Odenato del titolo di «corrector totius orientis» (sovrintendente dell’intero oriente), onorificenza che non gli assegnava nessun maggior potere. Intanto i Goti irrompevano in Cappadocia nel 267 d.C., facendo accorrere il «corrector totius orientis» per fronteggiare questo nuovo pericolo. Ma Odenato, insieme al figlio Settimio Erode, venne ucciso nella città di Emesa dal nipote Meonio, che aspirava ad essere re di Palmira. Molto probabilmente Meonio era stato sobillato dai Persiani, o dai Romani, o dalla stessa Zenobia (…. – Tivoli, 275 d.C.), seconda sposa di Odenato dal 262 d.C. al 267 d.C. (le notizie che possediamo sulla regina provengono dalla «Storia nuova» di Zosimo e dalla «Historia Augusta»). La sovrana, prontamente, fece imprigionare ed ammazzare Meonio con il pretesto di voler vendicare l’uccisione del marito.

Foto 2 / Mondo romano all’apice della crisi del III secolo

A questo punto pose sul trono il figlio Vallabato, divenendo reggente dal 267 d.C. al 272 d.C., grazie al quale dominava territori come la Cilicia, la Mesopotamia, l’Arabia ed una porzione della Siria (foto n. 2). Zenobia amava chiamarsi «regina dell’Oriente», affermando di essere una discendente di Cleopatra (parentela alquanto difficile). Amava parlare alle truppe bardata di tutto punto e con voce forte e chiara, ma allo stesso tempo volle avere a corte diversi filosofi neoplatonici, fra i quali scelse come fidato consigliere Longino. In primis Zenobia rafforzò il suo potere ed il controllo su alcune province orientali dell’Impero Romano. Successivamente mentre il nuovo imperatore romano, Claudio il Gotico, si occupava di respingere i Goti oltre i confini, la regina pensò bene di conquistare Antiochia e pure l’Egitto, approfittando della morte prematura di Claudio il Gotico a causa della peste. Probabilmente la sovrana di Palmira non tenne in grande considerazione il nuovo imperatore, Aureliano, originario dei Balcani. Era chiamato «manu ad ferrum» cioè “mano alla spada”, non avendo fra le sue caratteristiche la pazienza e la diplomazia. Dopo aver reso sicure le frontiere danubiane, volle occuparsi della ribelle Palmira. Nel 272 d.C. raccolse un poderoso esercito nell’attraversamento dei Balcani. La Bitinia e l’Egitto, occupate alcuni mesi prima da Zenobia, vennero riprese quasi senza combattere. Gli eserciti di Palmira, capeggiati dal generale Zabdas e formati da ciò che rimaneva di due legioni romane, insieme agli arcieri palmireni e alla cavalleria pesante, si diressero quindi incontro all’imperatore, che venne raggiunto sulle sponde dell’Oronte, dove ci fu la battaglia di Immae. Aureliano, da bravo stratega, ebbe la meglio sui soldati di Zabdas, che pertanto patirono una dura sconfitta.

Foto 3 / Moneta raffigurante Zenobia

Zabdas ripiegò su Antiochia, dove non dicendo la verità, affermò di aver catturato Aureliano. In seguito Zenobia e Zabdas, dopo aver posto un numero esiguo di soldati nel sobborgo di Dafne, di notte si mossero verso Emesa per poter radunare un secondo esercito con il compito di sconfiggere Aureliano. L’imperatore, ricevuto con grandi onori dalla popolazione di Antiochia, prese Dafne, facendo uccidere tutti i soldati di Zenobia. Dopo questi eventi le città di Apamea, Larissa ed Aretusa si arresero senza opporre alcuna resistenza. Aureliano, in seguito, raggiunse velocemente Emesa, dove si ebbe la battaglia decisiva.

Zenobia in catene / scultura di Harriet Hosmer / 1859
Wikimedia Commons

L’imperatore romano, adoperando una tattica molto simile a quella dello scontro di Immae ed utilizzando forze fresche mesopotamiche, siriane, fenicie e palestinesi, ottenne una strepitosa vittoria contro i soldati di Palmira, che erano all’incirca 70.000 unità. Importantissimi furono le truppe palestinesi, che possedevano robusti bastoni con la punta di ferro in grado di rompere la protezione in cotta di maglia dei catafratti dell’esercito di Palmira. La sconfitta fu particolarmente dolorosa per Zenobia, poiché ad Emesa Aureliano si impossessò del tesoro della nemica, impedendo alla regina di poter allestire nuove truppe contro Roma. Zenobia venne aiutata a raggiungere Palmira dai nomadi del deserto, che in più occasioni infastidirono l’esercito romano con una serie di scaramucce, facendo tutti i preparativi necessari per sostenere un assedio e contando nell’aiuto dei Persiani, che non giungerà mai. Aureliano scrisse una missiva a Zenobia (riportata nella «Historia Augusta») offrendole una resa molto vantaggiosa «….ti prometto che vivrai, Zenobia; tu e la tua famiglia potrete vivere nel palazzo che chiederò al nostro riverito Senato di concederti. In cambio, dovrai consegnare i gioielli, l’argento, l’oro, le vesti di seta, i cavalli ed i cammelli all’erario di Roma. I diritti della popolazione di Palmira saranno rispettati». La regina, inaspettatamente, non volle aderire alla proposta dell’imperatore romano, rifiutandola in maniera sprezzante ed obbligando Aureliano ad assediare Palmira. Lo stesso dovette confrontarsi con le tribù del deserto che furono vinte, o con le armi, o col denaro (diverse tribù si accaparrarono il lucroso compito di fornire le vettovaglie all’esercito imperiale). A questo punto Zenobia (foto n. 3) ed il figlio, Vaballato, sperando nell’aiuto dei Persiani, si allontanarono da Palmira grazie ad alcuni dromedari, ma vennero sorpresi ed imprigionati dalla cavalleria romana, nel tentativo di attraversare l’Eufrate. Zenobia e Vaballato, dopo la cattura vennero condotti a Palmira, che nel frattempo aveva aperto le porte ad Aureliano, senza che l’oasi e la città patissero violenze di alcun genere. Successivamente la sovrana ed i suoi fedelissimi raggiunsero in catene Emesa per essere processati. Le truppe di Aureliano desideravano che la donna fosse uccisa, mentre Zenobia chiese all’imperatore che avesse salva la vita. La stessa con un comportamento vergognoso accusò i propri consiglieri, ed in particolare il filosofo Longino, di averla sobillata contro i Romani. L’imperatore romano fece uccidere tutti coloro che avevano appoggiato Zenobia nella rivolta, ma la stessa ebbe salva la vita. La regina, però, venne mostrata in ogni città che Aureliano raggiunse per tornare in Occidente e, stando a quanto raccontato dallo storico bizantino Zosimo, suo figlio perì durante il viaggio verso Roma. Il comportamento dell’imperatore non era dettato dalla vendetta, ma dal momento che la sovrana era divenuta una figura straordinaria e carismatica per distruggere il suo culto la cosa migliore era di evidenziare come la fantomatica donna fosse solamente una semplice prigioniera di Roma.

Pertanto le pretese di Zenobia non produssero nulla di buono per Palmira. I Romani permisero che i Palmireni controllassero parte delle province orientali dell’impero fino al momento in cui non avrebbero avuto nuovamente degli eserciti in grado di riprenderne il controllo. La situazione precipitò quando la regina, conquistando l’Egitto, da infida alleata era divenuta apertamente ribelle. Ma quale fu la sorte di Zenobia? Le fonti storiche più accreditate narrano che fu mostrata a Roma al trionfo di Aureliano in catene d’oro così massicce da necessitare di alcuni schiavi che la sostenessero in piedi. Per i Romani i prigionieri, che partecipavano al trionfo di un generale o imperatore romano, erano custoditi nel carcere romano nei pressi del Foro e qui uccisi. Invece la sovrana poté risiedere in una casa vicino alla celebre villa di Adriano. Si racconta che successivamente sia divenuta moglie di un senatore, vivendo come una nobile romana di campagna. L’imperatore preferì risparmiarla per motivi politici. Aureliano sapeva bene quante simpatie Zenobia riscuotesse ancora in Oriente ed era molto più probabile che i popoli dell’Oriente romano si ribellassero a motivo dell’omicidio della regina piuttosto che sapendola maritata e residente a Tivoli, conducendo una vita da nobildonna romana.

Dipinto di Herbert Gustave Schmalz del 1888 dove Zenobia viene rappresentata nel momento in cui deve sottomettersi all’autorità romana e consegnare il suo impero (Wikipedia)
Advertisement

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here