Alcune tombe dell’Antico Regno mostrano rappresentazioni del defunto, spesso accompagnato da un parente e da qualche battelliere, che scuote i papiri mentre naviga nella palude su un leggero scafo. Questa attività è definita in traslitterazione “sescesc uadj” = “scuotere il papiro”, e le iscrizioni ci informano che queste scene sono rivolte alla dea Hathor.
Il sistro, lo strumento per eccellenza della dea Hathor, era chiamato sescescet e il suono da esso prodotto era indicato con “sescesc”. Questa omofonia conferma che il rito era dedicato alla dea Hathor che nella sua forma animale, come vacca, nelle rappresentazioni è spesso associata ai papiri1. Nelle rappresentazioni di questo rito l’immagine della dea non compare. Le rappresentazioni sono di solito affiancate a quelle in cui il defunto caccia e pesca nella palude, così si è ritenuto che “scuotere il papiro” fosse un rito preparatorio alla caccia2. Nel Medio Regno il rito è rappresentato nella tomba di Baqet III (XI dinastia), a Beni Hasan: la scena è un po’ confusa, ma qui di certo Baqet è anche rappresentato in azioni di caccia nella palude3.
Montet, nell’articolo in cui si è occupato di queste scene, esamina le diverse possibili traduzioni di sscesc uadj per confermare poi che il significato più probabile è “scuotere i papiri”. A sua volta Vandier, nel suo manuale, dà per scontato che il rituale sia lo scuotimento dei papiri e che il rito sia un’attività preparatoria alla caccia.
Più di recente A.Wood ha pubblicato un articolo che è il risultato delle sue analisi di 22 tombe dell’Antico Regno in cui compare il rituale. Le sue analisi non sono sempre convergenti verso un unico significato. Una sua ipotesi è che possa trattarsi di un antico rito di visita a un’antica necropoli del Basso Egitto. Comunque, anche la Wood conclude che “scuotere i papiri” è la migliore descrizione delle rappresentazioni delle scene e che dopo la VI dinastia sembra che il significato del rito sia mutato.
Infatti, il rito di scuotere i papiri ora è rappresentato anche in tombe reali e nei templi.
La scena con lo scuotimento del papiro o dei papiri, uno per mano, ricompare nella tomba del faraone Ay (XVIII dinastia): il re, seguito dalla regina, compie il rito di “scuotere i papiri”.
Senza soluzione di continuità segue poi la scena della caccia con il bastone da getto agli uccelli della palude. Ma il re volge la schiena agli uccelli che si sono levati in volo a causa dello scuotimento dei papiri. Si deve quindi concludere che le due scene siano contigue perché entrambe si svolgono nella palude, ma che si tratti di due riti diversi.
Il rito è anche rappresentato in alcuni templi: ad esempio, nel tempio di Hibis, nell’oasi di Kharga, è Dario I che esegue il rito. Nel mammisi del tempio di Kom Ombo è il re Tolomeo VIII Evergete II che scuote i papiri.
Con lo scuotimento dei papiri molti uccelli si alzano in volo, ma anche in questi casi le scene non mostrano nulla che abbia a che fare con episodi di caccia.
In alcune rappresentazioni la scena dello scuotimento dei papiri prosegue con il rito della caccia e della pesca nella palude, ad esempio nella tomba del re Ay. Se si accetta la tesi che il rito della caccia e della pesca nella palude avesse lo scopo di garantire il buon esito del “viaggio tra la morte e la sopravvivenza”4, in quanto la fauna della palude rappresentava dei demoni suscettibili di aggredire il defunto durante la fase della sua rigenerazione, in questo caso i due riti indipendenti potevano essere associati avendo essi in comune l’ambiente e l’obiettivo di riportare a nuova vita il defunto.
In mancanza di indicazioni coeve sul significato del rito, sono state formulate varie ipotesi. Si è ipotizzato che il fruscio prodotto dai papiri scossi avesse il significato di mettersi in comunicazione con la dea per avere una fruttuosa partita di caccia e protezione dai rischi relativi5. Un’altra ipotesi propone che il rito servisse ad attirare la dea: il defunto si proponeva di essere accolto nel suo seno e di essere rigenerato6.
A tale proposito sembra che il significato del rito ci sia offerto da due importanti documenti: la vignetta della formula 186 del Libro dei Morti e un gruppo statuario del Museo Egizio del Cairo (JE 38574-5).
La vignetta della formula 186 mostra la cappella funeraria di una tomba scavata nella falesia. La vacca Hathor compare virtualmente all’interno di una macchia di papiri che, ovviamente, non nascono sulla falesia ma sono la tipica vegetazione della palude. Davanti si staglia la figura di Tueris, la dea protettrice delle nascite, il punto di arrivo di questo percorso rituale in cui Hathor agisce come mediatrice per la rinascita del defunto.
L’altro documento che ci offre un possibile significato del rito è il gruppo statuario del Museo Egizio del Cairo. Qui la dea Hathor come vacca esce da una macchia di papiri. Sul davanti, appoggiata al suo petto, una immagine di Amenhotep II, dipinta in nero, indica il re defunto7 Sotto il ventre della vacca è inginocchiato Amenhotep fanciullo che sugge il latte dalle mammelle della dea, quindi rigenerato e divinizzato.
Questo gruppo statuario ci comunica che il faraone, passato all’altro mondo, risorgerà come nuovo essere divino grazie ad Hathor8. Quindi il messaggio di questo monumento ci offre di nuovo un indizio forte per ritenere che lo scopo primario del rito di “scuotere i papiri” sia di ingraziarsi i favori di Hathor al fine di rigenerarsi dopo la morte.
Gilberto Modonesi
1) Vandier, Manuel d”archéologie égyptienne, tome IV, Editions Picard, Paris 1964, pagg. 738-746, figg. 412-418: questo autore segnala anche la bibliografia uscita fino alla data del volume. Montet, Hathor et les papyrus, in Kemi 14/1957, pagg. 102-108; Wood, sSS wad scenes of the Old Kingdom revisited, in Old Kingdom. New perspectives (eds. N. & H. Strudwick), Oxbow Book, Oxford 2011, pagg. 314-319.
2) Vandier intitola il paragrafo “La préparation à la chasse” pure constatando che nelle scene non compaiono mai gli strumenti della caccia: pag. 738.
3) Newberry, Beni Hasan, part II, Kegan Paul, London 1894, Tomb N. 15, Plate IV.
4) Desroches Noblecourt, Le fabuleux héritage de l’Egypte, Editions Télémaque, Paris 2004, pagg. 70-74.
5) Montet, op. cit., pag. 108 e Vandier, 1964, op. cit.
6) Wood, op. cit., pag. 319.
7) L’ immagine del re è dipinta di nero, simbolo di morte. È bene precisare che il catalogo del Museo Egizio del Cairo assicura che il re in questione è Amenhotep II, ma nella letteratura si trova spesso il nome di Thutmosi III.
8) Desroches Noblecourt, Amours et fureurs de la Lointaine, Stock/Pernoud, Paris 1997, pagg. 24-26.