DALLA CACCIA ALL’IPPOPOTAMO A SAN GIORGIO E IL DRAGO:
DAL CONFLITTO TRA ORDINE E CAOS AL CONFLITTO TRA BENE E MALE
L’ippopotamo durante il giorno sta pigramente vicino ai corsi d’acqua in cui talvolta si immerge; durante la notte invade in bande le terre coltivate e si nutre di abbondante vegetazione e calpesta e distrugge ciò che non mangia. È quindi un animale dannoso per i contadini perché induce carestie.
Un testo conosciuto come “la satira del mestiere del contadino” racconta che la metà delle coltivazioni si perdeva a causa degli ippopotami, senza contare poi altri fattori di distruzione quali i vermi, i ratti, ecc.i
Una concezione basilare della religione egizia si fonda sul conflitto permanente tra l’ordine della creazione, così come è stata voluta dal demiurgo, e il caos delle origini, l’indifferenziato, il disordine che pregiudica e mette a rischio l’ordine della creazioneii. Una dea, Maat, identifica l’idea di un equilibrio universale che comprende la concezione dell’ordine cosmico e socialeiii.
L’ippopotamo è stato considerato un simbolo del “disordine”iv, del caos, e come tale cacciato in Egitto fin dal periodo pre-protostoricov.
Il valore simbolico della caccia all’ippopotamo è ben documentato nella grande mastaba di Idu-Nefer (VI dinastia), governatore di Balat, nell’oasi di Dakhla: Idu-Nefer su un leggero scafo colpisce l’ippopotamo.
L’immagine è del tutto simbolica in quanto nel deserto di Dakhla e a Balat in particolare non esistono fiumi o pozze d’acqua in cui poteva vivere un ippopotamo.
Nella religione egizia l’ippopotamo non è sempre negativo e soprattutto le femmine identificano spesso divinità positivevi. In questa sede l’ippopotamo maschio ci interessa solo per la sua valenza negativa che comportava la necessità della caccia.
Sono state ritrovate numerose ossa di ippopotamo che risalgono al periodo pre-protostorico. Nel sito preistorico di Merimde-Beni-Salamavii tibie di ippopotamo venivano usate come gradino per entrare nelle abitazioni del villaggioviii. Di quel periodo ci sono pervenute altre tracce di esistenza di ippopotami: graffiti, statuine, amuletiix.
Fin dal periodo pre-protostorico e per tutto il corso della storia egizia la funzione liturgica di cacciare l’ippopotamo spettava al re nel suo ruolo di garante della Maat contro il caosx: per il periodo protostorico ne abbiamo prova nel dipinto su tela proveniente da una tomba di Gebeleinxi e in due iscrizioni della Pietra di Palermo riferite al re Den (I dinastia)xii.
Una conferma indiretta ci è giunta dalla storia di Manetone secondo il quale Menes, il primo re della I dinastia, sarebbe morto a causa di un ippopotamoxiii.
La caccia regale all’ippopotamo è anche documentata per i re Sahuraxiv (V dfinastia) e Pepi II (VI dinastia)xv.
Nella formula 231 dei Testi delle Piramidi (V-VI dinastia) si legge uno scongiuro all’ippopotamo:
Dire le parole:
Il tuo osso è un arpione, cosicché tu sei colpito con l’arpione.
I cuori (dei nemici) sono allontanati.
I nomadi che siedono … sono abbattuti.
È il dio Hemenxvi … (sottinteso: il cacciatore)
Il testo ci dice che l’uccisione dell’ippopotamo aveva anche un significato rituale, oltre che pratico, e che il cacciatore si identificava in un dio, in questo caso Hemen, il dio falco di Hefat (una città nei pressi di Esna). Per la magia è anche interessante notare che l’ippopotamo veniva cacciato con la sua stessa materia, un arpione ottenuto da un osso di ippopotamo.
Altre divinità che cacciavano l’ippopotamo sono la dea Neith e gli dei Hornufi, Montu e Horus figlio di Isixvii.
A scopo apotropaico la caccia all’ippopotamo inizia a essere rappresentata nelle tombe private a partire dalla V dinastia. Il titolare della tomba, un personaggio altolocato nella scala sociale, di solito osserva e dirige i cacciatorixviii.
La concretezza della scena consente di conoscere gli strumenti e le modalità della caccia. Un cacciatore colpisce l’ippopotamo alle narici o in gola con un’asta su cui è innestato un arpione mobile ancorato a un galleggiante. Se l’ippopotamo ferito fugge, l’arpione si stacca e il galleggiante segnala il punto in cui l’animale ferito è agonizzante. Gli altri cacciatori sono spesso ripresi mentre colpiscono l’ippopotamo per finirloxix.
A Moalla, a sud di Luxor, nella tomba di Ankhtifi, un capo militare del I Periodo Intermedio, è rappresentata una scena di caccia all’ippopotamo condotta da una flottiglia di barche. Lo scopo di questa caccia è di assicurare il ritorno dell’inondazionexx. Quindi, in ultima analisi, di garantire il regolare succedersi dei ritmi della natura, cioè di Maat.
La caccia all’ippopotamo è rappresentata anche in alcune tombe del Nuovo Regno ma con minore frequenzaxxi. La tomba di Sataimau, a Hagar Edfu (XVIII dinastia, regno di Amenhotep I), sulla parete nord della prima camera, presenta tracce della caccia all’ippopotamo. È di grande interesse il testo geroglifico che sovrasta la scena: il proprietario della tomba, prete ritualista, afferma di rovesciare i nemici di Horus e di uccidere i ribelli affinché Horus possa trionfare dei suoi avversari. Il testo è importante perché per la prima volta una tomba privata ci trasmette il significato simbolico di questa scena: il trionfo dell’ordine sul caos, con il defunto che uccide le forze del male incarnate dall’ippopotamoxxii.
L’ippopotamo non è il solo animale che simboleggia il disordine: già nell’Antico e nel Medio Regno gli animali del deserto e la fauna delle paludi identificano nelle rappresentazioni i fattori del disordine. Nelle tombe private compaiono spesso scene in cui il titolare della tomba è impegnato nella caccia agli animali del deserto oppure è rappresentato nella palude mentre fiocina pesci o colpisce uccelli lanciando il bastone da gettoxxiii.
Altri animali rappresentativi del disordine sono il coccodrillo, il serpente, l’asino e la tartaruga. Essi sono considerati una manifestazione del dio Seth, per eccellenza il dio del disordine dati gli eccessi tipici di ogni suo comportamentoxxiv. Il dio Seth è anche un dio omicida avendo assassinato il fratello Osiri per usurparne il tronoxxv. Il tipico dualismo egizio comporta per ciascuno di questi animali e per lo stesso dio Seth anche l’esistenza di una controparte positiva (come si può ad esempio constatare nella figura 8) che verrà qui ignorata perché estranea al temaxxvi.
Anche i sovrani, a maggior ragione in quanto garanti della Maat, partecipavano a partite di caccia nel deserto. Ricordiamone alcune particolarmente note: un grande rilievo, purtroppo molto frammentato, proveniente dal suo tempio funerario a Saqqara, mostra il re Sahura (V dinastia) che scocca frecce e abbatte vari animali del desertoxxvii; sul coperchio di un cofano dipinto il re Tutankhamon con il suo arco fa strage di animalixxviii; sul retro esterno meridionale del primo pilone del tempio di Medinet Habu, a Luxor, il re Ramesse III (XX dinastia) è rappresentato durante una caccia ai tori selvaggixxix.
Spesso i sovrani sono rappresentati in azioni guerreschexxx e nell’abbattimento rituale dei nemicixxxi, che sono uno dei massimi fattori di disordine secondo l’ideologia egizia.
Nelle tombe regali del Nuovo Regno è invece un mostruoso serpente di 120 cubiti, Apopi, incarnazione delle forze del caos, che mette a rischio il creato, l’ordine della creazione. Apopi con i suoi accoliti cerca inutilmente di arrestare il percorso notturno del dio sole, Ra, prosciugando l’acqua su cui naviga la barca solare. Ma l’assalto di Apopi per evitare la rinascita del sole nel giorno che sta per sorgere, un fatto esiziale per la creazione, viene regolarmente respinto dalle divinità che proteggono Ra. Ma il tentativo di Apopi si ripeterà indefinitamente ogni notte al passaggio di Ra nell’oscuro mondo dell’Amduat, il regno dei defuntixxxii.
Nelle tombe private il defunto è rappresentato su papiro, il Libro dei Morti, mentre respinge con una lancia animali sethiani: coccodrilli, serpenti, un maiale, vermi e un coleottero necrofagoxxxiii. Il titolo delle formule indica da quale rischio si difende il defunto:
- “Formula per respingere il coccodrillo che è venuto per portare via a N. la sua potenza magica nel regno dei morti” (formule 31 e 32)
- “Formula per scacciare il serpente perché N. non sia morso nel regno dei morti” (formule 33 e 34)
- “Formula perché N. non sia mangiato dai vermi nel regno dei morti” (formula 35)
- “Formula per respingere (il serpente) che inghiotte l’asino” (formula 40).
La vignetta della formula 40 mostra il defunto che con la lancia scaccia un serpente che sovrasta un asino, il simbolo del peccato. Il serpente che inghiotte l’asino assume in sé i peccati liberando da essi il defuntoxxxiv.
Interessante è anche la formula 36 per la vignetta che mostra il defunto mentre con una lancia colpisce un maialexxxv. Le rappresentazioni del maiale sono rarissime anche se questo animale era molto diffuso in Egitto e veniva allevato per essere consumato, soprattutto dai livelli più poveri della popolazionexxxvi. Di certo il maiale era valutato negativamente perché esso si nutre di rifiuti e vive in un sudiciume ripugnante; forse è per questo suo comportamento che gli è stato inflitto un tabu. Ma il maiale è anche associato a Seth, il quale, come verro, aveva ferito l’occhio di Horus, la luna, provocando la fase calante dell’astro notturno. Per questa sua malevole azione il maiale è diventato un animale abominevole per Horus e per tutte le altre divinitàxxxvii.
Con le formule del Libro dei Morti e le relative vignette il defunto difende se stesso da questi esseri maligni, assicura a se stesso la Maatxxxviii e dà nel contempo un contributo al mantenimento della creazione.
Ma l’antico nemico, l’ippopotamo, non è dimenticato: lo ritroviamo come elemento di provocazione nella “querelle” tra il re hiksos Apophi e il re tebano Seqerenre Tao (XVII dinastia). Apophi si lamenta con Seqerenre e gli impone di intervenire contro gli ippopotami che a Tebe fanno un tale baccano da disturbarlo nella sua capitale, Avaris, a più di 600 km. di distanza nel Delta orientalexxxix.
Nel tempio del dio Horus, a Edfu, sono rappresentati alcuni quadri che illustrano le fasi del “rituale della vittoria”: Horus compare su un leggero scafo mentre colpisce l’ippopotamoxl.
È opinione comune che il testo di questo rituale fosse recitato come dramma liturgico dai preti sul lago sacro del tempio. In questo dramma una focaccia a forma di ippopotamo identificava l’animalexli. Tale focaccia era poi fatta a pezzi e distribuita a coloro che recitavano la parte dei cacciatori. Nella sua monografia sugli ippopotami, l’egittologo Yoyotte ritiene che la sostituzione dell’animale con la focaccia sia la prova che in quel periodo gli ippopotami fossero ormai rari in Egittoxlii.
Infatti, i coccodrilli, contrariamente agli ippopotami, venivano effettivamente sacrificati nei rituali in cui essi rappresentavano il disordine. Gli ippopotami erano sicuramente ancora più rari nel IV secolo d.C., quando Marcellino Ammiano visitò l’Egitto: infatti lo storico romano scrisse che non se ne trovavano più da nessuna parte perché si erano ritirati nella terra dei Blemmi, in Nubia, per sfuggire alla caccia spietata cui erano soggettixliii.
Nonostante la loro rarità gli ippopotami sono stati considerati anche in tempi successivi animali tipici del Nilo, come dimostrano numerosi mosaici ritrovati a Roma in ville del II-III secolo d.C.xliv. Anche nel mosaico di Palestrina (III-IV secolo d.C.) è rappresentata una caccia all’ippopotamoxlv.
L’icona di questa caccia rituale identifica l’Egitto, tanto da ritrovarla anche nella Mensa Isiaca (o Mensa Bembina)xlvi. Si ritiene che il rituale della caccia all’ippopotamo fosse il libretto di un dramma liturgico, una forma di teatro egizio. Negli anni scorsi sono state esperimentate rappresentazioni teatrali di questo antico dramma sacroxlvii.
In Egitto le rappresentazioni templari di epoca greco-romana vedono spesso il serpente come vittima del ritualexlviii, ma pure l’asinoxlix e la tartaruga possono essere assunti come simbolo del male. La tartaruga, che pure presenta aspetti cosmici benefici, era assimilata al serpente Apopi perché la sua forma evocava i banchi di sabbia del fiume e si temeva che bevesse l’acqua dell’inondazione intralciando così la navigazione del dio sole Ral.
Con Tolomeo IV Filopatore inizia una importante svolta figurativa nelle classiche rappresentazioni ieratiche di divinità e sovrani egizi che uccidono ritualmente i simboli del caos. Infatti, Tolomeo IV ordina di celebrare la sua vittoria contro Antioco III a Rafia nel 217 a. C., in Palestina, con due stele conosciute come Rafia I e Rafia II: Rafia I rappresenta nella lunetta il re a cavallo che trafigge con una lancia la figura di Antioco; nella stele trilingue Rafia II non si vede il bersaglio della lancia di Tolomeo perché la figura del nemico è in lacuna. Una iscrizione ieratica relativa a Rafia I precisa che la rappresentazione di Tolomeo a cavallo è stata realizzata per ordine del re in modo da figurare secondo la tradizione dei faraonili.
Quindi l’evento storico, la vittoria in una battaglia, viene rappresentato con assonanze di ordine religioso; principio che, forma a parte, rientra nelle concezioni egizie.
Un ulteriore passo in questa direzione è compiuto dal prefetto romano Cornelio Gallo. Per glorificare le sue imprese in Egitto (30-27 a. C.), il prefetto fece realizzare una stele trilingue in cui egli figura a cavallo mentre con la lancia trafigge un nemicolii. La rappresentazione è del tutto analoga nella forma a quelle delle stele Rafia I e Rafia II.
Nel IV secolo d. C. troviamo poi due documenti estremamente significativi che ripetono sostanzialmente il modello inaugurato da Tolomeo IV, ma con alcune varianti che lo modernizzano al periodo romano.
Il primo di tali documenti è un graffito che si trova sul secondo pilone del tempio di Kalabsha, in Bassa Nubia: il cavaliere che con la lancia trafigge la figura di un nemico indossa l’uniforme romana, una corazza e un lungo mantello. La Vittoria alata sovrasta il cavaliereliii.
L’altro documento, che per motivi stilistici viene pure fatto risalire al IV sec. d. C.liv, è un frammento di scultura in arenaria, scolpita “a giorno”, con la figura di Horo cavaliere che, protetto da una armatura romana, trafigge un coccodrillo con la lancia. In questa scultura l’antico dio egizio Horo è trasformato in guerriero romano per affrontare il suo tradizionale nemico ritualelv.
Come conclusione sono da mettere in evidenza due fatti significativi:
- in Egitto si è affermata l’idea che la “funzione militare era allora legata per eccellenza all’esercito romano”lvi e pertanto era naturale che il vincitore dell’antico contrasto tra le due divinità assumesse l’aspetto di un legionario romano;
- le figure dei cavalieri che trafiggono un nemico documentano l’interdipendenza concettuale e figurativa tra eventi storici e azioni rituali che continua a manifestarsi anche nei periodi greco e romano, e oltre, sulla scorta di un pensiero mitico tipicamente egizio.
Una prova concreta di tale sintesi “storico-religiosa” è data anche da una immagine di un paio di secoli più tarda che ripete il modulo consueto. Essa si riferisce all’uccisione in battaglia di Gragn, re di Harari, da parte dell’imperatore etiopico Galawedos nel 1543. L’imperatore che trafigge Gragn è a cavallo in costume etiopico e con mantello svolazzante: la sua testa è circonfusa dall’aureola dei santi57.
Le Crociate, che in varie ondate, dal 1096 al 1270 d. C., invasero il Medio Oriente con numerosi eserciti sotto la spinta di motivazioni di ordine religioso, devono avere consolidato la tendenza alle affabulazioni, facilitando gli intrecci tra fatti storici e leggende, la commistione tra sacro e profano.
È da questo immaginario collettivo che scaturisce improvvisamente la figura di San Giorgio, nel III sec. d.C. Le notizie sulla sua vita sono incerte e la sua agiografia è ricca di episodi inverosimili, tanto che la Chiesa lo ha recentemente declassato nella liturgia a una memoria facoltativa. Il suo nome deriva dal greco e ha il significato di “agricoltore”, ma la sua figura è quella di un cavaliere e ha molte analogie con le immagini dei legionari romani, anche se aggiornata negli ornamenti e nell’armatura ai periodi medievale e rinascimentalelviii.
La leggenda di San Giorgio e il drago, che influenzò l’ispirazione figurativa di molti artisti, risale al Medioevo. Essa narra di un drago che dimorava in uno stagno presso la città di Silene, in Libia, e che si nutriva di pecore e di giovani di quella città. Proprio quando la sorte di vittima toccò alla figlia del re, si trovò a passare da quelle parti San Giorgio che affrontò e vinse il drago. Tutta la popolazione di Silene si convertì alla fede cristiana. La fantasia popolare e il mito di Perseo che salva Andromeda dal mostro si riversarono sulla figura di San Giorgio per assumerlo a simbolo di Cristo che sconfigge il male-demonio rappresentato dal dragolvix.
Nel calendario la ricorrenza di San Giorgio cade il 23 aprile e un significato secondario della sua figura è di sconfiggere le tenebre dell’inverno (il drago) e di favorire lo sviluppo della primavera.
San Giorgio è un santo molto popolare, come dimostrano le numerose “immaginette” che lo rappresentano mentre lotta con il drago. Il suo culto si è diffuso in tutto il mondo e particolarmente nell’area del Medio Oriente e in Etiopia, dove i dipinti del santo in azione contro il drago sono onnipresenti nelle chiese.
I crociati accelerarono la diffusione del culto di S. Giorgio anche in Europa. Edoardo III d’Inghilterra istituì “l’Ordine di San Giorgio o della Giarrettiera”. Vari altri ordini laici sono dedicati a San Giorgiolx.
Numerosi artisti medievali e rinascimentali ci hanno trasmesso dipinti che celebrano la leggenda di San Giorgio e il drago in forme tali che, fatti salvi i differenti significati religiosi, consentono di supporre che tali rappresentazioni siano la evoluzione iconografica di un antico rito egizio.
Ora non rimane che visitare le pinacoteche in cui sono custodite le straordinarie opere pittoriche dei grandi artisti che nel Medioevo e nel Rinascimento dipinsero il tema di San Giorgio e il dragolxi.
Gilberto Modonesi
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1) Sui vari tori adorati nell’Egitto antico si veda l’elenco di Yoyotte, 2005, pagg. 572-574.
2) Come esempio di queste rappresentazioni citiamo la “paletta dei tori” (Museo del Louvre) e la paletta di Narmer (Museo Egizio del Cairo).
3) Ricordiamo che i sovrani celebravano la “festa Sed” e che “sed” nella lingua egizia significa “coda”.
4) M. Ibrahim & D. Rhol, 1989, pag. 20. Questi due autori hanno ripreso gli scavi del Serapeum, la necropoli dei tori Api, nel 1985.
5) A.J. Serrano, 2002, testo a pag. 69, fig. 34 a pag. 70; J. Yoyotte, 2005, pagg. 584-585. Nota bene: il segno geroglifico dell’anatra, che figura talvolta nel nome di Api, è solo un fonogramma.
6) Yoyotte, op. cit., pag. 585. T. Wilkinson, 1999, elenca a pag. 281 i documenti che attestano la festa degli Api nelle due prime dinastie e a pag. 300 riporta le “corse degli Api” registrate sulla Pietra di Palermo. Un fac-simile della Pietra di Palermo che mostra il re Den impegnato nella corsa con Api si può vedere in B. Kemp, 2000, a pag. 25 dell’edizione italiana.e a pag. 23 dell’edizione inglese.
7) Formule 254, 539, 674. Yoyotte riferisce (pag. 586) che i TdP e attestazioni successive specificano che “il vitello, uscito da una dea-vacca, diventa il toro rapido che bisogna catturare al laccio e che coprirà le vacche da cui nasceranno vitelli e giovenche”. La conclusione è che per gli egizi delle alte epoche Api è in origine la divinità responsabile della perpetuazione di scorte bovine vive.
8) Una voluminosa documentazione di testi egizi sull’Api, che vanno dal Terzo Periodo Intermedio in poi, si ha in particolare con le numerose stele ritrovate nel Serapeum, scoperte però a partire dal 1850.
9) Le Storie, libro II, 153.
10) Geografia, libro XVII, 31.
11) Iside e Osiride, 20, 29, 35, 43, 56.
12) Libro I, 21, 84, 85, 96.
13) Si veda la nota n. 3.
14) Yoyotte dubita che sia stato proprio Amenhotep III a iniziare a seppellire gli Api.
15) Questa vecchia ipotesi è riportata anche dal Vandier, 1952, pag. 911 e di recente ripresa da Ibrahim & Rohl, op. cit., pag. 23.
16) Su queste differenze torneremo più avanti.
17) Un disegno, riportato da N. Reeves, 2000, a pag. 40, dà una visione impressionante della dimensione dello scavo.
18) Greater Vaults, in lingua anglosassone. Nell’articolo useremo come sinonimi i termini “sotterranei” e “catacombe”.
19) Ibrahim & Rohl, 1988, pag. 10.
20) Lesser Vaults, in lingua anglosassone.
21) Dodson, 2005, pagg. 76-79.
22) Le più antiche tombe ritrovate dei tori Api.
23) Reeves, 2000, figura a pag. 41. Anche Yoyotte, 2005, cita tale cappella a pag. 588.
24) Ibrahim & Rohl, op. cit., pag. 12.
25) Yoyotte, 2005, pagg. 588-593.
26) Ricordiamo anche il “tesoro di Dush”, scoperto nel 1989 nella lontana oasi di Dush (Kharga): una corona d’oro del grande prete di Serapide munita di numerose placche con la figura a sbalzo di Api oltre a bracciali e altri oggetti rituali, tutti votati a Serapide e a Api, per un totale di 1, 220 kg. d’oro.
27) Empereur, 1998, pagg. 88-99. Una splendida foto del toro è a pag. 88 e a pag. 93 un magnifico busto di Serapide.
28) Dodson, 2005, pagg. 81-82.
29) Dodson, 2005, pag. 89.
30) Ricordiamo che queste tombe furono trovate intatte. La situazione dei corpi degli Api è descritta da Ibrahim & Rohl, op. cit., pagg. 11-12 e A. Dodson, 2005, pag. 74.
31) S. Donadoni, 1959, pagg. 113-115. Su questa formula dei TdP è stato scritto un intero volume: C. Eyre, 2002.
32) A. Dodson conferma più volte la sua convinzione che Api venisse mangiato: su KMT, 1995, 6.1, pag. 23, l’autore ipotizza che “la morte del toro divino fosse seguita da una festa in cui il faraone divorava l’incarnazione del dio Ptah sulla terra”. Ancora Dodson, 2005, pag. 74, ribadisce che nel Nuovo Regno gli Api defunti venivano mangiati. Analoga convinzione esprimono Ibrahim & Rohl, op. cit., pagg. 20-21. Reeves, 2000, op. cit., cita questa tesi come possibilità, mentre Yoyotte, 2005, op. cit., non si esprime.
33) Alla confusa situazione delle “catacombe minori” e ai numerosi ritrovamenti riferiti a Khaemwaset Dodson, 2005, dedica le pagg. 79-84.
34) Dodson, 2005, pag. 80.
35) Ad esempio il Vercoutter, 1962, pag. 130, sostiene che Khaemwaset fu interrato nel Serapeum.
36) Dodson, 1995, pag. 27; Dodson, 2000, pag. 50; Dodson, 2005, pag. 80; Yoyotte, 2005, pag. Xxxx; Reeves, 2000, pag. 42. Ibrahim & Rohl, 1988, a pag. 14 raccontano di vari blocchi decorati, appartenuti a Khaemwaset, ritrovati nelle “catacombe minori” e ne traggono la conclusione che la sua tomba doveva trovarsi in superficie dentro la cinta del Serapeum.
37) Questo elenco è riportato da Ibrahim & Rohl, op. cit., pag. 7.
38) Diodoro S., I, 85.
39) Secondo Erodoto, II, 153, la madre dell’Api era fecondata da un raggio di luna.
40) La madre dell’Api poteva anche identificarsi con due divinità-vacca: Sekhat-Hor e Hesat, che personificavano la fornitura di latte: Yoyotte, 2005, pag. 580.
41) Yoyotte, op. cit., pag. 581.
42) Yoyotte, 2005, pagg. 591-592.
43) Atum è il sole che muore e che risorge come Khepri.
44) La scrittura geroglifica è costituita di sole consonanti. Per agevolare la lettura la convenzione internazionale è di inserire una e tra le varie consonanti.
45) Yoyotte, 2005, pag. 585.
46) Si veda il prossimo paragrafo per una ipotesi di interpretazione.
47) Yoyotte, 2005, pag. 593.
48) Yoyotte, 2005, pagg. 593-594.
49) Questo paragrafo espone la tesi di Rohl, 1988, pag. 22.
50) Si veda anche Faulkner, 1962, pag. 168.
51) Tali letture sono riscontrabili in Gardiner, 1964, pag. 499 (segno P 8) e in Faulkner, 1962, pag. 69.
52) Rhol, 1988, pag. 22.
53) J. Spencer, 1993, fig. 44 a pag. 65; Serrano, 2002, fig. 23 a pag. 58 e testo a pag. 59.
54) J. Spencer, 1993, fig. 36 a pag. 56.
55) Serrano, 2002, fig. pag. 58 e varie altre interpretazioni delle rappresentazioni della paletta a pag. 59.
56) Plinio e Marcellino Ammiano, ma anche Plutarco.
57) Il primo degli autori moderni a interpretare questa tesi fu Chassinat, 1916, pagg. 33-60.
58) Rohl, 1988, pagg. 20-21, ancora sostiene la tesi dell’annegamento, mentre Vercoutter , Yoyotte e Dodson sono convinti che Api morisse di morte naturale.
59) Yoyotte, 2005, pag. 592.
60) Vercoutter, 1962, pag. XIII.
61) Il museo di Vienna possiede un papiro che riporta minutamente il rituale di imbalsamazione dell’Api: R.L. Vos, The Apis Embalming Ritual, Papyrus Vindob 3873, OLA, Louvain 1993.