© Institute of Archaeology, Belgrado

I minatori di Drmno, in Serbia, a 50km a est di Belgrado, stavano raggiungendo i livelli del giacimento di carbone con un’escavatrice quando, a 8m di profondità, si sono imbattuti in resti lignei. I lavoratori hanno subito contattato gli archeologi del Parco Archeologico di Viminacium, afferenti all’Istituto Archeologico di Belgrado, che hanno identificato nei resti una nave di epoca romana.

© Institute of Archaeology, Belgrado

L’imbarcazione, databile tra il III e il IV sec. d.C., cronologia in attesa di conferma attraverso il radiocarbonio, forse trasportava merci lungo i piccoli fiumi che collegavano Viminacium al Danubio. Capitale della Mesia, Viminacium venne fondata tra l’epoca augustea e quella tiberiana, e divenne sede della Legio VII Claudia e poi dalla Legio III Flavia Felix, nonché quartier generale delle truppe romane che combatterono, in epoca traianea, contro i Daci di Decebalo. Nel 441 d.C. venne rasa al suolo dagli Unni, fu rifondata da Giustiniano I, ma nel 584 d.C. gli Avari la distrussero definitivamente.

© Institute of Archaeology, Belgrado

Ritornando all’importante ritrovamento in territorio serbo, esso si sarebbe conservato grazie ad un microclima umido, composto sia dalle assi di legno che dalla sabbia che le ricopriva. Si è cercato di mantenere le assi umide anche in corso di scavo per evitare che l’essiccazione causata dall’esposizione solare danneggiasse i resti della nave.

© Institute of Archaeology, Belgrado

In origine lunga 20m e larga 3,5m, con fondo piatto adatto a navigare sui fiumi, la chiatta veniva forse spinta con i remi e/o trainata dalla riva, probabilmente anche con l’ausilio di una vela. Per quest’area non si tratta della prima scoperta del genere, poiché già nel 2020 erano state portate alla luce diverse imbarcazioni.

Fonte: Sve o arheologiji

© Institute of Archaeology, Belgrado
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Chiara Lombardi

Laureata in Archeologia Orientale presso l’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” con una tesi magistrale in Archeologia Egiziana dal titolo “Iside nei testi funerari e nelle tombe del Nuovo Regno: iconografia e ruolo della dea tra la XVIII e la XIX dinastia” (2013), ha conseguito un master di primo livello in “Egittologia. Metodologie di ricerca e nuove tecnologie” presso la medesima Università (2010-2011). Durante il master ha sostenuto uno stage presso il Museo Egizio de Il Cairo per studiare i vasi canopi nel Nuovo Regno (2010). Ha partecipato a diversi scavi archeologici, tra i quali Pompei (scavi UniOr – Casa del Granduca Michele, progetto Pompeii Regio VI, 2010-2011) e Cuma (scavi UniOr – progetto Kyme III, 2007-2017). Inoltre, ha preso parte al progetto Research Ethiopic language project: “Per un nuovo lessico dei testi etiopici”, finanziato dall’Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente e dal progetto PRIN 2005 “Catene di trasmissione linguistica e culturale nell’Oriente Cristiano e filologia critico testuale. Le problematiche dei testi etiopici: testi aksumiti, testi sull’età aksumita, testi agiografici di traduzione” (2006-2007). Ha collaborato ad un progetto educativo rivolto ai bambini della scuola primaria per far conoscere, attraverso sperimentazioni laboratoriali, gli usi e i costumi dell’antico Egitto e dell’antica Roma (2014-2015). È stata assistente di ricerca presso la Princeton University (New Jersey) per “The Princeton Ethiopian, Eritrean, and Egyptian Miracles of Mary digital humanities project (PEMM)” (2020-2021). Ricercatrice indipendente, attualmente è anche assistente di ricerca per il Professor Emeritus Malcolm D. Donalson (PhD ad honorem, Mellen University). Organizza e partecipa regolarmente a diverse attività di divulgazione, oltre a continuare a fare formazione. Collabora con la Dott.ssa Nunzia Laura Saldalamacchia al progetto Nymphè. Archeologia e gioielli, e con la rivista MediterraneoAntico, occupandosi in modo particolare di mitologia. Appassionatasi alla figura della dea Iside dopo uno studio su Benevento (Iside Grande di Magia e le Janare del Sannio. Ipotesi di una discendenza, Libreria Archeologica Archeologia Attiva, 2010), ha condotto diversi studi sulla dea, tra cui Il Grande inno ad Osiride nella stele di Amenmose (Louvre C 286) (Master di I livello in “Egittologia. Metodologie di ricerca e nuove tecnologie”, 2010); I culti egizi nel Golfo di Napoli (Gruppo Archeologico Napoletano, 2016); Dal Nilo al Tevere. Tre millenni di storia isiaca (Gruppo Archeologico Napoletano, 2018 – Biblioteca Comunale “Biagio Mercadante”, Sapri 2019); Morire nell’antico Egitto. “Che tu possa vivere per sempre come Ra vive per sempre” (MediterraneoAntico 2020); Il concepimento postumo di Horus. Un’ analisi (MediterraneoAntico 2021); Osiride e Antinoo. Una morte per annegamento (MediterraneoAntico 2021); Culti egiziani nel contesto della Campania antica (Djed Medu 2021); Nephthys, una dea sottostimata (MediterraneoAntico 2021). Sua è una pubblicazione una monografia sulla dea Iside (A history of the Goddess Isis, The Edwin Mellen Press, ISBN 1-4955-0890-0978-1-4955-0890-5) che delinea la sua figura dalle più antiche attestazioni nell’Antico Regno fino alla sua più recente menzione nel VII d.C. Lo studio approfondisce i diversi legami di Iside in quanto dea dell’Occidente e madre di Horus con alcune delle divinità femminili nonché nei cicli osiriaco e solare; la sua iconografia e le motivazioni che hanno portato ad una sempre crescente rappresentazione della dea sulle raffigurazioni parietali delle tombe. Un’intera sezione è dedicata all’onomastica di Iside provando a delineare insieme al significato del suo nome anche il compito originario nel mondo funerario e le conseguenti modifiche. L’appendice si sofferma su testi e oggetti funerari della XVIII dinastia dove è presente la dea.

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