Un rituale enigmatico

Dendera, tempio di Hathor: sotto il sole cocente che arroventa l’atmosfera e fa tremolare l’aria surriscaldata, lo sguardo fatica a mantenere l’attenzione sulle pareti esterne del tempio. Sui blocchi di pietra ben commessi e squadrati che le compongono si dipana una sequenza di figure incise con maestria: alcune ci propongono una serie di divinità davanti alle quali il sovrano sta effettuando offerte e libagioni, altre ci mostrano il faraone mentre accenna simbolicamente alle fasi della cerimonia della fondazione del tempio. Altri gruppi di figure ci parlano di rituali protettivi che prevedono l’annichilamento di demoni ed entità malvagie.

Tomba di di Kheti. Necropoli di Bani Hasan. Credits: Andrea Vitussi.

Eppure tra le raffigurazioni più note possiamo vedere qualcosa che non ci saremmo aspettati: il sovrano è in un atteggiamento quasi sportivo. In una mano tiene una palla e nell’altra una mazza: a un occhio profano potrebbe sembrare un atteggiamento da “baseball”.  Queste raffigurazioni sono presenti sia all’esterno sulla parete orientale e su quella occidentale, che in una delle cripte al primo livello. Approfondendo la ricerca emerge che di sicuro all’epoca dei faraoni la palla era conosciuta e il gioco della palla era praticato, anche se di solito vi sono più raffigurazioni femminili che maschili in merito. Le donne erano spesso rappresentate mentre si esibivano in lanci e prese complesse talora anche a cavalcioni l’una dell’altra, oppure mentre ostentavano la loro bravura nei giochi di abilità, come giocolieri.  In rari casi come nella tomba di Baqet III e di suo figlio Kheti a Bani Hassan si possono vedere degli uomini che maneggiano una palla, o usano dei bastoni appositi per giocare con una sfera di notevoli dimensioni.

Baqet III (tomba BH 15) Baqet fu governatore della provincia durante l’XI dinastia, e appassionato di sport. Credits: Andrea Vitussi.
Parziale dell’immagine precedente. Credits: Andrea Vitussi.

Nel caso che stiamo esaminando a Dendera però, in base all’importanza del personaggio e alle indicazioni che si possono trarre dai pochi geroglifici che descrivono la scena, siamo autorizzati a pensare che lo scopo fosse tutt’altro che ludico, ma che si trattasse invece di un rituale, un rito di protezione o di esecrazione. Conferme di quest’ultima ipotesi ci sono date da queste ed altre raffigurazioni, tutte di espressione più recente, risalenti al periodo tolemaico, dove la funzione apotropaica (facoltà di tenere lontano gli influssi maligni) è strettamente legata alla divinità del caos, il serpente Apophis (detto anche Apep, aApep, Apef, Apop).

È vero, tuttavia, che permangono ancora dubbi su alcuni aspetti e significati più antichi del rituale, come pure sugli aspetti più operativi della sua esecuzione, o sui materiali costituenti alcuni degli oggetti usati nella cerimonia. Di sicuro la forma della mazza, riferimenti geroglifici e altri indizi sono cambiati nel corso dei millenni e probabilmente anche l’aspetto teleologico della cerimonia, lo scopo per cui era svolta. Ora approfondiremo alcuni di questi argomenti per cercare di far luce su questo enigmatico e strano rituale.

Il Nemico Ancestrale

<<Ai confini della terra di Kemet, lontano, oltre i roventi deserti dell’est, oltre le impervie pendici del mitico monte Bakhu dove sorge il disco solare, nelle propaggini della zona crepuscolare della Duat più vicine all’orizzonte: qui e alle soglie della “Settima Ora” si annida l’antico Demone, il più pericoloso e potente.  Esso attende in silenzio, dal profondo dell’abisso del tempo, quando sorse dal Nun, tramando la distruzione della barca solare. Spinto dalla spietata brama di far prevalere il caos, esso si prepara ogni notte a tendere l’agguato, per attentare, assieme ai suoi accoliti, alla sicurezza del regno della luce. È il Serpente Apophis! Senza posa esso striscia sibilando e raschiando con le sue abominevoli scaglie le pareti inconoscibili delle Caverne oscure dell’Aldilà, vagando in preda ad una gelida furia, nell’attesa del momento della rivolta finale. Nella tenebra insondabile il suo immenso corpo di rettile primordiale si avvolge in infinite spire, il suo occhio freddo e spietato brucia dell’odio glaciale contro l’ordine cosmico: la Maat.  Nessuno è al sicuro dalla sua malvagità: né uomini, né sacerdoti, né faraoni e neppure gli dèi.  Neppure la dea Serqet, che ha potere su scorpioni e serpenti, neppure i protettori della barca solare, Shu e Maahes e gli altri membri dell’equipaggio: nessuno è tanto forte da poter annichilire definitivamente Apophis. Forse solo Set, che è in parte di connaturato con il caos, forse solo lui può combattere e distruggere il Nemico, salvare Ra e la potenza solare in pericolo, proteggendo così il cosmo intero.>>

Fotomontaggio per la narrazione di Apophi. Credits: Andrea Vitussi.

Questa descrizione, che è stata creata riunendo testi tradotti dal Libro dei Morti e commenti di vari autori, è quanto di più vicino si può immaginare al sentire egizio dell’antichità, almeno per quanto concerne questo Demone. Apophis emerge dal Nun negli abissi del tempo, sorge come massimo esponente dell’Isefet, il caos e disordine, opposto all’ordine cosmico della MAat. Il suo nome compare per la prima volta nei documenti scritti della terra di Kemet attorno all’VIII dinastia, Primo Periodo Intermedio [tombe di el-Mo’alla], ma è solo con il Nuovo Regno che si attestano documenti su miti e leggende relative a questo terrificante e antico Nemico. Un aspetto “democratico” del mito di questo Demone è che questa sua pericolosità è rivolta sia nei confronti del cosmo sia delle funzioni del faraone, ma essa riguarda anche l’ambito della vita degli esseri umani comuni. Troviamo infatti cenni alla sua esistenza anche nei testi funerari, dove diventa necessario ricorrere a una serie di formule e di provvedimenti protettivi per scongiurare gli effetti malefici legati a questa entità mostruosa.

Apophis: Serpenti e Vermi

Apophis è l’archetipo di tutte le creature striscianti e pericolose, non solo dei serpenti velenosi e aggressivi, ma anche dei vermi. Il verme, nella cultura egizia, ma anche nel nostro immaginario collettivo, si carica di significati negativi che vanno ben oltre la sensazione di schifo istintiva. Il verme è un distruttore di semi e radici delle piante, e quindi una minaccia per le colture. Il verme, come ospite indesiderato del corpo umano, può diventare molto pericoloso se infesta l’intestino, gli organi interni (tenia, ascaridi, ossiuri, filaria) e quindi sinonimo di malattia, d’infestazione. Il verme è il commensale ultimo che banchetta con i resti mortali dell’uomo: esso è il divoratore del sarx (σάρξ, la “carne” come la chiama San Paolo). Per questo motivo il verme anticamente è spesso stato considerato un nemico dell’uomo. In effetti, analizzando il vocabolario egizio, troviamo quasi una trentina di termini differenti, la maggior parte dei quali indica indifferentemente un verme o un serpente.

EA Wallis Budge: AN EGYPTIAN HIEROGLYPHIC DICTIONARY

Nella mentalità egizia, evidentemente, non era rilevante il sofisticato concetto di vertebrati/invertebrati, “struttura metamerica” o funzioni vitali centralizzate o meno. Per l’uomo di allora bruchi, millepiedi, larve, anellidi, nematelminti, serpenti, tutto ciò che strisciava sul ventre era considerato alla stessa stregua. Era più importante la forma, l’ambiente vitale e la nocività, per accorpare esseri diversi sotto uno stesso appellativo. Possiamo solo immaginare quale orrore e disgusto misto a repulsione poteva provocare negli egizi un essere capace di distruggere l’integrità del corpo fisico del vivente, ma ancor più del defunto. Nonostante i trattamenti complessi della mummificazione e la cura meticolosa per preservare le spoglie mortali per garantire la possibilità di una rigenerazione e di una vita ultraterrena, i vermi erano sempre là, potenzialmente in agguato per vanificare ogni sforzo e condannare il defunto alla “seconda morte” con la perdita del corpo fisico.

Ecco un brano del Libro dei morti, formula 156, che riesce a comunicare questa angoscia sull’essere divorati dai vermi dopo morti: “Che essi [vermi] non vengano a me nelle loro forme e che io non sia consegnato al distruttore nel [suo] rifugio, [colui] che distrugge le membra, l’essere occulto che smembra un gran numero di cadaveri, che vive della distruzione. Vive chi compie il suo [sic] ordine, ma io non sono stato consegnato nelle sue dita ed egli non ha prevalso su di me che sono sotto il tuo comando, Signore degli dei. Omaggio a te, padre Osiride: le tue membra dureranno con te, non vi é corruzione per te, non vermi per te, tu non sei ripugnante, tu non dai fetore, tu non imputridisci tu non diventerai vermi, io non perdo l’Occhio di Shu. Io esisto. (bis) Io vivo.”

Comunque, a quei tempi, il morso di un serpente, nell’arco dell’esistenza, era capace di stroncare la più vivace e robusta vita umana. Data quindi la frequenza della presenza di serpenti nella terra dei faraoni, esisteva tutta una serie di medici e di sacerdoti specifici (i “Kherep Serqet”, sacerdoti guaritori) capaci di curare gli effetti del veleno, sia con piante e derivati farmaceutici dell’epoca sia con formule magiche e protettive [che in antichità facevano parte dei rimedi per le malattie]. Trasponendo questa pericolosità in ambito divino, a tale riguardo si può osservare che esistono numerosi rituali e diverse tecniche per respingere questo Demone, ed essi sono descritti in diversi papiri (tra i quali il Bremner-Rhind del IV secolo a.C.). Nel presente articolo discuteremo di varie tecniche: sia le più comuni, riportate nei papiri, sia quelle più insolite rappresentate sui muri dei Templi come ad esempio il Seqer Hema, il rituale del “colpire la palla”, che è l’oggetto della presente trattazione.

Cinque passi di violenza per distruggere Apophis

I passaggi del “Libro di Apophis” (pap. Bremner-Rhind col. 23 e 26) che trattano della procedura magica atta a distruggere la minaccia del Demone si sviluppano in dettaglio definendo una lista di “tecniche” da utilizzare. Prima di tutto bisognava creare un simulacro che rappresentasse il Mostro da annichilire. Per questa scelta era spesso usata la cera, sia per la facile modellabilità, ma soprattutto per la vulnerabilità, la proprietà strutturale di essere facile oggetto di azioni di devastazione, e non ultima la caratteristica di non lasciare ceneri o tracce in seguito alla combustione nel fuoco. Caratteristiche queste che la rendevano idonea a rappresentare un nemico potente da annientare in modo tale che non ne restasse traccia.  Il colore obbligatorio per questa scultura doveva essere il rosso, utilizzato sempre per rappresentare entità malvagie e pericolose (spesso Set era definito come un essere dai capelli e la pelle rossa). Nell’ambito del rituale il potere dell’incantesimo orale era rinforzato della distruzione simbolica delle figurine di cera plasmate nella forma del nemico dell’ordine cosmico e politico.  Un’altra soluzione consisteva nel bruciare un papiro dopo aver disegnato sopra il nome e la figura del nemico.  Segue il testo rubricato tratto dal papiro Bremner Rhind:

“la formula deve essere recitata sopra un’immagine di Apophis disegnata sopra un nuovo foglio di papiro, in inchiostro verde, e sopra una figura di Apophis in cera rossa. Vedi il suo nome è iscritto su di esso in inchiostro verde…  Io ho rovesciato tutti i nemici del faraone dai loro seggi in qualunque luogo essi si trovino. Vedi: i loro nomi sono stati scritti sui loro petti essendo stati plasmati nella cera. Sono stati anche legati con legacci di corda nera.  Sputa su di essi! devono essere calpestati col piede sinistro, devono essere fatti perire con la lancia e col coltello! Devono essere messi nel fuoco delle fornaci di fusione del calderaio: è una fiamma in un fuoco di Bryonia.  Le loro ceneri sono poste in un vaso di urina che viene sprofondato completamente in un fuoco unico.”

In una serie di passi successivi, quindi, si tratta di “sputare (psg) sopra l’immagine di Apophi”, “pestarla (sin) sotto il piede sinistro”, “infilzarla (hw) con una lancia (mabA)/coltello(ds)”, “legarla (qAs) e arrotolarla in un papiro”, prima di “metterla nel fuoco (hh)”. Usualmente nella cultura egizia lo sputo ha una funzione curativa e una connotazione positiva: esso interviene anche nelle prime fasi della creazione del cosmo (lo sputo del dio Atum genera Shu e Tefnut,la prima coppia divina). Tuttavia nei miti e nelle leggende egizie esso ha anche una potenziale natura di arma di distruzione e di offesa. Quest’aspetto è ben evidenziato nei testi magici, esso infatti viene spesso citato come “azione sacra” (i dromena nella cultura greca) con valore apotropaico. L’emissione di saliva dalla bocca poteva essere considerato un atto ostile e minaccioso dal punto di vista magico.

Questo motivo esso poteva essere associato facilmente al veleno emesso da serpenti scorpioni insetti e altre creature. Così lo spunto appariva parimenti nelle formule e nella prassi di esecrazione, dirette contro figurine di cera che rappresentavano i demoni ei loro associati. Per quanto riguarda l’atto del calpestare il nemico, esso era un gesto standard frequente nei riti magici.  Essa deriva nell’immaginario comune Egizio dove i nemici tradizionali dell’Egitto venivano rappresentati sotto i piedi del faraone sul suo poggiapiedi o sotto le suole dei sandali, così che gli potesse sempre calpestarli. Infilzare l’immagine del nemico con una lancia o un coltello segue la tecnica dello sputo. Sulle pareti dei Templi tolemaici appare spesso questa scena in cui il re (ma alle volte è sostituito dal sacerdote) esegue questo rito infilzando i nemici, umani o divini, in presenza della divinità patrona del tempio. L’immolazione sacrificale delle figure di cera nel fuoco, in conclusione, rappresenta l’atto finale dell’azione apotropaica e simboleggia la distruzione totale del nemico, che deve essere ridotto “nella condizione di non essere mai esistito”.

Seqer Hema: il rituale

Raymond O. Faulkner: A CONCISE DICTIONARY of MIDDLE EGYPTIAN

Analizziamo ora la raffigurazione del rituale del Seqer Hema [letteralmente “colpire la palla”]. La sua versione più recente si trova sulle pareti dei templi tolemaici di Dendera, Edfu e Philae,

Dendera, muro esterno del tempio, rituale del Seqer-Hema. Credits: Andrea Vitussi.
Edfu muro esterno del tempio, rituale del Seqer-Hema. Credtis: Andrea Vitussi.

ma vi sono anche altre rappresentazioni sparse in diversi templi, come ad esempio nel chiosco di Taharqa a Karnak (XXV dinastia, che non è molto noto né praticato dai turisti).

Parker et al. 1979, pl. 25 – THE EDIFICE OF TAHARQA BY THE SACRED LAKE – Architrave del Chiosco di Taharqa a Karnak. Credits: R.A.Parker.

Un altro esempio è visibile nel tempio di Amon a Luxor, nella sala di Mut e della nascita, dove Amenhotep III sta per colpire una palla, mentre un altro è forse identificabile a Dashur su un frammento statuario del faraone Snefru. Uno dei più interessanti è quello di Deir el Bahari, dal tempio di Hatshepsut: quest’ultimo è il più antico riferimento al rituale ed infatti ha peculiarità sensibilmente diverse. Nelle versioni tolemaiche del rituale, a Dendera, si legge la formula: “colpire la palla per Hathor” e i geroglifici che descrivono la scena parlano di un attacco alle pupille di Nik (un epiteto del serpente Apopohis) per renderlo inoffensivo e annullare la sua minaccia. La forma sferica della palla richiama per similitudine la parte più importante e delicata dell’occhio: la pupilla. Ora, di solito nei rituali di esecrazione, come abbiamo già letto nei passi precedenti, le azioni più eclatanti nella distruzione delle entità malvagie sono correlate a mutilazioni e danni severi alla colonna vertebrale o al collo, per cui la decapitazione, l’infilzamento con lance, le ferite multiple su tutto il corpo sono la norma. Come mai in questo caso gli egizi hanno reputato di capitale importanza l’attacco all’occhio di Apophis? La risposta è contenuta in vari passi del Libro dei Morti egizio. Prima di tutto bisogna evidenziare come l’occhio sia considerato dappertutto un organo fondamentale anche dal punto di vista magico e rituale; quindi, essenziale a garantire non solo la funzionalità della vista e l’orientamento, ma anche le attività di illuminazione e attacco che gli dèi egizi espletavano attraverso questo organo così importante e delicato. Una gran parte dei temi mitologici attorno alla battaglia infinita di Horus contro Set, riferisce diverse occasioni nella quali gli occhi vengono strappati e il dio menomato si trova in difficoltà, come pure in altri racconti mitologici lo stesso Ra si trova a perdere un occhio che se ne va sotto forma di Dea Leonessa. Vediamo ad esempio, in alcuni passi del Libro dei Morti, come viene considerato l’Occhio. Formula 101: “O Ra, nel tuo nome di Ra, poiché tu traversi il sacro Occhio di sette cubiti, la cui pupilla è di tre cubiti…”. Formula CLXII: “O Ammon, Toro-Scarabeo! Signore dei due Occhi: “Terribile di Pupilla” è il tuo nome. L’Osiride N è l’emanazione dei tuoi Occhi”.

Ma forse la spiegazione più decisiva sulla scelta di distruggere simbolicamente la pupilla di Apophis viene da questo passo (formula 108), che è la descrizione dell’attacco notturno del Demone alla barca solare mentre attraversa il regno dell’Oltretomba: “Ora, alla fine del giorno, egli [Apophis] rivolge gli occhi [lett.: “abbassa, rovescia gli occhi” ] verso Ra e si verifica allora una sosta nel[l’avanzare del]la Barca…un sonno profondo [var. un’allucinazione] cala tra l’equipaggio: esso [Apophis] ingoia sette cubiti delle Grandi Acque.” (NdR: e con le acque anche la barca solare). Alla fine della formula, però, Set riesce a infilzare Apophis con la lancia e a incatenarlo, costringendolo a vomitare tutto ciò che aveva ingoiato. In altri racconti Set riesce a perforare lo stomaco e il ventre di Apophis facendo uscire al foro la barca con Ra e tutti gli occupanti.  Comunque, come si può ben notare, è essenziale per Apophis utilizzare gli occhi per ipnotizzare e far addormentare l’equipaggio della barca di Ra, e addirittura per provocare una fermata nel movimento del natante. (NdR: il potere ipnotico degli occhi e dei movimenti dei serpenti ci è noto anche dalla tradizione popolare e orientale). Quindi ora abbiamo molto chiaro che colpire e rendere inutilizzabili gli occhi del Demone equivaleva a impedirgli di fermare la barca solare per ingoiarla.

Il bastone e la sfera

I materiali costituivi di questi due manufatti necessari al rituale sono in parte noti. La mazza in particolare è citata nei testi accompagnatori che riferiscono chiaramente che è di legno. Il legno più specificatamente è quello dell’albero di moringa (Moringa arabica), detto in egizio “bAq“. La pianta in questione ha incredibili proprietà sia nutrizionali che medicinali ed è un vegetale altamente resistente alle condizioni estreme. Da studi recenti risulta che i suoi semi sono in grado di purificare l’acqua a tal punto da poter sostituire in modo naturale il cloro, e questa proprietà era già nota agli antichi egizi. Ma il particolare più sorprendente è che i suoi estratti hanno capacità curative su un disturbo visivo: la nictalopia (incapacità di vedere in scarsità di luce) e su disturbi della pressione sanguigna. Una coincidenza che sia usato proprio in un rituale che deve colpire gli occhi? La forma della mazza è variata nel corso dei millenni. Le prime rappresentazioni la raffiguravano come un bastone sottile e di forma serpeggiante (richiama molto la forma di un serpente). 

“THE TEMPLE OF DEIR EL BAHARI” disegno rielaborato graficamente: Tuthmosi III mentre esegue il rituale dello Seqer-Hema. Credits: E. Naville. Rielaborazione grafica di Andrea Vitussi.

Una simile forma si riscontra nel bastone che teneva il faraone nel rituale del “Portare fuori i quattro vitelli” (Hwt bHsw), dove il bastone aveva un chiaro riferimento ai serpenti da scacciare dal terreno delle culture.

Karnak, rilievo con Ramesse II mentre esegue il rituale del “condurre i 4 vitelli”. Credits: Andrea Vitussi.

Questa forma è legata a tempi molto antichi. A mano a mano che ci si avvicina al periodo tolemaico il bastone assume di più la forma di una mazza da baseball (quella dei nostri tempi) oppure di uno scettro (a Dendera una delle tre raffigurazioni presenta una mazza come uno scettro sekhem). Per quanto riguarda le sfere/palle invece non abbiamo riferimenti documentali relativi a materiali specifici, ma sono state fatte numerose ipotesi da diversi egittologi.  Un’analisi attenta in merito alle “palle” è stata effettuata da G.Goyon che rilevava la citazione e descrizione di tali sfere e del relativo rituale in ben 3 papiri ed in 2 evidenze monumentali. In base ai dettagli di questi documenti Goyon ha dedotto che il rito consisteva nel gettare 4 sfere d’argilla in direzione dei quattro punti cardinali, con funzione protettiva verso Osiride contro rettili e serpenti. Sulle sfere erano iscritti i nomi delle principali divinità protettrici come: Wadjet, Bastet, Sekhmet, Seshemtet, Serqet e altre.

Textes mythologiques II. « Les révélations du mystère des Quatre Boules ». (BIFAO en ligne – 75-19). Credits: Jean-Claude Goyon.

Di questo tipo di sfere ha dato anche testimonianza Christiane Ziegler con un suo lavoro in cui puntualizza forma e dimensioni delle sfere. Nell’articolo Ziegler presenta le foto dei reperti trovati all’interno di tombe del periodo greco-romane nel sito di Tehneh e conservati al museo del Cairo.

“À propos du rite des quatre Boules” (BIFAO en ligne – 79-25) – foto delle Sfere di Tehneh. Credits: Christiane Ziegler.

Ecco un esempio di testo dal papiro di Brooklyn:

Salute a voi, o Sfere! Venute all’esistenza da Ra, generate da Geb, generate da Osiride, Voi che siete solide sulla Terra, Voi che siete viventi nel Nun, aiutate il combattimento nel vostro interesse, aiutate gli dèi contro i rapitori che agiscono di notte, aiutate i signori del Giorno che vegliano e non dormono mai! Siate forti come Montu è forte, siate aggressive come Serqet è aggressiva, e afferrate Seth, il nemico di Osiride! Andiamo! Vegliate sul vostro Signore, Osiride Unnefer il Trionfante re degli Dei, assicurate la sua protezione per sempre, come quella di Ra, lanciate il vostro soffio rovente e ardente contro Seth il Miserabile e i suoi complici, allontanatelo da tutti i luoghi in cui è Osiride, perché egli vi fa vivere!

Il rituale in questi casi conteneva anche una formula di esorcismo contro Set:

Vade retro, Seth! Arrogante! Rosso di Capelli, Scarlatto di Pelle! Il tuo Ba non sorgerà più, il tuo cadavere non avrà più un fremito! Il tuo volto è cieco, Seth! Tu non puoi avvicinarti ad alcun luogo in cui sia Osiride KhentiAmenti, Osiride Unnefer il Trionfante, ne ad alcun luogo in cui vi sia questo Osiride N. né di questi N.N

L’evoluzione del Seqer Hema

“THE TEMPLE OF DEIR EL BAHARI” disegno rielaborato graficamente: Tuthmosi III mentre esegue il rituale dello Seqer-Hema: Credits: E. Naville. Rielaborazione grafica di Andrea Vitussi.

Negli esempi più antichi, come quello di Deir el Bahari, il faraone era accompagnato da due sacerdoti che gli porgevano le sfere da lanciare (ma il testo non permette di capire se fossero state raccolte dopo il lancio precedente o meno). Questo ha indotto qualche studioso (J.F. Borghouts) a pensare a delle sfere di legno o di altro materiale tale che potessero esser lanciate con la mazza e poi recuperate. In realtà probabilmente l’evoluzione del rituale nei millenni ha comportato una specializzazione della sua funzione, che inizialmente era protettiva genericamente verso Osiride e contro i rettili. L’obiettivo in epoca tarda è stato indirizzato al massimo esponente del caos: Apophis, mentre il beneficiario diventa Ra che transita con la barca solare nell’Oltretomba, ma il beneficio a questo punto va a tutto il cosmo che viene salvato dalla Disordine e dal Caos. Nelle versioni tarde l’uso del verbo seker (sqr) che ha una valenza di colpire con violenza, distruggere, e la finalizzazione esplicita al ferimento della pupilla di Apophis, non lascia dubbi che il rituale raffigurato sulle pareti di Dendera abbia carattere di esecrazione. La pupilla del Demone, rappresentata in argilla (così come la sua effigie in cera rossa dei rituali di esecrazione) potevano facilmente essere distrutte e annientate, spazzando via dall’orizzonte del cosmo le minacce più pressanti.

Il terrore del sole nero

Fin dai tempi più remoti l’uomo ha avuto bisogno di proteggersi dagli eventi apocalittici, sia con preghiere, offerte e libagioni che con rituali specifici. Un’eredità delle credenze animistiche più antiche raccontava che alle volte il Sole poteva anche non sorgere, al contrario di quanto accade ogni giorno. Le eclissi erano un momento critico in cui l’astro eliaco non era splendente e radioso come sempre: in quei momenti panico e angoscia dilagavano: “il silenzio e la tristezza erano nei cieli e nel palazzo reale“.

Fotomontaggio per la narrazione dell’eclisse solare. Credits: Andrea Vitussi.

Nell’immaginario mitologico egizio un mostro stava in agguato per attaccare e ingoiare il sole. La sua arma principale era lo sguardo, un occhio malevolo e terrificante, capace di ammaliare e mesmerizzare tutte le divinità del cosmo. In questo rituale apotropaico, uno dei tanti, ricco di sfaccettature e antico di millenni, l’Egitto trovava sicurezza e sollievo, e offriva questa cerimonia alle divinità maggiori dei templi, nella convinzione che la magia del logos e la convibrazione della “similitudine” avessero potere al di là di ogni immaginazione.

Per approfondimenti sul web:

Articolo di G.Goyon   https://www.ifao.egnet.net/bifao/75/19/

Articolo di C.Ziegler  https://www.ifao.egnet.net/bifao/79/25/

La Moringa arabica   http://www.focus.it/scienza/salute/i-semi-che-depurano-lacqua

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Andrea Vitussi

Nato a Trieste nel 1956, dopo gli studi scientifici al Liceo e la laurea in Scienze Biologiche, si è inserito nel mondo del lavoro cambiando spesso settore (industria alimentare, Sanità, Laboratori di analisi biomediche) per approdare alla fine al settore informatico. Dopo un corso intensivo presso il Centro Informatico di Trieste, si è ritrovato a lavorare in campo assicurativo nel dipartimento informatico. I suoi interessi sono molteplici: la cultura egizia e l’archeologia, le arti marziali, la fotografia, il disegno, l’arte plastica, la musica. La sua passione per l’Egitto è nata verso i primi anni ’80 e si è trasformata in una dedizione costante ai temi storici e culturali della civiltà egizia di tutti i periodi. In particolare la passione per i geroglifici si è consolidata mediante un corso triennale con il prof. M. Chioffi che gli ha reso possibile la lettura dei testi del Medio Egizio. Dal lontano 1982 i viaggi nella terra dei faraoni, sono divenuti una costante annuale, consentendogli una conoscenza varia ed estesa dei siti archeologici conosciuti e di quelli meno frequentati.  In seguito all’interesse per argomenti specifici, anche l’epoca tolemaica è entrata nel novero dei soggetti di studio. Nel 2007 diventa uno dei soci fondatori dell’Associazione Egittologia.net, del cui sito ha curato la sezione fotografica. Dal 2008 fino ad oggi tiene ogni anno conferenze e monografie su temi esclusivamente egizi nelle sedi di associazioni triestine e friulane a Trieste e Udine. E’ costantemente in  stretto contatto con il Museo dell’Orto Lapidario – Sezione Egizia di Trieste. Produce come co-autore nel 2008 del libro “Tutankhamon, immagini e testi dall’ultima dimora” in collaborazione con alcuni dei soci fondatori del sito Egittologia.net.

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