Nella caverna di Bruniquel ritrovate costruzioni dei Neandertal

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Quando nel 1992 un gruppo di speleologi riuscì a liberare l’ingresso di una caverna non si sarebbe mai immaginato di riscrivere la storia. A 366 m dall’entrata spuntano dal pavimento, disposte ad anello, diverse strutture in stalagmite. Grazie alla datazione U-Th questi grandi pezzi di pietra vengono datati a 176.000 anni fa, periodo storico in cui in Europa vivevano i nostri lontani cugini, i Neanderthal. Fino al momento della riscoperta della grotta di Bruniquel gli studiosi non pensavano che questa specie umana potesse costruire a profondità così elevate. La domanda fondamentale che tutti gli esperti in materia si pongono è: “Qual era il reale utilizzo di questo sito?” Il quesito sorge proprio dalla particolare disposizione delle stalagmiti che formano, nel mezzo dell’umido ambiente sotterraneo ,due cerchi concentrici. Questa caverna ricca di segreti si trova nel sud-ovest della Francia, in un’area famosa per i suoi siti Paleolitici. Per arrivare all’ambiente principale è necessario percorrere un angusto corridoio lungo 30 m dove sono stati ritrovati resti di fauna risalenti al Pleistocene e di microfauna olocenica.

Numerosi artigli e impronte di zampe sono riconducibili all’Orso delle caverne, una specie europea estintasi circa 24 mila anni fa. Gli studiosi hanno concentrato le loro energie al fine di datare le due strutture anulari e altre quattro più piccole. I cerchi hanno dimensioni di 6.7 × 4.5 m (il più grande) e 2.2 × 2.1 m (il più piccolo). Il diametro delle pile di stalagmiti varia da 0.55 m a 2.60 m; due di esse sono collocate al centro dell’anello più grande, mentre le rimanenti si trovano all’esterno di esso. Altri grandi pezzi sono stati aggiunti verticalmente per rinforzare la costruzione. In totale, più di 400 frammenti di stalagmite sono stati tagliati e ammucchiati per creare delle colonne alte 112.4 m, con un peso complessivo di 2.2 tonnellate di calcite. Tutto ciò fa pensare che le costruzioni siano state volutamente erette dagli ominidi e risulta improbabile l’ipotesi dello studioso John Shea della Stony Brook University , il quale suggerisce che gli orsi avessero spostato i pezzi  al fine di preparare un comodo giaciglio per l’inverno. Marie Soressi, antropologa dell’Università di Leida e Jacques Jaubert (coautore degli studi di Bruniquel pubblicati su Nature) fanno giustamente notare che gli orsi non accumulano pezzi di stalagmite e non accendono fuochi sopra di essi. Il paleoantropologo Chris Stringer, del Natural History Museum di Londra, è della stessa idea: “La scoperta fornisce una chiara evidenza del fatto che i Neanderthal avevano capacità di pianificazione e di costruzione pienamente umane, e che alcuni di essi erano in grado di inoltrarsi molto in profondità nelle grotte, dove la luce artificiale era assolutamente necessaria”. Bruniquel ci regala nuove prospettive sui Neanderthal che appaiono molto più “umani” e simili a noi. Tracce di fuoco sono presenti sulle sei strutture, alcune di colore rosso, altre più nere: tutte sottoposte chiaramente a riscaldamento. Ulteriori residui di una simile colorazione non sono stati riscontrati sul soffitto da cui l’acqua percola: questa ipotesi è stata in seguito confermata da misurazioni magnetiche. Vicino alle strutture sono stati rinvenuti materiale organico carbonizzato e una dozzina di frammenti di colore nero. Tra questi, un pezzo carbonizzato è particolarmente significativo: si tratta di un osso, lungo 6.7 cm, forse appartenuto  a un orso o a un grande erbivoro. Certa è la sua datazione, ottenuta grazie a uno strato di calcite depositatosi sopra di esso. Purtroppo, a causa della morte prematura di uno degli studiosi, i lavori di ricerca sono ripartiti dal 2013, quando l’equipe di Jaubert dell’Università di Bordeaux è riuscita a datare la polvere di calcite. Essa si è saldata tra i pezzi delle stalagmiti all’incirca 100 mila anni prima della comparsa dei nostri diretti antenati: l’Homo sapiens. Queste spettacolari testimonianze possono essere attribuite solamente ai Neanderthal, unica specie che popolava, al tempo, il nostro continente. Tutti gli esperti in materia concordano nel dire che, per poter costruire testimonianze del genere a tale profondità, gli ominidi dovevano poter contare su una continua fonte d’illuminazione, un’organizzazione sociale e la capacità di ideare un progetto e di realizzarlo. “Un’impresa che richiese la mobilitazione di diverse persone per scegliere, dare ordini, consigliare e costruire. Tutto questo indica la presenza di una società strutturata”, spiega Jaubert. A noi non resta che rimanere sbalorditi ma soprattutto emozionati da questa incredibile scoperta.

 

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