Foto di copertina: Parco di Paestum (Studio Fotografico Pone)

Ad un mese dall’apertura della collezione Magna Grecia del MANN, una riflessione ad ampio raggio con Flavia Frisone, Professore di Storia greca dell’Università del Salento, studiosa della colonizzazione greca in Occidente i cui lavori sono punti di riferimento a livello internazionale. La sua analisi ci aiuta a comprendere quanto una prospettiva storica bilanciata sia importante per decifrare le molteplici e complesse sfaccettature di una pagina così articolata e significativa del passato che può ancora costituire una ricchezza per il nostro Sud.  

 

 

Convegno Internazionale di Studi sulla Magna Grecia – Flavia Frisone “Il porto di Taranto struttura produttiva e snodi dei traffici” (2018) Videorelazione -> https://www.youtube.com/watch?v=cg3jjfeGPtA

 

1) Cominciamo col fare un po’ di chiarezza sulla definizione: cosa vuol dire Magna Grecia?

Beh, potremmo dire che la Magna Grecia è un mito e, come tutti i miti, ha un nucleo essenziale, storico e fondato, e un’espansione narrativa che integra e coinvolge nuovi soggetti in quel processo di rappresentazione collettiva, dicendone al tempo stesso l’importanza. In questo caso il cuore storico è una definizione territoriale antica, che possiamo far risalire almeno all’età classica, se non al VI secolo a.C., come vogliono alcuni studiosi. Fu coniata dai Greci stessi che vivevano in alcune regioni dell’Italia meridionale: la “cosiddetta Megale Hellas” cominciava a Terina, una polis sulla costa tirrenica della Calabria, e arrivava fino a Taranto, che per un certo periodo ne fu il centro più importante. Ma prima ancora che per indicare una regione, questa espressione – che letteralmente significa in greco “grande Ellade” e fu poi tradotta in latino – fu coniata per dire la consapevolezza di sé, della straordinaria crescita in termini di ricchezza e di cultura, che le città greche di questi territori (in particolare Sibari, Crotone e Metaponto) avevano sperimentato. Si sintetizza in essa la stagione d’oro di alcune comunità politiche di stampo aristocratico influenzate dalla filosofia pitagorica: esperienze che avrebbero costituito un punto di riferimento importante per tutto il caleidoscopico mondo dei Greci.

 

Tabula Peutingeriana (manoscritto del XIII sec. da una carta tardo-romana forse del IV sec., particolare: l’Italia Meridionale e la Sicilia) Museo Archeologico di Napoli

 

2) Però l’idea che si ha oggi di Magna Grecia è un po’ diversa da questa…

Sì, successivamente il concetto geografico si espande, soprattutto in tempi moderni. Arriva a includere tutte le regioni del Sud Italia in cui la presenza di illustri rovine e testimonianze dell’antico sembravano raccontare la storia di una “Grecia in Italia”, una grecità periferica rispetto a quella che la cultura europea conosceva grazie grandi autori della letteratura ellenica ma vera e accessibile, al contrario dell’altra, a lungo sotto il dominio ottomano. Attraverso il fascino di quelle scoperte di opere e siti archeologici dell’Italia meridionale l’Europa del Settecento tornò al sentire il fascino della Grecia antica “passando per la Magna Grecia”.

Le relazioni di viaggio, memoires più o meno fantasiosi di quello che a poco a poco divenne sorta di rito d’iniziazione dei giovani intellettuali europei, gli schizzi e i disegni ad opera di viaggiatori e studiosi, crearono il mito moderno della Grand Gréce: uno scenario idilliaco di natura e memoria in cui la condizione di degrado presente non faceva che sottolineare la nostalgia di un passato glorioso e affascinante. Quel mito si nutriva anche di oggetti e dei preziosi manufatti artistici che dal Settecento cominciarono ad essere ricercati e scavati, e con i quali si crearono alcune fra le più famose collezioni museali d’Europa, prima fra tutte quella dei sovrani borbonici, numi tutelari di queste prime ricerche, la stessa che ora in gran parte arricchisce il Museo di Napoli.

A sua volta il mito dei Greci d’Italia nei tempi anteriori alla conquista romana alimentava utopie politiche e sogni intellettuali che si appoggiavano a una rivisitazione dei valori dell’antichità (o ritenuti tali), come le tumultuose e intense esperienze della vita intellettuale e politica napoletana del Settecento, che proiettarono sulla storia, attraverso l’idea che fosse esistita una “sintesi magnogreca” dello spirito ellenico, la propria consapevolezza e il proprio dinamismo culturale.

Insomma, attraverso questo percorso complesso, la storia più antica d’Italia ha finito con l’identificarsi essenzialmente con la storia della Magna Grecia e della Sicilia – mettendo insieme, fra l’altro, due contesti storici fra loro molto diversi –nell’idea di una grecità “coloniale” che aveva dato slancio e indirizzo anche alle società italiche. Per questo oggi “Magna Grecia” è diventata una definizione che abbraccia più o meno tutto il Sud d’Italia.

 

Cratere a volute del Pittore delle Carnèe (fine V sec. a. C.), particolare (Dionisio circondato dalle menadi danzanti), Museo Archeologico di Taranto

 

3) Insomma, le regioni toccate dai Greci con le loro colonie?

Non esattamente, perché di “colonie” greche ce ne sono anche altrove e ben più a Nord. Ma soprattutto, a questo proposito, non bisogna lasciarsi ingannare da espressioni come “colonia” e “mondo coloniale” che per noi hanno un valore molto condizionante. Quelle greche erano sì “colonie” ma come quelle che formano le api quando sciamano! Erano nuove comunità autonome che davano inizio, in nuovi scenari e in nuove condizioni, a un percorso che avena in comune con quelle d’origine solo le tradizioni culturali o religiose e la struttura sociale. Non erano “marginali” rispetto alla Grecia perché la Grecia stessa non aveva un’unità, e neppure una definizione territoriale e politica, e quindi c’era “Ellade” (Hellas) era dove c’erano comunità greche di lingua, tradizioni e organizzazione politica. È questo che dà un senso all’espressione “Megale Hellas”, Grande Hellas, non l’idea di una “periferia coloniale” che pretende di essere “grande” rispetto alla madrepatria.

 

C.d. “Coppa di Nestore”, con una delle più antiche iscrizioni metriche greche (ultimo quarto VIII sec. a. C.), Museo Archeologico di Pithecusae (Ischia)

 

4) E quindi quella in Italia non sarebbe una grecità periferica?

Esatto! Il concetto stesso di “periferie” è complicato da applicare al mondo greco, perché – almeno fino alla piena età classica – si tratta di un mondo policentrico e, come ho già detto, “caleidoscopico”. Un mondo, cioè, che non ha “capitali” ma in cui si sperimentano dappertutto esperienze e modelli culturali, sociali e politici, che hanno possibilità di affermarsi e sollecitare ulteriori sviluppi anche altrove, oppure che finiscono con l’esaurirsi. Da questo punto di vista, le comunità greche fondate in Italia meridionale anzi, avevano un vantaggio: erano “geneticamente” iperconnesse, come diremmo oggi. Bisogna pensare infatti che la loro ragion d’essere era collegata, direttamente o indirettamente, a quel circuito di traffici e di mobilità marittima che teneva insieme il Mediterraneo e ne allargò gli orizzonti già agli inizi del primo millennio avanti Cristo. Esse stesse, poi, erano profondamente inserite in contesti di contatto: sia all’origine, con la loro specifica città-madre (metropolis) e con altre comunità greche, sia nei territori in cui sorsero, con gruppi di culture differenti. Insomma, quelle “coloniali” furono generalmente più dinamiche e sensibili ai fattori di crescita di quanto non fossero molte delle comunità della Penisola ellenica, ivi compresa, forse, la stessa Atene dei tempi più antichi. Le poleis della Magna Grecia furono perciò dei veri laboratori creativi nei quali, per secoli, si affinarono istituzioni e forme culturali che noi consideriamo oggi la quintessenza della grecità, dall’organizzazione urbanistica e politica della città-stato, alla grande architettura monumentale, al linguaggio delle arti figurative e applicate.

 

Testa maschile in bronzo (c.d. Testa di Porticello, metà V sec. a. C.), Museo Archeologico di Reggio Calabria

 

5) Vuol dire che fu la Grecia a imparare dalla Magna Grecia?

In un certo senso… È una questione di prospettive: se si limita l’essenza della grecità al “modello di perfezione” dell’Atene classica, è chiaro che qui siamo in un “altrove”, seppure non così lontano. Ma se si coglie il potenziale di una storia vista come dinamica e creazione, qui siamo certamente in uno dei centri pulsanti del mondo greco e del Mediterraneo antico. È questa la lezione che per anni ha cercato di portare avanti il gruppo di studiosi, soprattutto italiani e francesi, che dall’inizio degli anni Sessanta del secolo scorso ha animato l’esperienza degli annuali Convegni Internazionali di Studi sulla Magna Grecia, a Taranto. L’obiettivo era dimostrare che quella della Magna Grecia era stata un’esperienza viva e vitale nel contesto della cultura ellenica, non secondaria e marginale rispetto a quella della Grecia vera e propria. E cercarono di farlo attraverso una sinergia virtuosa fra le fonti storiche tradizionali (ben poche!) e lo straordinario patrimonio archeologico che le ricerche e gli scavi in Italia meridionale andavano sempre più arricchendo.

 

Tavole di Eraclea, iscrizione su bronzo (fine IV-inizi III sec. a C.), Museo Archeologico di Napoli

 

6)  Obiettivo centrato?

In parte sì, certamente, ma è anche vero che gli scenari si sono radicalmente trasformati. I metodi dell’indagine sono molto cambiati negli ultimi cinquant’anni e, parallelamente, sono differenti i problemi e le domande che si pongono alla documentazione. Diciamo che se il grande pubblico sente ancora molto il fascino dei Greci e della civiltà “classica”, sebbene spesso in forma un po’ naïve, gli studi specialistici, in particolare quelli archeologici, hanno adottato prospettive radicalmente diverse e si è arrivati addirittura a contestare il significato storico della “colonizzazione” greca in Italia. Certo, su questi temi ci sono stati momenti di grande attenzione, come quello della grande mostra su “I Greci in Occidente” di Palazzo Grassi a Venezia, nel 1996. E qui, in un allestimento splendido nel quale erano raccolte le testimonianze più importanti di un percorso storico di oltre sei secoli, i documenti storici e archeologici della Magna Grecia facevano la parte del leone e spiccavano per la loro bellezza.

 

Preziose oreficerie magnogreche: orecchino “a navicella”, Museo Archeologico di Taranto

 

7) Sembra di capire che le cose oggi vadano diversamente…

È un po’ complicato da spiegare in poche parole. Diciamo che la logica dominante di esposizioni come quella di Palazzo Grassi, punto d’arrivo di un lungo percorso di rivalutazione della grecità coloniale, era ancora di tipo tradizionale, classicista. Per questo, ad esempio, è stata anche duramente criticata negli anni in cui gli indirizzi e il linguaggio dell’indagine archeologica si trasformavano profondamente, rivolgendo maggiore spazio ai contesti culturali ed etnici locali. Certo, sarebbe stato davvero difficile pensare, allora, che nel giro di pochi anni l’interesse di ricerca per l’esperienza storica della Magna Grecia si sarebbe attenuato tanto da somigliare, oggi, a un minaccioso silenzio. La disattenzione generalizzata per la storia dei Greci in Italia sembra purtroppo accompagnare il recente minaccioso processo di marginalizzazione culturale del Sud.

 

Hydria (detta Vivenzio) del Pittore di Kleophrades (ca. 490 a. C.), particolare (Iliupersis – uccisione di Priamo), Museo Archeologico di Napoli

 

8) Il Sud, dalla centralità culturale al tempo dei Greci alla perifericità odierna?

La mia impressione è che, in questa fase il nostro Paese, e nel generale svilimento del ruolo della storia, il disinteresse per il mondo antico, in particolare la storia dei Greci in Italia, possa essere una buona metafora della perdita di consapevolezza di sé e di un ruolo culturalmente attivo dell’Italia meridionale. Badi bene, non sto parlando solo di quella marginalità che accompagna l’impoverimento o di quella che in anni recenti, è stata costruita a tavolino con politiche violentemente penalizzanti come quelle che hanno duramente colpito la formazione universitaria in Italia meridionale, creando la penosa diaspora di giovani forze che tutti conosciamo. Per spiegarmi provo ad andare indietro fino agli anni ‘80, all’ironia graffiante di un famoso capitano d’azienda che una volta definì “tipico intellettuale della Magna Greciaun potente politico campano, noto per i sottili sofismi non meno che per l’accento non “risciacquato in Arno”. Bella battuta ma il retrogusto era amaro: la stoccata era anche alla tradizione umanistica meridionale, liquidata come una decrepita erudizione provinciale. Beh, io credo che noi oggi siamo andati oltre su quella strada: e si tratta di un errore autolesionistico! Maltrattiamo come un armamentario dismesso quel legame profondo con le nostre radici storiche, che ha sostenuto tante generazioni se non altro nella forma di identità culturale collettiva. Invece, ad esempio, la ricerca di consapevolezza di un Sud che lotta contro la marginalizzazione e l’abbandono potrebbe trovare sostegno e indirizzo nella conoscenza non superficiale del proprio passato, in particolare di quello che può ancora comunicare attraverso le testimonianze materiali che ce ne restano.

 

Giornata di Studi Museo MArTA – Flavia Frisone “La stagione di Taranto “felicissima” (2019), Videorelazione -> https://www.youtube.com/watch?v=5R6dgJiaXTY

 

9) In che maniera la storia della Magna Grecia può svolgere questa funzione?

In questo, forse, più che le Università meridionali, dove persino l’insegnamento della storia greca va scomparendo, sono i grandi musei e i parchi archeologici a poter giocare un ruolo fondamentale, anche per la loro vocazione comunicativa.

Realtà come quelle di Napoli, di Taranto, di Reggio Calabria e Paestum, che custodiscono il fior fiore delle testimonianze della cultura magnogreca, possono trovare una nuova dimensione che non si limiti solo alla valorizzazione espositiva del proprio patrimonio. Penso alla creazione di un diverso circuito di comunicazione di queste istituzioni con i loro pubblici, e in particolare con i loro territori, in funzione di quella che definirei una funzione civile, un percorso educativo, vorrei anzi dire, perché la storia e la cultura della Magna Grecia hanno ancora tanto da dirci. E credo che oggi, che i grandi musei della Magna Grecia si muovono in autonomia con iniziative creative di crescita e valorizzazione, questo sia davvero possibile.

È, ad esempio, la via tracciata dal MANN di Napoli, che dal 11 luglio ha riallestito la propria collezione permanente dedicata alla Magna Grecia, dando luce non solo ai preziosi reperti che ne fanno parte ma alle storie che li accompagnano: le storie sfaccettate di società antiche e quelle degli intellettuali e ricercatori moderni che hanno contribuito a scriverle. Le storie di comunità che si sono lette, costruite, rappresentate in rapporto ad altre, nel mutare del tempo.

È di quelle storie che abbiamo bisogno nei nostri musei, non solo, non più oggetti – alcuni splendidi, certo – da ammirare. Dobbiamo trovare il modo e l’opportunità di riannodare i fili tranciati dal tempo e far riemergere la lezione preziosa delle antiche società magnogreche. Non per vanagloria passatista ma perché è la lezione di un passato in cui le comunità degli uomini hanno saputo creare legami profondi con i loro territori, hanno avuto la capacità di imparare dall’altro e plasmato la propria identità nel contatto, hanno potuto e voluto essere crogiuolo e centro propulsore di sperimentazioni.

La ricchezza che ci viene da quell’antico che vive in mezzo a noi è anche nello slancio creativo che può darci l’ascolto della sua storia fatta di incastri, di trasformazioni, di sfide raccolte o lasciate cadere: una contraddizione rispetto al nostro presente e uno stimolo per il nostro futuro.

Flavia Frisone, Professore di Storia greca (Università del Salento) e di “Esegesi delle Fonti storiche ed epigrafiche” presso “La Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici “Dinu Adamesteanu” dell’Università del Salento – Presidente Corso di Laurea in Beni Culturali.
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Paolo Bondielli

Storico, studioso della Civiltà Egizia e del Vicino Oriente Antico da molti anni. Durante le sue ricerche ha realizzato una notevole biblioteca personale, che ha messo a disposizione di appassionati, studiosi e studenti. E’ autore e coautore di saggi storici e per Ananke ha pubblicato “Tutankhamon. Immagini e Testi dall’Ultima Dimora”; “La Stele di Rosetta e il Decreto di Menfi”; “Ramesse II e gli Hittiti. La Battaglia di Qadesh, il Trattato di pace e i matrimoni interdinastici”.

E’ socio fondatore e membro del Consiglio di Amministrazione dell’Associazione Egittologia.net. Ha ideato e dirige in qualità di Direttore Editoriale, il magazine online “MA – MediterraneoAntico”, che raccoglie articoli sull’antico Egitto e sull’archeologia del Mediterraneo. Ha ideato e dirige un progetto che prevede la pubblicazione integrale di alcuni templi dell’antico Egitto. Attualmente, dopo aver effettuato rilevazioni in loco, sta lavorando a una pubblicazione relativa Tempio di Dendera.

E’ membro effettivo del “Min Project”, lo scavo della Missione Archeologica Canario-Toscana presso la Valle dei Nobili a Sheik abd el-Gurna, West Bank, Luxor. Compie regolarmente viaggi in Egitto, sia per svolgere ricerche personali, sia per accompagnare gruppi di persone interessate a tour archeologici, che prevedono la visita di siti di grande interesse storico, ma generalmente trascurati dai grandi tour operator. Svolge regolarmente attività di divulgazione presso circoli culturali e scuole di ogni ordine e grado, proponendo conferenze arricchite da un corposo materiale fotografico, frutto di un’intensa attività di fotografo che si è svolta in Egitto e presso i maggiori musei d’Europa.

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