Immagine di copertina: Cicerone denuncia Catilina. Cesare Maccari, circa 1880. Dimensioni: 400 cm x 900 cm, Palazzo Madama, Senato della Repubblica Italiana, Roma. 

 

Uno degli aspetti relativi alla congiura di Catilina che non pochi studiosi hanno scandagliato è l’importanza che Sallustio nella sua monografia “De Catilinae coniuratione” conferisce a due donne: della prima, Sempronia, abbiamo già riferito in un precedente articolo (vedi al seguente link: Donne congiurate: il caso di Sempronia”), della seconda approfondiremo i tratti e il ruolo in questa sede, inserendola all’interno di un sistema che nella Roma nella tarda Repubblica stava prendendo sempre più piede in politica: lo spionaggio.

Quando Cicerone entrò in carica come console il 1°gennaio del 63 a.C. assieme al collega Caio Antonio Ibrida, aveva già due spie al suo servizio: la nobilis mulier Fulvia e il senatore Quinto Curio. Ce lo riferisce lo stesso Sallustio quando afferma (De Cat. con., 26):

Impegnato in questi preparativi, Catilina chiedeva tuttavia il consolato per l’anno successivo, sperando, se fosse stato eletto, di manovrare Antonio a suo piacimento. E intanto non stava quieto, ma in tutti i modi tendeva insidie a Cicerone. A questi non mancavano tuttavia astuzia e scaltrezza per guardarsi. Infatti, fin dall’inizio del consolato, con molte promesse per mezzo di Fulvia aveva ottenuto che Q. Curio, di cui poc’anzi ho parlato, gli rivelasse i piani di Catilina. Per di più, pattuito uno scambio di provincia con il suo collega Antonio, l’aveva indotto a non schierarsi contro la repubblica, s’era circondato d’una guardia segreta di amici e di clienti.

Il passo sallustiano è ricchissimo di informazioni palesi ma anche sottotestuali.

La prima per importanza è che, fin dall’inizio del suo consolato, Cicerone si era dotato di due spie (Curio e Fulvia); la seconda è che si era circondato di un manipolo molto numeroso di guardie del corpo, che ne proteggevano i movimenti. Per difendersi da quali pericoli?

Marco Tullio Cicerone

La terza è che Catilina, da quel che sostiene Sallustio, aveva un potenziale alleato per i suoi piani eversivi proprio in quell’Antonio Ibrida che sarebbe stato eletto nel 63 come collega di Cicerone, e la quarta che il vero tramite spionistico era Fulvia, la nobilis mulier a cui lo storico di Amiterno dedica un intero e significativo capitolo della sua monografia. E infatti utilizza l’espressione “per Fulviam”.

Ma facciamo un passo indietro: Catilina, sempre secondo Sallustio, prima delle elezioni consolari del 64, aveva già ipotizzato cosa fare in caso di sconfitta e cioè deviare dalle vie legali: se le elezioni non lo avessero “incoronato” alla carica di console, un esercito dislocato tra Mauritania e Spagna era già pronto per intervenire. Non solo: Catilina, per sostenere un progetto di per sé fortemente dispendioso come questo, aveva contratto numerosissimi debiti che avrebbe dovuto in qualche modo saldare. Quello che si trasformò in una disfatta e nella morte del “rivoluzionario” (ma sillano di origine), era stato il terzo tentativo di farsi eleggere console: il primo era stato nell’anno 66, quando i due consoli populares eletti dovettero dimettersi perché accusati di brogli elettorali. In quel primo tentativo le velleità di Catilina trovarono un ostacolo in Publio Clodio, che gli intentò contro un processo per concussione per il suo operato di governatore della provincia d’Africa (67).

Il giuramento di Catilina (1809), Joseph-Marie Vien (1716–1809). Burton Constable Hall, England.

Probabilmente l’accusa era infondata, tanto che il processo si concluse con il suo scagionamento, ma l’azione valse comunque a rallentarne l’azione. E’ interessante notare che in quel processo Catilina fu difeso da Cicerone e da Ortensio Ortalo e che Clodio ritirò la denuncia prima che si arrivasse a sentenza. La seconda volta il rallentamento durò per circa un anno ed ebbe le sue radici in un’altra accusa mossagli contro, riferita al suo passato sillano e al suo ruolo di esecutore delle proscrizioni. Il rallentamento ne esasperò probabilmente il progetto politico, che si arricchì di una riforma agraria con nuova distribuzione di terre per i poveri e di una legge per la cancellazione dei debiti.

Ed eccoci al 64: la nobilitas non vedeva di buon occhio l’ascesa al potere consolare di un homo novus come Cicerone, ma considerò l’oratore di Arpino come il male minore (invidia atque superbia post fuere, De Cat. con., 23): è vero che Cicerone sosteneva la causa degli optimates filosenatoriali, ma la nobilitas per prudenza gli affiancò Antonio Ibrida, popularis, segretamente foraggiato dal ricchissimo Crasso e da Cesare (futuri triumviri assieme a Pompeo). Insomma, il compromesso era inevitabile, pur di evitare l’hostis Catilina, che in un suo discorso elettorale si presentò come leader dei “miseri”, del “grande corpo senza testa”. Era indispensabile evitare la deriva demagogica e chiunque, anche un homo novus, poteva essere utile allo scopo.

Cicerone rinviò con una scusa le elezioni per 15 giorni e Catilina fu sconfitto: l’escamotage questa volta ideato non consentiva agli elettori che provenivano dalle campagne (il grosso dei fautori di Catilina) di andare a Roma e di trattenersi per tutto il tempo della celebrazione delle elezioni, a causa dei costi della permanenza nell’Urbe, per loro insostenibili.

Furono eletti consoli Giunio Silano e Lucio Licinio Murena. Murena venne accusato anche lui di brogli elettorali, ma venne assolto perché appoggiato in sede politica e giudiziaria da “amici devoti”. I suoi difensori in queste circostanze furono Cicerone, Ortensio Ortalo e Licinio Crasso.

Publio Cornelio Lentulo Sura

Catilina decise a questo punto di uscire dalla legalità e di preparare un’azione nel caso (assai probabile, anzi certo) in cui non fosse stato eletto console. Era affiancato da un nutrito gruppo di senatori come Publio Cornelio Lentulo Sura, Lucio Cetego, Publio Cornelio Silla e Lucio Cassio Longino. Tutti perdenti in competizioni elettorali o, se eletti, esclusi con motivazioni spesso strumentali. In Etruria Catilina inviò Caio Manlio, facendolo acquartierare a Fiesole, per organizzare militarmente la plebe rurale, che appoggiava il programma di sapore graccano relativo alla ridistribuzione delle terre ai poveri.

Un personaggio, tra i congiurati, rappresentava l’anello debole: era l’ex senatore radiato probri causa – era un giocatore incallito –  Quinto Curio ed è su di lui e soprattutto sulla sua amante Fulvia che si appuntano le attenzioni di Sallustio, che doveva conoscerli bene entrambi. Il discorso fondativo di Catilina, collocato da Sallustio al cap. 20 della sua monografia, precede non casualmente di poco il capitolo in cui lo storico ci descrive il ruolo che nella scoperta della congiura ebbero Curio e Fulvia. Come già detto, Curio era stato cacciato dal senato probri causa, cioè per indegnità, e Sallustio lo sottolinea.

Forse per dire che Cicerone si era servito di un “reietto”, di un corrotto, come delatore? Ricordiamo che anche Sallustio fu cacciato dal senato senza essere processato (probabilmente su consiglio di Cesare), sebbene per ragioni diverse rispetto a quelle di Curio, che il suo “De Catilinae coniuratione” fu scritto circa 20 anni dopo la congiura stessa – sicuramente dopo il cesaricidio – e che reca evidenti tracce di alterazioni cronologiche dovute a ripensamenti o a scelte narrative ben precise. O ancora, ma questo è un capitolo a parte, ad un “riposizionamento” politico dello stesso Sallustio.

Certo Sallustio non ci riferisce – e il motivo appare di tutta evidenza – che Curio nominò in Senato Cesare come affiliato alla congiura, come invece fa Svetonio:

Inter socios Catilinae nominatus (…) in Senatu a Quinto Curio (Divus Iulius, 17)

Ma in compenso ci riferisce una serie di informazioni niente affatto rassicuranti sulla figura dell’ex senatore:

Sed in ea coniuratione fuit Q. Curius, natus haud obscuro loco, flagitiis atque facinoribus coopertus, quem censores senatu probri gratia moverant. Huic homini non minor vanitas inerat quam audacia: neque reticere quae audierat, neque suamet ipse scelera occultare, prorsus neque dicere neque facere quicquam pensi habebat. Erat ei cum Fulvia, muliere nobili, stupri vetus consuetudo. cui cum minus gratus esset, quia inopia minus largiri poterat, repente glorians maria montisque polliceri coepit et minari etiam ferro, ni sibi obnoxia foret, postremo ferocius agitare quam solitus erat.

Curio, così ce lo racconta Sallustio, non era di natali oscuri, si era macchiato di innumerevoli delitti, era stato espulso dai censori per disonore dal Senato, era vanitoso e audace. Non sapeva tenersi i segreti, quelli altrui e quelli personali, non rifletteva né quando parlava né quando agiva. Aveva una relazione carnale da lungo tempo con la nobildonna Fulvia (sposata, n.d.s.) che non gli si concedeva quasi più perché non le faceva regali costosi a causa della sua poco florida situazione economica. Improvvisamente (repente) cominciò a prometterle mari e monti, a minacciarla con la spada se non gli si fosse concessa e in ultimo si comportava più brutalmente del suo solito.

Gaio Sallustio Crispo

E qui il moralismo sallustiano si fa ancora più acceso: lo storico guarda al passato (soprattutto a quello suo, piuttosto turbolento), ma ne edulcora alcuni passaggi “avventurosi”. Adesso che si è ritirato a vita privata, al suo prediletto “otium”, si prefigge di servire lo stato con la penna anziché con la spada (la politica). Soprattutto ha assunto atteggiamenti e pose catoniane, a metà tra il Censore e l’Uticense. Si autoassolve (come quando, dicevamo, sottolinea la scelta da parte di Cicerone di erigere a delatore della congiura un uomo disonorato, come lui stesso) e pare averne dimenticate le cause: essere stato scoperto in flagrante adulterio con Fausta, figlia di Silla e moglie di Milone, l’assassino di Publio Clodio Pulcro. Il ghiotto retroscena ci viene narrato da Aulo Gellio (Noctes Atticae, XVII, 18) e e ancor prima da Orazio, (Sermones, I,2):

Villio, poveretto, per via di Fausta abbagliato dall’idea fissa di diventare genero di Silla, pagò e strapagò il fio oltre misura: tempestato di pugni e ferito a pugnalate, fu cacciato di casa, mentre dentro restava Longareno.

Quinto Orazio Flacco, noto più semplicemente come Orazio

Dimenticanze comode, insomma, che lo pongono, almeno nella narrazione, in una posizione di superiorità morale rispetto agli eventi narrati.

Ma torniamo a Fulvia e a Curio. Fulvia, sempre più insospettita dallo strano cambiamento del suo amante, che improvvisamente e in un crescendo emotivo inquietante le promette “mari e monti” e la minaccia sempre più brutalmente, riesce a convincere il suo vanitoso amante a parlare. Curio le rivela nei dettagli ciò che Catilina sta preparando a Roma e Fulvia, non volendosi rendere complice di un atto sovversivo e tacendo il nome di Curio (sublato auctore) comincia a spargere in giro la voce. Ed ecco che gli animi di tanti, prima avversi all’ascesa politica di Cicerone ai vertici della res publica, “si accendono” per lui. La nobilitas adesso confida nell’oratore, che però nel suo Commentarius non dice di essere stato il diretto destinatario del chiacchiericcio di Fulvia, ma che quest’ultima si sia confidata con sua moglie, Terenzia (e anche qui i destini privati di Cicerone e di Sallustio si intrecciano singolarmente, poiché Sallustio sposò proprio Terenzia dopo la morte di Cicerone).

Poco dopo, nel capitolo 26, Sallustio fornisce un’informazione che integra la precedente e che presuppone che ben presto Cicerone fosse entrato in contatto stabile con Fulvia e Curio, e cioè che, come prima citato, aveva fatto molte promesse tramite Fulvia a Curio affinché quello gli rivelasse i propositi di Catilina. Insomma, come dice Luciano Canfora nel suo saggio “Catilina. Una rivoluzione mancata”, Cicerone trasformò “un congiurato in infiltrato”. Solo che Curio sperava di conseguire vantaggi materiali dall’esito, che lui sperava positivo, della congiura e, aggiunge sempre Canfora, arriverà a fare in pubblico il nome di Cesare come affiliato alla congiura fidandosi di Cicerone che vi aveva alluso, ma senza specificare poi il nome del politico romano.

Sulla condotta di Fulvia abbiamo almeno tre versioni: quella di Sallustio prima specificata, quella di Floro, aderente a quella sallustiana ma che si spinge fino ad accusare la nobilis mulier di essere solo una prostituta di basso rango, e di Diodoro che ne fa una donna sensibile e con alto senso del dovere, che corre a confidarsi con Terenzia perché sconvolta dalla gravità delle affermazioni del suo amante. Qual è la presumibile verità? Fulvia, a sentire Valerio Massimo, aveva partecipato nel 52 a.C. ad un’orgia in caso di Gemello (tribunicius viator) che aveva offerto la sua casa per divertire il console Metello Scipione, suocero di Pompeo, e i tribuni della plebe.

La serata avrebbe contemplato la partecipazione di due nobildonne in veste di prostitute (Mucia e Fulvia) e di un ragazzo, anch’egli di nobili origini. Uno dei tribuni della plebe nel 52 era proprio Sallustio, che dovrebbe avere beneficiato delle grazie di Fulvia e che dunque la conosceva bene, come ben sottolinea Ronald Syme, commentando il capitolo che descrive la nobildonna: “Sallustio si concede di abbandonarsi a ricordi personali”. Di lì a poco Sallustio sarà radiato dal senato per la relazione con la moglie di Milone o forse anche per motivi politici.

Il racconto dello storico si fa adesso più serrato: Catilina propende per l’eliminazione fisica di Cicerone e manda alcuni sicari alla sua casa, per farlo uccidere durante il rito della salutatio, ma Cicerone viene avvertito da Fulvia e fa trovare le porte di casa sbarrate. A questo punto Cicerone convoca il senato e, senza avere alcuna prova tangibile, pronuncia davanti a Catilina la I catilinaria (poi modificata). Cicerone non ha dati sicuri e probabilmente bluffa, ma riesce a sorprendere il suo avversario, che lo schernisce dandogli dell’inquilinus civis urbis Romae” indegno di credito di fronte a lui, appartenente alla nobile gens Sergia (De Cat. Con., 31,7).

L’attacco della I catilinaria è notissimo ed è mirato a convincere i senatori a dare l’assenso all’allontanamento da Roma di Catilina. Il principale strumento di persuasione è proprio l’allusione allo spionaggio, al suo “sapere tutto”, anzi, al fatto che “tutti” conoscono le intenzioni a questo punto nient’affatto segrete del nobile. Adesso a Cicerone servono i pieni poteri e la scelta di ambientare la scena, come fosse una rappresentazione, nel tempio di Giove Statore, ne è un esempio significativo e fortemente simbolico.

Tempio di Giove Statore. Idealizzazione di Sir John Pentland Mahafffy (1839-1919), tratta da “Temple of Jupiter Stator From History of Rome and of the Roman people from its origin to the invasion of the barbarians”,  edito da Estes and Lauriat nel 1890.

Quel tempio era stato costruito, secondo la leggenda, da Romolo dopo aver invocato Giove in aiuto dei Romani durante la guerra contro i Sabini.

Il messaggio presente nella mente sottile di Cicerone è di tutta evidenza, mutatis mutandis: il pericolo in questo caso non era rappresentato dai Sabini, ma da Catilina, e lui, Cicerone, rivestiva i panni del fondatore dell’Urbe, Romolo, defensor rei publicae.

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Annamaria Zizza

Mi sono abilitata in Italiano e Latino e in Storia dell’Arte, sono passata di ruolo per l’insegnamento dell’Italiano e del latino nei Licei nell’anno 2000/2001.

Sono attualmente in servizio dal 2007/2008 al Liceo Classico “Gulli e Pennisi” di Acireale CT, dove ricopro il ruolo di docente a tempo indeterminato nel triennio del corso C.

Ho frequentato con esito positivo i seguenti corsi di aggiornamento/formazione:

– Didattica della lingua italiana;

– Tecnologie informatiche applicato al PNI e al Brocca;

– Valutazione scolastica;

– Valutazione e programmazione scolastica;

– Sicurezza nelle scuole;

– Didattica della letteratura italiana;

– Didattica della letteratura latina;

– rogramma di sviluppo delle tecnologie didattiche;

– Didattica breve nell’insegnamento del latino;

– Comunicazione

– Per una didattica della lettura e della narrazione;

– Autori, collane, libri, progetti editoriali: valorizzare la scuola attraverso la lettura;

– La dislessia

Ho tenuto in qualità di esperto due corsi PON sulle abilità di base per l’Italiano e uno sui connotati profetici nella Comedìa dantesca; ho svolto il ruolo di tutor in altri corsi PON ministeriali.

Sono stata per tre anni funzione strumentale nell’area “Supporto ai docenti”, direttrice di laboratorio multimediale, catalogatrice Dewey nella biblioteca scolastica, bibliotecaria, RSU, coordinatrice e segretaria di Consiglio di classe con frequenza annuale. Ho elaborato e tenuto il percorso di ricerca-azione “Sopravvivere alla vita: istruzioni per l’uso” nell’ambito della DLC.

Ho partecipato a svariate iniziative culturali come relatrice: dalla tavola rotonda organizzata dal Comune di Acireale sul saggio della prof.ssa Ferraloro inerente il romanzo di Tomasi di Lampedusa “Il gattopardo”, a conferenze di argomento letterario presso scuole, al progetto “Dante nelle chiese di Acireale”, organizzato dal vescovado (con relativa Lectura Dantis), al festival Naxoslegge con un’altra lectura Dantis e a presentazioni di libri.

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