Api non era l’unico toro considerato divino nell’antico Egitto. Altri importanti tori divini erano adorati in Egitto: i più noti, sono Mnevis, adorato a Eliopoli come “araldo” del dio solare Ra, e Bukhis, adorato nell’area tebana come “araldo” del dio Montu1.
Api è il toro divino di cui si hanno maggiori documentazioni scritte e archeologiche e quindi si presta meglio a una presentazione su dati certi.
Informazioni coeve sul toro Api
Nel periodo protostorico sono note palette votive in cui è rappresentato un toro che colpisce a cornate i nemici2.
Risulta evidente che l’immagine del toro rappresenta il re. Questa incarnazione verrà confermata anche nel periodo storico con la coda di toro posticcia appesa alla cintura del sovrano3 e con il frequente uso nel protocollo regale del Nuovo Regno del titolo di “toro possente”.
Ma le rappresentazioni delle palette votive protostoriche sono anepigrafi e quindi non ci sono elementi che possano identificare queste immagini di tori con Api.
Le prime notizie certe sul toro Api risalgono alla I dinastia. Una scritta geroglifica su una coppa che reca il nome del re Aha annuncia “la prima corsa di Api”4.
Due minuscole scene su un sigillo cilindrico ritrovato nella tomba di Hemaka rappresentano il re Den che corre dietro un toro chiamato Hapi5. Gli Annali confermano che tutti i re della I e II dinastia effettuarono la corsa con Api. Nella Pietra di Palermo, ad esempio, è segnalata una corsa di Api durante il regno del re Den6.
Nell’Antico Regno il toro Api compare come divinità nei Testi delle Piramidi7; altri riferimenti si trovano nel tempio solare di Neuserre, a Abu Gurob, e nei titoli e nei nomi di alcuni personaggi.
Nei periodi successivi nulla compare nei testi egizi di particolarmente significativo sul toro Api8. Ne scrivono invece gli autori greci e romani: Erodoto9, Strabone10, Plutarco11, Diodoro Siculo12, Pausania.
La scoperta del Serapeum e gli scavi successivi
Si deve a Auguste Mariette la scoperta della necropoli dei tori Api nel 1850. I ritrovamenti del Mariette hanno consentito di conoscere più direttamente gli eventi legati alla vita, alla morte e al culto degli Api. Basti pensare al recupero di 1200 stele, bronzi votivi e vari oggetti funerari.
Nel 1985-1987 il Servizio delle Antichità dell’Egitto ha ripreso gli scavi ritrovando circa 80 nuove stele, numerosi ushabti, frammenti di statue13.
Nel 1941 è stato scoperto il luogo dove gli Api venivano mummificati. Tra il 1964 e il 1972 W. Emery ha ritrovato la necropoli delle madri degli Api.
Le prime sepolture degli Api di cui si ha notizia risalgono al regno di Amenhotep III. Nulla si sa di come venivano inumati gli Api nei periodi precedenti14. Una suggestiva ipotesi, che finora non ha trovato conferme, propone che le tombe degli Api vissuti nel periodo che va dall’Antico al Nuovo Regno si trovassero nella enorme galleria sita sul lato ovest della corte del complesso piramidale del re Djoser (III dinastia), a Saqqara. In questa galleria, mai veramente esplorata a causa della sua pericolosità, sono stati trovati in passato grandi quantità di ossa (di animali?) e cocci. Inoltre è stato trovato un “letto” in alabastro simile a quelli ancora esistenti nella “casa di imbalsamazione” degli Api. Si è ipotizzato che la grande corte davanti alla piramide a gradoni fosse usata anche per la “corsa dell’Api”15.
La scoperta delle tombe degli Api del Nuovo Regno ha fornito numerosi e curiosi elementi sulle loro modalità di mummificazione in questo periodo. È soprattutto dal Periodo Tardo in poi che i rituali e le cerimonie relative agli Api sono ben conosciuti. Le evidenze archeologiche mostrano che i processi di mummificazione e sepoltura compiuti nel Nuovo Regno erano molto differenti da quelli dei periodi successivi16.
I risultati degli scavi della necropoli degli Api17
Mariette giunse in Egitto alla ricerca di papiri. Durante i suoi scavi nell’area nord-occidentale di Saqqara emersero dalla sabbia delle teste di statue di filosofi greci.
Continuando gli scavi Mariette scoperse “grandi sotterranei” a volta18 in fondo a una via processionale fiancheggiata da 134 sfingi.
Le prime sepolture degli Api in questi sotterranei risalgono alla XXVI dinastia. Nei pressi si sono trovati anche i resti di un tempietto di Nectanebo II (XXX dinastia) dedicato al dio Serapide.
A circa metà della via processionale che univa il tempietto alle “grandi catacombe” si trovava una cappella contenente una statua in calcare del toro Api (ora al Museo del Louvre)19.
Nel 1861 Mariette scoperse altri sotterranei meno grandiosi20 con tombe di Api che datavano dalla metà della XIX dinastia fino alla conclusione del III Periodo Intermedio. In queste catacombe Mariette trovò una grande confusione di stele, statuette, vasi, frammenti di sarcofagi, confusione dovuta anche a un crollo di una parte del soffitto.
Successivamente Mariette scoperse 7 tombe di Api isolate21: esse datavano dal regno di Amenhotep III22 all’anno 30 di Ramesse II. Tre di queste tombe furono ritrovate intatte, una risalente al regno di Horemheb e le altre due al regno di Ramesse II. Le tombe recavano ancora parti delle decorazioni e sopra la prima di tali tombe esistevano i resti di una cappella di culto23.
Mariette recuperò complessivamente 1200 stele: 800 furono trasferite al Museo del Louvre e 400 al Museo di Bulaq, al Cairo. Di queste solo 30 sono sopravissute a causa di una inondazione del Nilo24.
Ricapitolando: la necropoli degli Api, sita a Saqqara e conosciuta come Serapeum, consta di tre diversi elementi con una precisa scansione temporale:
– un gruppo di 7 tombe isolate che datano dal regno di Amenhotep III all’anno 30 di Ramesse II;
– i “sotterranei minori” costruiti come tombe cumulative degli Api vissuti dall’ultimo periodo del regno di Ramesse II fino al termine del Terzo Periodo Intermedio;
– i “grandi sotterranei” costruiti da Psammetico I (XXVI dinastia) dopo l’anno XXI del suo regno.
L’ipotesi di Jean Yoyotte sullo sviluppo storico dell’importanza e del culto di Api25
Durante l’Antico Regno il toro Api godeva della gloria riflessa del dio Ptah della città di Menfi, il più importante centro amministrativo e religioso dell’Egitto di quel periodo. Api era considerato il ba vivente di Ptah, cioè la manifestazione terrena del dio.
Durante il Medio Regno Menfi aveva perduto la sua importanza politica che però risorse grazie ai conquistatori della XVIII dinastia. Il dio Ptah aumentò di nuovo il suo prestigio così come i beni temporali, il sacerdozio dedicato al dio e il culto. È probabile che Amenhotep III abbia voluto esaltare e promuovere a beneficio di Menfi un dio toro, Api, sul modello del toro Mnevis che già esisteva a Eliopoli. Tanto più che il rituale di Api era strettamente associato al faraone.
Sotto i ramessidi Api era ancora considerato un dio locale di Menfi. Con Seshonq I (XXII dinastia), faraone di origine libica, si sviluppano ulteriormente il culto e il fasto dei rituali e l’importanza di Api come divinità nazionale.
Con Psammetico I (XXVI dinastia) viene avviata la costruzione dei “grandi sotterranei” in concomitanza con la diffusione generalizzata del culto degli animali. Del periodo persiano si ha notizia che Cambise e Artaserse III abbiano ucciso per dispregio gli Api in carica nel periodo del loro regno, ma gli storici ritengono in genere poco affidabili tali notizie a causa del forte sentimento anti-persiano manifestato dalle fonti egizie.
Il culto e le inumazioni degli Api continuarono in epoca greca e romana. Nel 362 d.C. Giuliano l’Apostata fa cercare ancora un nuovo Api.
Il sincretismo religioso egizio del periodo tolemaico coglie la stretta associazione di Api con Osiri per costruire una nuova divinità, Serapide (= Osiri-Api), che da Alessandria si diffonde in tutto l’Occidente, e con essa anche il toro Api26.
Il Serapeum di Alessandria, come tutti i Serapeum che in quel periodo sorsero nelle varie città, è soprattutto un tempio dedicato al dio Serapide a cui è associato il culto di Api. Nel Serapeum alessandrino fu trovata la statua in basalto di un toro a grandezza naturale (ora nel Museo greco-romano di Alessandria), dono dell’imperatore Adriano27.
A. Dodson ha elencato in un prospetto gli Api di cui si ha sicura notizia: dal regno di Amenhotep III a quello di Cleopatra VII si sono succeduti 36 Api28. La documentazione archeologica sugli Api è praticamente inesistente dopo la scomparsa di Cleopatra VII. Le referenze al culto degli Api in epoca romana si ritrovano ora solo nelle opere degli autori classici29.
Il “mistero” delle sepolture del Nuovo Regno
Un primo mistero riguarda la modalità con cui i corpi degli Api furono inumati30. Sotto il coperchio della giara in cui fu deposto il toro sepolto durante il regno di Horemheb, Mariette trovò una massa coperta da un telo di mussola a cui era stata data la forma di un toro reclinato. Tale massa era costituita in modo disordinato da frammenti di ossa di toro, di cenere e di materia bituminosa.
Nelle due tombe del periodo di Ramesse II la situazione era ancora peggiore perché mancava anche il cranio e non c’era nessuna traccia di un telo di lino e di carne sopra le ossa.
Come si può spiegare il mistero di queste curiose inumazioni? Alcuni autori sono tassativi nell’affermare che in questi periodi gli Api alla loro morte venivano mangiati. Si presume che fosse lo stesso sovrano a mangiarli per incorporare magicamente le virtù di questi animali divini. A tale proposito questi autori richiamano la formula 477 dei Testi delle Piramidi31, conosciuta come “Inno cannibale”, in cui il re defunto macella, cuoce e mangia gli dei come tori sacrificali per acquisire ed esercitare il loro potere32. Se questo rito è documentato nella XVIII dinastia si può presumere che il rito fosse praticato anche nelle epoche precedenti e ciò spiegherebbe il mancato ritrovamento di sepolture di Api fino alla fortunata scoperta di quelle che vanno dal periodo di Amenhotep III a Ramesse II.
Dalla documentazione posteriore al Nuovo Regno risulta che gli Api venivano mummificati e sepolti nelle “nelle catacombe minori” e, dalla XXVI din. in poi, nelle “grandi catacombe” con rituali e cerimonie del tutto analoghe a quelle in uso per i faraoni, evidenziando così una grande revisione nel culto dell’Api dopo il Nuovo Regno.
Il secondo mistero si riferisce al ritrovamento di una sepoltura in un punto delle “catacombe minori”33 in cui il soffitto era crollato sopra un sarcofago ligneo riducendolo in pezzi. Al suo interno c’era una massa di frammenti di resina contenente una grande quantità di ossa. A tale massa era stata data la forma di una mummia umana con il viso ricoperto da una maschera d’oro. Furono ritrovati anche magnifici gioielli e su una parete un testo portava la data dell’anno 55 di Ramesse II34.
Mariette pensò che tali resti appartenessero a Khaemwaset, il quarto figlio di Ramesse II: come grande prete del dio Ptah di Menfi il pio Khaemwaset si sarebbe fatto seppellire vicino ai divini Api Dopo Mariette molti autori si sono allineati a questa convinzione35, ma questa tesi ora non è più attuale: gli autori moderni sostengono che la sepoltura sia quella di un Api36.
I segni di identificazione del toro Api e la sua successiva iniziazione
Il toro Api, una divinità, si distingueva dagli altri tori per alcuni segni fisici identificativi. Alcuni di tali segni sono citati dagli autori antichi. Eccone l’elenco:
– mantello nero,
– un triangolo bianco invertito sulla fronte,
– un segno bianco assomigliante a un avvoltoio sulle spalle e a un falco sulle natiche;
– un segno in forma di scarabeo sotto la lingua;
– la coda a ciuffi (peli doppi)37.
La ricerca del nuovo Api poteva durare parecchi mesi da parte di preti specializzati. Dopo che l’identificazione veniva confermata da una commissione di alti prelati, il nuovo Api veniva trasferito a Nilopolis-Babilonia, una località che attualmente è un quartiere del Cairo. Qui il torello dimorava per 40 giorni, accudito da sole donne che gli mostravano i genitali. Al termine di questo periodo il torello era imbarcato su una nave e in una cabina dorata veniva portato a Menfi e insediato nel suo tempio (stalla) all’interno della recinzione del tempio del dio Ptah. Da questo momento era proibito alle donne venire alla presenza dell’Api38.
La stalla era il Sancta Sanctorum del dio Api; davanti ad essa una corte consentiva le “apparizioni” dell’Api e le visite dei fedeli. La vacca-madre dell’Api39, associata alla dea Isi40, alloggiava nei pressi. L’Api era anche dotato di un harem di giovenche. Preti e servitori erano addetti ai vari animali41.
La teologia di Api nel Nuovo Regno e nella Bassa Epoca42
– Il toro Api è per definizione “l’araldo di Ptah”, il “ba vivente di Ptah”. Come tutte le divinità egizie, Ptah è uno “spirito” (= ba) che vive in cielo e che per manifestarsi sulla terra si incorpora per elezione nel toro Api.
– Api è anche una divinità solare: Api è Atum perché quando muore si rinnova nel corpo di un nuovo toro43.
– Api è anche Horus: il torello che succede all’Api defunto ripete il mito di Horus che succede al padre defunto come legittimo erede. Per questo motivo le madri di Api sono identificate alla dea Isi.
– L’Api defunto diventa un Osiri come ogni altro defunto. Come Osiri l’Api si rianima al rinnovarsi dei mesi e delle stagioni dell’anno e con la sua resurrezione perpetua, di Api in Api, promuove la progressione dei cicli della natura, le fasi della luna, l’inondazione e lo sviluppo della vegetazione.
I momenti salienti della vita dell’Api
All’interno del suo tempio annesso a quello di Ptah, a Menfi, Api viveva la sua vita con modalità simili a quelle del sovrano. La sua vita era scandita da alcuni momenti cerimoniali e da riti importanti:
– A. “Apparizione” ai visitatori nella corte del tempio
– B. Risposte oracolari
– C. Partecipazione alla festa annuale di Ptah
– D. La corsa con il faraone
- Api poteva uscire dalla sua stalla-naos nel cortile. Qui i visitatori potevano vederlo in azione attraverso un “finestra delle apparizioni”, così come usava il faraone nei templi e nei suoi palazzi.
- Api riceveva la visita di cortigiani e supplicanti che dalla “finestra delle apparizioni” venivano a chiedere gratificazione e favori e a sottoporgli oracoli.
- Durante le grandi feste annuali del dio Ptah a Menfi, Api era portato in processione adorno di ghirlande di fiori e bardature riccamente decorate.
- Abbiamo già avuto modo di constatare in precedenza l’importanza del corsa del re con Api.
Nella scrittura geroglifica Api è scritto con segni che si translitterano hp44: la radice Hp ha il significato di correre forte. Quindi il dio Api si manifesta come un toro che si caratterizza per la sua velocità nella corsa45. La corsa a piedi del re con Api aveva lo scopo di dimostrare la vigoria fisica del sovrano necessaria a governare. Nelle più antiche rappresentazioni di questa corsa il re tiene in mano il flagello e nell’altra il mekes, cioè l’astuccio che conteneva il documento che confermava il diritto divino del sovrano a governare.
In rappresentazioni più tarde si vede il re impegnato nella corsa senza l’accompagnamento dell’Api. In questi casi il faraone tiene nelle mani un segno Hp e un remo46.
Nella corsa con il toro, il re e Api compiono un atto di vigoria allo scopo di mantenere riunite le “Due Terre” e per assicurare la produzione di alimenti per nutrire uomini e divinità47. È probabile che per il suo significato il rito della corsa col toro facesse parte delle “festa Sed”.
All’esterno di alcuni sarcofagi lignei, sotto i piedi, è talvolta rappresentato il toro Api che corre portando Osiri sul dorso. In queste immagini Api si identifica con Horus che, dopo avere cercato e raccolto le parti smembrate del corpo di suo padre Osiri ed essersele caricate sulla groppa, corre a Menfi affinché si compia la mummificazione. Questa scena si diffuse nell’area tebana per i comuni defunti intorno all’VIII secolo a. C.48
La corsa del re come rebus49
Dal Medio Regno in poi ci sono rappresentazioni del re in corsa senza la presenza del toro Api. In queste rappresentazioni il faraone impugna un oggetto che corrisponde al segno Hp (Gardiner, Aa5, non classificato)50 e un remo (Gardiner, P8). Il remo ha due possibili letture: Hpt e wsir 51.
Quindi queste rappresentazioni mostrerebbero un doppio simbolo Hp per dare la scrittura di Api oppure i due segni potrebbero essere letti come wsir-Hp, cioè Osiri-Api.
Pertanto queste rappresentazioni identificherebbero il sovrano in corsa come il dio Osiri rinato nella forma di Api.
Un’altra curiosa ipotesi52 riguarda una paletta protostorica del re Aha53 (inizi della I dinastia, in cui si vede un toro percuotere il terreno con lo zoccolo della zampa anteriore.
Il significato della scena sarebbe del tutto analogo a quello mostrato sulla mazza votiva del re Scorpione54: il toro rappresenterebbe il re che solca il terreno per scavare un canale in linea con il suo ruolo di manifestare potenza e fertilità55.
La morte del toro Api
È stato calcolato statisticamente che la vita media di un Api era di 18-19 anni.
In base alla interpretazione di alcune notizie trasmesse dagli scrittori classici56 si è ipotizzato che Api morisse per annegamento. Questa morte aveva lo scopo di rinnovare il mito di Osiri e la sua morte per annegamento nel Nilo57. Gli autori moderni negano questa ipotesi: gli Api morivano di morte naturale58.
La processione funeraria procedeva verso il lago di Abusir e qui si svolgevano alcuni rituali di purificazione dell’Api defunto. L’equivoco dell’annegamento sarebbe nato dalla errata interpretazione di questo rituale59.
La mummificazione e l’inumazione dell’Api
Quando l’Api moriva i preti di Ptah e quelli addetti al servizio del toro iniziavano una veglia, digiunavano e dovevano astenersi dai rapporti sessuali. Il digiuno era totale per i primi quattro giorni e parziale nei circa 70 giorni successivi: si nutrivano unicamente di pane, acqua e vegetali, evitando con cura ogni cibo di tipo animale60.
Dopo la morte il corpo dell’Api veniva portato al laboratorio della mummificazione61.
La mummia veniva ricomposta, stuccata e dipinta con un globo solare tra le corna.
Accompagnata da una processione di preti e notabili del regno la mummia veniva posta sopra una slitta e trainata verso il Serapeum. In epoca greca il traino avveniva con un carro a ruote62.
Nel corteo erano presenti due giovani sacerdotesse che recitando il ruolo di Isi e Nefti dovevano cantare il lamento funebre.
Il percorso era disagevole e penoso per i partecipanti. Si dovevano percorrere circa 5 chilometri63: la processione si dirigeva verso la montagna, superava il canale occidentale e stazionava per altri riti purificatori ai bordi del lago di Abusir, poi saliva la pendenza del dromo costellato di sfingi fino al tempio del Serapeum64.
All’arrivo l’Api defunto veniva accolto da una danza dei Muu65. Poi alla mummia veniva praticato il “rituale dell’apertura della bocca” e infine introdotta nella stanza del sotterraneo che le era dedicata. Qui, fuori dalla vista dei profani, la bara era introdotta nel sarcofago di pietra.
Ora i preti e i personaggi eminenti del regno deponevano stele a ricordo della loro devozione e della partecipazione al funerale.
La biografia del nano Djeho66
Subito a destra della sala di ingresso del Museo Egizio del Cairo è esposto un magnifico coperchio di sarcofago di basalto sul quale spicca in bassorilievo la notevole figura di un nano di nome Pwenhatef detto Djeho67. Un altro sarcofago, di fianco a quello di Djeho, apparteneva a Tjaiharpta68, un funzionario di cui Djeho era al servizio.
Questi due sarcofagi sono stati trovati insieme in una tomba sita in un punto privilegiato di Saqqara nord, l’area della sacra necropoli degli animali, abbastanza vicina al Serapeum. Dal testo biografico di Djeho sembra che il privilegio di essere sepolti in questa area sia stato concesso dal faraone Nectanebo II (359-341 a.C.).
È nota l’importanza che gli egizi hanno attribuito ai nani durante tutto il corso della loro storia69. È comunque eccezionale che un nano potesse permettersi un sarcofago di tale importanza e costo, oltre alla sepoltura in una tomba privilegiata.
Il testo biografico inciso sul coperchio del sarcofago consente di rispondere, almeno a livello di ipotesi, a tali interrogativi. Nel lungo testo biografico Djeho dedica a se stesso solo una breve citazione in cui dichiara di avere eseguito la danza funebre ai funerali del toro Api e del toro Bukhis.
La parte restante del testo è tutta dedicata a Tjaiharpta per gratitudine di ciò che egli fece per Djeho e recita invocazioni a suo favore e per rimanere al suo fianco nella tomba e nell’aldilà. Nel sarcofago di Tjaiharpta non c’è alcun riferimento a Djeho.
Ci sono fondati elementi per presumere che Djeho sia morto prima di Tjaharpta e che sia quest’ultimo ad avere commissionato il sarcofago e ad avere curato l’iscrizione biografica di Djeho
La ipotetica conclusione che si può trarre da tutta la vicenda è che Tjaiharpta fosse un personaggio importante alla corte del re e che avesse ottenuto per il nano Djeho il favore di danzare in occasione dei funerali dei due tori divini Api e Bukhis. Grazie a questa danza Djeho, nel suo ruolo rituale, avrebbe acquisito uno stato intermedio fra la natura umana e quella divina. Tanto più che la sua figura richiama quella di Ptah-pateco70, con una allusione esplicita al mondo degli dei. Così Tjaiharpta ha voluto con sé nella tomba Djeho, il quale, come “iniziato”, poteva perorare nell’aldilà la buona causa del suo padrone intercedendo per lui presso le divinità del giudizio.
Il caso del nano Djeho conferma che i nani erano ritenuti particolarmente indicati nelle danze rivolte alle divinità solari, al dio Ptah e ai tori divini.
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Gilberto Modonesi
1) Sui vari tori adorati nell’Egitto antico si veda l’elenco di Yoyotte, 2005, pagg. 572-574.
2) Come esempio di queste rappresentazioni citiamo la “paletta dei tori” (Museo del Louvre) e la paletta di Narmer (Museo Egizio del Cairo).
3) Ricordiamo che i sovrani celebravano la “festa Sed” e che “sed” nella lingua egizia significa “coda”.
4) M. Ibrahim & D. Rhol, 1989, pag. 20. Questi due autori hanno ripreso gli scavi del Serapeum, la necropoli dei tori Api, nel 1985.
5) A.J. Serrano, 2002, testo a pag. 69, fig. 34 a pag. 70; J. Yoyotte, 2005, pagg. 584-585. Nota bene: il segno geroglifico dell’anatra, che figura talvolta nel nome di Api, è solo un fonogramma.
6) Yoyotte, op. cit., pag. 585. T. Wilkinson, 1999, elenca a pag. 281 i documenti che attestano la festa degli Api nelle due prime dinastie e a pag. 300 riporta le “corse degli Api” registrate sulla Pietra di Palermo. Un fac-simile della Pietra di Palermo che mostra il re Den impegnato nella corsa con Api si può vedere in B. Kemp, 2000, a pag. 25 dell’edizione italiana.e a pag. 23 dell’edizione inglese.
7) Formule 254, 539, 674. Yoyotte riferisce (pag. 586) che i TdP e attestazioni successive specificano che “il vitello, uscito da una dea-vacca, diventa il toro rapido che bisogna catturare al laccio e che coprirà le vacche da cui nasceranno vitelli e giovenche”. La conclusione è che per gli egizi delle alte epoche Api è in origine la divinità responsabile della perpetuazione di scorte bovine vive.
8) Una voluminosa documentazione di testi egizi sull’Api, che vanno dal Terzo Periodo Intermedio in poi, si ha in particolare con le numerose stele ritrovate nel Serapeum, scoperte però a partire dal 1850.
9) Le Storie, libro II, 153.
10) Geografia, libro XVII, 31.
11) Iside e Osiride, 20, 29, 35, 43, 56.
12) Libro I, 21, 84, 85, 96.
13) Si veda la nota n. 3.
14) Yoyotte dubita che sia stato proprio Amenhotep III a iniziare a seppellire gli Api.
15) Questa vecchia ipotesi è riportata anche dal Vandier, 1952, pag. 911 e di recente ripresa da Ibrahim & Rohl, op. cit., pag. 23.
16) Su queste differenze torneremo più avanti.
17) Un disegno, riportato da N. Reeves, 2000, a pag. 40, dà una visione impressionante della dimensione dello scavo.
18) Greater Vaults, in lingua anglosassone. Nell’articolo useremo come sinonimi i termini “sotterranei” e “catacombe”.
19) Ibrahim & Rohl, 1988, pag. 10.
20) Lesser Vaults, in lingua anglosassone.
21) Dodson, 2005, pagg. 76-79.
22) Le più antiche tombe ritrovate dei tori Api.
23) Reeves, 2000, figura a pag. 41. Anche Yoyotte, 2005, cita tale cappella a pag. 588.
24) Ibrahim & Rohl, op. cit., pag. 12.
25) Yoyotte, 2005, pagg. 588-593.
26) Ricordiamo anche il “tesoro di Dush”, scoperto nel 1989 nella lontana oasi di Dush (Kharga): una corona d’oro del grande prete di Serapide munita di numerose placche con la figura a sbalzo di Api oltre a bracciali e altri oggetti rituali, tutti votati a Serapide e a Api, per un totale di 1, 220 kg. d’oro.
27) Empereur, 1998, pagg. 88-99. Una splendida foto del toro è a pag. 88 e a pag. 93 un magnifico busto di Serapide.
28) Dodson, 2005, pagg. 81-82.
29) Dodson, 2005, pag. 89.
30) Ricordiamo che queste tombe furono trovate intatte. La situazione dei corpi degli Api è descritta da Ibrahim & Rohl, op. cit., pagg. 11-12 e A. Dodson, 2005, pag. 74.
31) S. Donadoni, 1959, pagg. 113-115. Su questa formula dei TdP è stato scritto un intero volume: C. Eyre, 2002.
32) A. Dodson conferma più volte la sua convinzione che Api venisse mangiato: su KMT, 1995, 6.1, pag. 23, l’autore ipotizza che “la morte del toro divino fosse seguita da una festa in cui il faraone divorava l’incarnazione del dio Ptah sulla terra”. Ancora Dodson, 2005, pag. 74, ribadisce che nel Nuovo Regno gli Api defunti venivano mangiati. Analoga convinzione esprimono Ibrahim & Rohl, op. cit., pagg. 20-21. Reeves, 2000, op. cit., cita questa tesi come possibilità, mentre Yoyotte, 2005, op. cit., non si esprime.
33) Alla confusa situazione delle “catacombe minori” e ai numerosi ritrovamenti riferiti a Khaemwaset Dodson, 2005, dedica le pagg. 79-84.
34) Dodson, 2005, pag. 80.
35) Ad esempio il Vercoutter, 1962, pag. 130, sostiene che Khaemwaset fu interrato nel Serapeum.
36) Dodson, 1995, pag. 27; Dodson, 2000, pag. 50; Dodson, 2005, pag. 80; Yoyotte, 2005, pag. Xxxx; Reeves, 2000, pag. 42. Ibrahim & Rohl, 1988, a pag. 14 raccontano di vari blocchi decorati, appartenuti a Khaemwaset, ritrovati nelle “catacombe minori” e ne traggono la conclusione che la sua tomba doveva trovarsi in superficie dentro la cinta del Serapeum.
37) Questo elenco è riportato da Ibrahim & Rohl, op. cit., pag. 7.
38) Diodoro S., I, 85.
39) Secondo Erodoto, II, 153, la madre dell’Api era fecondata da un raggio di luna.
40) La madre dell’Api poteva anche identificarsi con due divinità-vacca: Sekhat-Hor e Hesat, che personificavano la fornitura di latte: Yoyotte, 2005, pag. 580.
41) Yoyotte, op. cit., pag. 581.
42) Yoyotte, 2005, pagg. 591-592.
43) Atum è il sole che muore e che risorge come Khepri.
44) La scrittura geroglifica è costituita di sole consonanti. Per agevolare la lettura la convenzione internazionale è di inserire una e tra le varie consonanti.
45) Yoyotte, 2005, pag. 585.
46) Si veda il prossimo paragrafo per una ipotesi di interpretazione.
47) Yoyotte, 2005, pag. 593.
48) Yoyotte, 2005, pagg. 593-594.
49) Questo paragrafo espone la tesi di Rohl, 1988, pag. 22.
50) Si veda anche Faulkner, 1962, pag. 168.
51) Tali letture sono riscontrabili in Gardiner, 1964, pag. 499 (segno P 8) e in Faulkner, 1962, pag. 69.
52) Rhol, 1988, pag. 22.
53) J. Spencer, 1993, fig. 44 a pag. 65; Serrano, 2002, fig. 23 a pag. 58 e testo a pag. 59.
54) J. Spencer, 1993, fig. 36 a pag. 56.
55) Serrano, 2002, fig. pag. 58 e varie altre interpretazioni delle rappresentazioni della paletta a pag. 59.
56) Plinio e Marcellino Ammiano, ma anche Plutarco.
57) Il primo degli autori moderni a interpretare questa tesi fu Chassinat, 1916, pagg. 33-60.
58) Rohl, 1988, pagg. 20-21, ancora sostiene la tesi dell’annegamento, mentre Vercoutter , Yoyotte e Dodson sono convinti che Api morisse di morte naturale.
59) Yoyotte, 2005, pag. 592.
60) Vercoutter, 1962, pag. XIII.
61) Il museo di Vienna possiede un papiro che riporta minutamente il rituale di imbalsamazione dell’Api: R.L. Vos, The Apis Embalming Ritual, Papyrus Vindob 3873, OLA, Louvain 1993.
62) Yoyotte, 2005, pag. 596.
63) Vercoutter, 1962, pag. XIII.
64) Yoyotte, 2005, pag 596.
65) I danzatori Muu simboleggiano personaggi arcaici, i mitici re di Buto, che accolgono il defunto all’ingresso della necropoli per accompagnarlo da questo all’altro mondo. Sui Muu ci sono numerosi e importanti studi. Qui basterà citare, per facilità di consultazione, G. Reeder, The Mysterious Muu and the Dance they do, in <KMT> 1995, 6.3.
66) J. Baines, Merit by Proxy: the Biographies of the Dwarf Djeho and his Patron Tjaiharpta, in JEA n. 78/1992, pagg. 241-257.
67) L’immagine del defunto sul coperchio del sarcofago costituisce un caso unico.
68) Lo stile del sarcofago mostra che esso proviene dallo stesso laboratorio di quello di Djeho.
69) Oltre ai nani comuni, sono ben noti nani divini: il dio Bes e la consorte Beset, ad esempio. La dea Neith aveva molto interesse per i nani, tanto è vero che esisteva un “profeta” del nano di Neith: El-Sayed, Deux aspects nouveaux du culte à Sais, BIFAO 76/1976, pagg. 91-99. Fra le tante manifestazioni di attenzione verso i nani si può citare anche l’articolo di Aufrere, L’énigme du nain, du pied-bot et du boissu dans les tombes de Bakhet I er de Khety à Beni-Hassan, BESG 23/1999, pagg. 11-17.
70) È una forma apotropaica del dio Ptah rappresentato come un nano nudo, analogamente all’immagine di Djeho sul sarcofago: Corteggiani, L’Egypte ancienne et ses dieux, Fayard, Paris 2007, pag. 455.