Definizione: ambasciatore italiano presso un Paese del Medio Oriente, con un’agenda fittissima di impegni istituzionali congestionata da visite ai cantieri archeologici condotti dai suoi connazionali. Soluzione: Maurizio Greganti, ambasciatore d’Italia in Iraq. Sono ad oggi ben 18 le missioni archeologiche tricolori presenti sul territorio iracheno, più di quelle di qualsiasi altra nazione straniera, a testimonianza degli ottimi rapporti tra i due paesi e del profondo impegno del Bel Paese nella ricerca in sinergia con le istituzioni locali. Profondo impegno che coinvolge attivamente, per l’appunto, anche i funzionari diplomatici nostrani, che non mancano con la loro costante presenza di testimoniare il loro fiero sostegno a queste attività.
Non è mancata certo, tra le tante fatte in questo primo anno di mandato, una visita di Greganti alla missione dell’Università di Catania presso Tell Muhammad, guidata dal professore Nicola Laneri. Il sito si trova nella periferia urbana nel sud della capitale, Baghdad, con tutti i problemi che questo comporta: non a caso il progetto di ricerca entro il quale si colloca è stato denominato “Baghdad Urban Archaeological Project”. Obiettivo finale sognato dal team di ricerca sarebbe l’apertura di un parco archeologico urbano nella capitale, e di questo si è iniziato a parlare in occasione della visita dell’ambasciatore, accompagnato da tante autorità politiche e culturali irachene. “Ci sono difficoltà sia economiche sia logistiche, naturalmente, ma a gennaio tornerò in Iraq per parlarne con lui [l’ambasciatore Greganti, ndr]. Il rapporto con le autorità irachene, tra l’altro, è spettacolare”, queste le parole del prof. Laneri ad AGI “oggi l’Italia rappresenta un’eccellenza in Iraq per la gestione di quel patrimonio culturale, immenso ma in pessime condizioni. C’è un popolo aperto, con una nuova generazione che vuole tornare alla normalità”.
Ma quali rovine ospiterà, auspicabilmente, il parco archeologico di Tell Muhammad? Si tratta dei resti di un insediamento di periodo Paleobabilonese (1800-1600 a.C.), del quale sono stati indagati un’area sacra, sulla cima del tell, e un considerevole tratto di fortificazioni perimetrali. Dal complesso templare provengono delle tavolette e delle teste di mazza bronzee iscritte datate al regno di Hammurabi, il celebre sovrano del Codice di leggi scritte. E proprio a questo sovrano risale la costruzione delle possenti fortificazioni indagate dagli archeologi italiani, che hanno quest’anno portato alla luce una porta urbica e tratti di mura dello spessore di 6 metri, più alcuni edifici ad esse annessi e una serie di meravigliosi reperti. La fortificazione così massiccia di un sito relativamente piccolo e periferico si deve al fatto che Hammurabi, passato alla storia come legislatore, fu anche e soprattutto un grande conquistatore.
In un’età di piccoli regni e città stato sempre in lotta tra loro, tra giochi di alleanze e diplomazia degni della penna di G.R.R. Martin, il re di Babilonia ebbe la forza di espandere i domini della sua città natale, fino ad allora solo una e nemmeno la più nobile tra le tante della Mesopotamia, rendendola capitale di un immenso regno che dalle coste del Golfo arrivava fino al medio Eufrate, domando e ridimensionando nemici potenti come i regni di Eshnunna, Assiria, Khana e Mari. Proprio come un personaggio di Game of Thrones, egli attese lungamente il suo momento, conquistando le città del sud del paese nei primi anni del suo regno ma attendendone quasi trenta per iniziare a confrontarsi con i più potenti vicini orientali e settentrionali. E proprio al 38° anno del suo regno, sembra, risalgono le iscrizioni rinvenute a Tell Muhammad e l’opera di rinforzo delle sue strutture difensive. In quell’anno, il grande re sarebbe arrivato alla resa dei conti con gli Assiri, al termine di un conflitto iniziato l’anno prima.
L’erezione di mura di questa portata aveva quindi per certo l’intento di consolidare e proteggere le posizioni dei babilonesi sul confine settentrionale, ma dallo studio della struttura della porta urbica sono emerse anche altre inattese prospettive d’indagine. Appena fuori dalle mura, infatti, è stato individuato un canale che collegava la città al fiume Tigri, mentre un altro la metteva in comunicazione con la Diyala, altro fiume della zona; inoltre, l’insediamento sembra trovarsi al centro di “un reticolo di insediamenti collegati probabilmente da canali”. Quando lo scavo della porta ha messo in luce una canaletta di scolo in ceramica che la collegava all’area sacra, il prof. Laneri non ha più avuto dubbi: si tratta “in realtà di una porta d’acqua, che si trovava sul canale, che la collegava probabilmente ad altre aree della città. Studi recentissimi – prosegue – stanno dimostrando che la città era segnata fortemente dai canali, che la dividevano disegnando dei quartieri. I canali, verosimilmente, entravano all’interno delle porte urbiche, che non servivano dunque solo come limite per le strade: su questo versante inizieremo una ricerca attraverso le fotografie aeree degli anni ’50 e ’60, che ci permetteranno di avere contezza del paesaggio urbano di Baghdad prima dell’esplosione urbana, che ancora oggi distrugge molti insediamenti antichi”.
Una città, dunque, attraversata da “navigli”, nel cuore di una fertile pianura, quasi 2000 anni prima di Cristo e oltre 3000 prima del Duomo di Milano; un’altra straordinaria pagina della storia antica che spetterà alle eccellenze italiane sfogliare.
Superbes découvertes et reportages comme à l’accoutumée. Toutes mes félicitations aux archéologues qui sont intervenus sur les sites.