Post fata resurgo: un’indagine polacca racconta la nascita della faience egizia dagli scarti di estrazione aurifera

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Uno dei frammenti di ciotola di faïence recuperati da Tell Abrid. Credits to Science in Poland

Tra i reperti della civiltà egizia più tipici e ingiustamente sottovalutati dal grande pubblico ci sono sicuramente le meravigliose opere di faïence. Ma cos’è la faïence?

Il termine, di chiara matrice francese, designa in senso stretto una produzione ceramica molto specifica, una terra tenera ricoperta da uno smalto stannifero che per secoli ebbe il suo centro principale di produzione nella città italiana di Faenza, da cui prese il nome. Curiosamente, questa stessa produzione è più nota in Italia con il nome di “maiolica”, dal nome dell’isola di Maiorca nelle Baleari, che ne fu uno dei principali centri di smercio durante i secoli medievali. In campo archeologico, tuttavia, il termine viene usato con un’accezione molto più ampia di quella originaria, e indica tutte le classi di vasellami con superficie vetrosa e nucleo tenero e poroso.

Un esemplare integro di faïence egizia. Credits to Metropolitan Museum of Art

Grandi maestri nella produzione di faïence furono per secoli i popoli del Vicino Oriente, con la celebre tradizione islamica che affonda le radici in un ben più antico humus culturale e artigianale, che risale in prima istanza, per l’appunto, ai ceramisti egizi di IV millennio avanti Cristo. La semplicità degli elementi costitutivi dal materiale, sostanzialmente gli stessi del vetro o del blu egizio, e l’estrema eleganza e bellezza del prodotto finale, resero questo genere di oggetti molto popolari in maniera trasversale al tessuto sociale egizio e con una continuità che arriva fino ai giorni nostri, in cui fuori dalle piramidi o dalla Valle dei Re vengono venduti centinaia e centinaia di souvenir di questo tipo.

Il sito di Tell Atrib. Credits to Polish Centre of Mediterranean Archaeology (University of Warsaw)

Le tecniche produttive e si sono certamente modificate con il passare del tempo, così come alcuni dei composti impiegati nella realizzazione, la cui natura variava anche da regione a regione all’interno del paese, essendo argilla, sabbia e tutto il resto estremamente abbondanti ovunque, ma a volte anche profondamente diverse. Nell’ottica di indagare questa complessità, è stato condotto negli ultimi anni uno studio da parte dell’Università Cardinale Stefan Wyszyński di Varsavia, per tramite della dottoressa Małgorzata Zaremba, ingegnere geologo. Lo studio ha analizzato la composizione chimica di un repertorio ceramico ben preciso, sette frammenti di ciotole in faïence prodotti in età Tolemaica (III-I secolo a.C.) nel sito di Tell Atrib. In questo sito, situato alle radici del Delta del Nilo e indagato nel decennio 1985-1995 da una missione archeologica polacca, sono stati individuati forni capaci di raggiungere le temperature necessarie per la cottura di queste suppellettili, che si aggirano tra i 1050° e i 1150°.

La dottoressa Małgorzata Zaremba. Credits to University of Warsaw

I sette frammenti, appartenenti a sette recipienti diversi, sono tipicamente ricoperti da uno strato di smalto che conferisce loro una tonalità blu accesa e lucente, e sono decorati con motivi geometrici, vegetali e scene figurate. La loro composizione chimica è stata determinata con precisione: il componente principale è una polvere silicea di quarzo, che costituisce il 90% dell’intera miscela, mentre alla formazione del rimanente 10% concorrono una miscela di ossa polverizzate e limo bruciato (4%), limo fangoso (2%), gelatina (2%), polvere di feldspato (1%) e solfuro di piombo (1%). Tutti questi elementi, conferma la Zaremba, venivano reperiti direttamente in Egitto. Un focus particolare nell’analisi ha avuto la polvere di quarzo, che è stata riconosciuta come prodotto secondario dell’estrazione dell’oro da vene presenti nel Deserto Orientale, a metà strada tra la Valle del Nilo e il Mar Rosso. Questa scoperta pone in evidenza due questioni molto interessanti.

 

La prima è che, pur essendo le materie prime tutte di provenienza “locale”, esse potevano giungere da regioni anche molto lontane della Terra del Nilo: le miniere da cui proviene la polvere di quarzo si trovano a più di 500 chilometri da Tell Atrib! In secondo luogo, colpisce che il costituente principe di oggetti tanto amati e spesso raffinati fosse il prodotto di scarto di un’altra attività. Le miniere d’oro egizie erano famose in tutto il Vicino Oriente Antico, e costituirono la principale fonte di metallo aurifero di tutto quel mondo per millenni. Colpisce dunque il fatto che persino gli scarti di produzione fossero ritenuti tanto pregiati da essere scelti come base per la realizzazione di altre meraviglie artigianali. Questo quadro, tiene a precisare la dott.ssa Zaremba, non può essere generalizzato e assunto a regola per tutti i luoghi e i tempi della produzione di faïence egizia, per le variabili già esposte che rendono incerta la nostra conoscenza. E tuttavia, questo studio costituisce un primo concreto passo che, se sarà seguito da altre ricerche parallele, potrà condurre a una più vasta e completa comprensione di questa eccellenza antica spesso dimenticata.

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