Veduta aerea del tempio nuovo, crediti Vulci Cityscape/Fondazione Vulci/Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la provincia di Viterbo e per l’Etruria meridionale

Dopo la recentissima notizia del rinvenimento di un’urna cineraria a capanna del IX sec. a.C., Vulci, il parco archeologico più grande dell’Etruria meridionale, continua a riservare sorprese. Gli scavi iniziati nel 2021 diretti da Mariachiara Franceschini dell’Università di Friburgo e da Paul Pasieka dell’Università di Mainz in collaborazione con la Fondazione Vulci guidata da Carlo Casi e la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la provincia di Viterbo e per l’Etruria meridionale con a capo Simona Carosi, funzionario archeologo, hanno infatti scoperto un nuovo tempio. Nel 2020 l’utilizzo del georadar nel corso del progetto Vulci Cityscape aveva individuato nell’area nord-occidentale del sito strutture murarie di ca. 43m per lato. Le indagini archeologiche hanno portato alla luce consistenti blocchi di tufo che formavano il basamento del tempio, forse dedicato a Minerva, di cui purtroppo non si è conservato l’alzato. In un’ipotesi ricostruttiva, gli archeologi pensano ad una struttura molto simile a quella del cosiddetto Tempio Grande.

I blocchi di tufo facenti parte del tempio nuovo, crediti Vulci Cityscape/Fondazione Vulci/Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la provincia di Viterbo e per l’Etruria meridionale

La nuova struttura sacra rinvenuta misura 45x35m e si trova in prossimità del Tempio Grande e del Foro, facendo propendere per un’ampia area cultuale. Il materiale raccolto finora durante lo scavo permette di datare il tempio tra la fine del VI e gli inizi del V sec. a.C. evidenziando diverse fasi di utilizzo dell’area fino all’abbandono e spoliazione del tempio in epoca romana. La Professoressa Franceschini racconta che il materiale ad oggi rinvenuto spazia “dall’Età del Ferro alla tarda Età Imperiale”, di cui “numerosi importi, soprattutto dall’Attica e produzioni locali di buccheri, ceramica etusco-geometrica ed etrusco-corinzia, ma anche produzioni locali da ricondursi all’età villanoviana e all’orientalizzante, che confermano la vivacità dei rapporti di scambio tra Vulci e il Mediterraneo e della ben nota produzione locale nei secoli”.

Veduta del tempio nuovo, crediti Vulci Cityscape/Fondazione Vulci/Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la provincia di Viterbo e per l’Etruria meridionale
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Chiara Lombardi

Laureata in Archeologia Orientale presso l’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” con una tesi magistrale in Archeologia Egiziana dal titolo “Iside nei testi funerari e nelle tombe del Nuovo Regno: iconografia e ruolo della dea tra la XVIII e la XIX dinastia” (2013), ha conseguito un master di primo livello in “Egittologia. Metodologie di ricerca e nuove tecnologie” presso la medesima Università (2010-2011). Durante il master ha sostenuto uno stage presso il Museo Egizio de Il Cairo per studiare i vasi canopi nel Nuovo Regno (2010). Ha partecipato a diversi scavi archeologici, tra i quali Pompei (scavi UniOr – Casa del Granduca Michele, progetto Pompeii Regio VI, 2010-2011) e Cuma (scavi UniOr – progetto Kyme III, 2007-2017). Inoltre, ha preso parte al progetto Research Ethiopic language project: “Per un nuovo lessico dei testi etiopici”, finanziato dall’Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente e dal progetto PRIN 2005 “Catene di trasmissione linguistica e culturale nell’Oriente Cristiano e filologia critico testuale. Le problematiche dei testi etiopici: testi aksumiti, testi sull’età aksumita, testi agiografici di traduzione” (2006-2007). Ha collaborato ad un progetto educativo rivolto ai bambini della scuola primaria per far conoscere, attraverso sperimentazioni laboratoriali, gli usi e i costumi dell’antico Egitto e dell’antica Roma (2014-2015). È stata assistente di ricerca presso la Princeton University (New Jersey) per “The Princeton Ethiopian, Eritrean, and Egyptian Miracles of Mary digital humanities project (PEMM)” (2020-2021). Ricercatrice indipendente, attualmente è anche assistente di ricerca per il Professor Emeritus Malcolm D. Donalson (PhD ad honorem, Mellen University). Organizza e partecipa regolarmente a diverse attività di divulgazione, oltre a continuare a fare formazione. Collabora con la Dott.ssa Nunzia Laura Saldalamacchia al progetto Nymphè. Archeologia e gioielli, e con la rivista MediterraneoAntico, occupandosi in modo particolare di mitologia. Appassionatasi alla figura della dea Iside dopo uno studio su Benevento (Iside Grande di Magia e le Janare del Sannio. Ipotesi di una discendenza, Libreria Archeologica Archeologia Attiva, 2010), ha condotto diversi studi sulla dea, tra cui Il Grande inno ad Osiride nella stele di Amenmose (Louvre C 286) (Master di I livello in “Egittologia. Metodologie di ricerca e nuove tecnologie”, 2010); I culti egizi nel Golfo di Napoli (Gruppo Archeologico Napoletano, 2016); Dal Nilo al Tevere. Tre millenni di storia isiaca (Gruppo Archeologico Napoletano, 2018 – Biblioteca Comunale “Biagio Mercadante”, Sapri 2019); Morire nell’antico Egitto. “Che tu possa vivere per sempre come Ra vive per sempre” (MediterraneoAntico 2020); Il concepimento postumo di Horus. Un’ analisi (MediterraneoAntico 2021); Osiride e Antinoo. Una morte per annegamento (MediterraneoAntico 2021); Culti egiziani nel contesto della Campania antica (Djed Medu 2021); Nephthys, una dea sottostimata (MediterraneoAntico 2021). Sua è una pubblicazione una monografia sulla dea Iside (A history of the Goddess Isis, The Edwin Mellen Press, ISBN 1-4955-0890-0978-1-4955-0890-5) che delinea la sua figura dalle più antiche attestazioni nell’Antico Regno fino alla sua più recente menzione nel VII d.C. Lo studio approfondisce i diversi legami di Iside in quanto dea dell’Occidente e madre di Horus con alcune delle divinità femminili nonché nei cicli osiriaco e solare; la sua iconografia e le motivazioni che hanno portato ad una sempre crescente rappresentazione della dea sulle raffigurazioni parietali delle tombe. Un’intera sezione è dedicata all’onomastica di Iside provando a delineare insieme al significato del suo nome anche il compito originario nel mondo funerario e le conseguenti modifiche. L’appendice si sofferma su testi e oggetti funerari della XVIII dinastia dove è presente la dea.

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