Panoramica della Sala della Meridiana con l’allestimento della mostra con al centro la stele-porta della dea polimazione, ph. Chiara Lombardi
Fino all’11 settembre 2022 il Museo Archeologico Nazionale di Napoli ospita l’unica tappa italiana della mostra Sardegna Isola Megalitica. Dai menhir ai nuraghi: storie di pietra nel cuore del Mediterraneo. L’esposizione è promossa dalla Regione Autonoma della Sardegna-Assessorato del Turismo, Artigianato e Commercio, con il Museo Archeologico Nazionale di Cagliari, la Direzione Regionale Musei della Sardegna e, per la tappa partenopea, con il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, in collaborazione con la Regione Campania e il Comune di Napoli. Intesa Sanpaolo è partner della mostra promossa al MANN. L’evento ha, inoltre, ottenuto il Patrocinio del MAECI e del MIC e si avvale della collaborazione della Fondazione di Sardegna e del coordinamento generale di Villaggio Globale International. L’allestimento, che ha ricevuto la Medaglia del Presidente della Repubblica, rientra nel progetto di Heritage Tourism finanziato dall’Unione Europea con i fondi POR FESR SARDEGNA 2014/2020 (Azione 6.8.3).
Il percorso espositivo di “Sardegna Isola Megalitica” inizia nell’atrio, dove fa bella mostra una ricostruzione della flora della Sardegna, accompagnata da altri esemplari nei due giardini adiacenti, a macchia mediterranea con ben 2410 specie.
I reperti archeologici sono, invece, ospitati nella Sala della Meridiana, in un percorso fluido che permette il passaggio tra le diverse fasi senza cesure nette. All’ingresso si viene accolti da una stele-porta della dea polimazone (dalle molte mammelle) in calcare proveniente dalla necropoli di Serra Is Araus (Oristano).
La presenza di un pannello cronologico aiuta la lettura delle diverse fasi qui narrate mettendo in relazione il momento temporale sardo con quello generale del mondo antico. Sei sono le tappe della mostra, ognuna delle quali è segnalata con un colore diverso:
- primo megalitismo (V-III millennio a.C.) – templi megalitici di Malta, civiltà babilonese, Stonehenge;
- i nuraghi (II millennio a.C.) – civiltà micenea, palazzi minoici, guerra di Troia;
- le tombe dei Giganti (II millennio a.C.) – cultura di Hellstatt;
- i santuari (dall’XI sec. a.C.) – cultura villanoviana, colonizzazione greca d’Occidente;
- il tramonto del megalitismo (dal X sec. a.C.) – civiltà etrusca, fondazione di Roma, caduta di Veio, ascesa di Roma al di fuori del Lazio, impero di Alessandro Magno;
- l’eredità nuragica, che comprende la Sardegna punica (510-238 a.C.), la romana (236 a.C.-456 d.C.) e quella bizantina (VI-VIII sec. d.C.) – Roma repubblicana, età imperiale, caduta dell’Impero Romani d’Occidente.
Il visitatore può, inoltre, inquadrare facilmente l’esposizione non solo grazie alla linea del tempo ma anche ad una carta geografica della Sardegna dove sono segnalati i siti dei rinvenimenti.
Del periodo più antico sono alcune riproduzioni in scala delle due fasi del tempio di Monte d’Accoddi (Sassari), di una tomba dei giganti, calchi di porta e parete di domus de janas. Le domus de janas sono tombe preistoriche scavate nella roccia, isolate o raggruppate in più di 40 tombe, battezzate case delle fate o case delle streghe dalla tradizione popolare.
Tra i diversi reperti della mostra si incontrano teste di dee madri e statuine di divinità femminili, punte di frecce, lame, collane e bracciali. Insieme ai classici bracciali con vaghi, si distinguono i cosiddetti “brassard”, i bracciali d’arciere, in osso, pietra o metallo. Si tratta di piastre il cui scopo doveva essere quello di proteggere l’avambraccio dell’arciere durante l’uso di arco e frecce, ma non è improbabile che venissero utilizzati anche come amuleti. Per quanto riguarda il vasellame della Sardegna preistorica, tipico è quello della cultura di Ozieri, ovvero vasi a cestelli, tripodi e pissidi che hanno decorazioni incise o a rilievo esaltate tramite l’uso di ocra rossa, bianca o gialla. Non mancano spilloni, asce, falcetti, pesi da rete, ancore, punteruoli e matrici per la realizzazione di utensili tramite colatura di metallo fuso.
Dell’Età del Ferro sono caratteristici i bronzetti, offerte votive alle divinità nuragiche presso i templi. Essi rappresentano guerrieri, come i cosiddetti guerrieri “a quattro occhi” del santuario di Abini di Teti (Nuoro), probabilmente eroi o guerrieri rituali poiché raffigurati con quattro braccia, due scudi e due stocchi; arcieri che tendono l’arco e sulla schiena hanno spada e faretra nonché un copricapo con corna; ma anche figure femminili sedute con bambino o giovane uomo in braccio, di cui si sottolinea una percentuale inferiore rispetto a quella dei guerrieri. L’interpretazione originaria era quella di madri con figli, tuttavia l’iconografia riprende quella della Mater Matuta, dea madre del Mattino dell’Italia preromana, protettrice delle nascite degli uomini quanto delle cose.
Del Bronzo finale sono più di centocinquanta rappresentazioni miniaturistiche di imbarcazioni, in bronzo o ceramica, utilizzate come ex voto o lampade ad olio, la cui decorazione alla prua solitamente presenta animali totemici, come cervidi o bovidi. Di questo periodo, anche la Campania meridionale è testimone dei bronzi sardi, probabilmente arrivati fin qui tramite i centri villanoviani dell’Etruria meridionale e rinvenuti in particolare nella zona di Pontecagnano. Si tratta di bottoni e bronzi miniaturistici di cui non è possibile comprendere il significato e la valenza dati dai fruitori campani, probabilmente più di tipo ornamentale e/o di status che cultuale.
Al lato opposto dell’ingresso, lungo l’asse immaginario con la stele-porta della dea polimazone, fa bella mostra la scultura nuragica del pugilatore, in calcare, uno dei Guerrieri provenienti dalla necropoli di Mont’e Prama (Cabras, Oristano), di cui abbiamo già parlato in precedenti articoli (vedi sotto).
La mostra termina con l’eredità nuragica, ovvero quello che resta della Sardegna megalitica e nuragica quando l’isola, presa più volte di mira da Cartagine, non entra nell’orbita romana nella seconda metà del III sec. a.C. Le radici nuragiche sono ben presenti nella Sardegna romana, come si evidenzia nel culto del Sardus Pater, dio eponimo dei Sardi nuragici venerato nel tempio di Antas, ben visibile su una moneta fatta coniare da M. Azio Balbo, pretore della Sardegna, nel 59 a.C., o nell’onomastica e nelle fonti storiche ed epigrafiche dell’isola.
“Sardegna Isola Megalitica. Dai menhir ai nuraghi: storie di pietra nel cuore del Mediterraneo” si presenta dunque come un viaggio alla scoperta di un’importante cultura, forse ancora poco conosciuta al di fuori del suo territorio.
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