L’Egitto non finisce mai di stupire e nonostante da secoli centinaia di missioni archeologiche egiziane e internazionali scavino quasi senza soluzione di continuità, non smette di regalarci nuove emozioni.

Per le buone nuove che ci giungono da una delle aree più importanti dell’Egitto del nord, Abu Ghurab, abbiamo raggiunto Massimiliano Nuzzolo, egittologo dell’Institute of Mediterranean and Oriental Cultures of the Polish Academy of Sciences, Warsaw, nonché co-direttore della missione archeologica al sito, insieme alla prof.ssa Rosanna Pirelli dell’Università L’Orientale di Napoli.

Introduzione 

Il culto solare è attestato nell’antico Egitto sin da tempi immemori. Famosi sono i circoli di pietre di Nabta Playa, nel profondo sud del paese, che daterebbero secondo gli studiosi addirittura alla metà dell’VIII mil. a.C. Tuttavia è solo a partire dalla III dinastia (circa 2700 a.C.) che tale culto inizia ad assumere una forma più compiuta e definitiva arrivando al suo apice all’inizio della V dinastia (circa 2500 a.C.). E’ questo infatti il periodo di costruzione dei templi solari, i primi monumenti specificamente dedicati al culto del dio sole Ra.

Sei templi sono attestati dalle fonti storiche, su un arco cronologico assai breve (non più di 70-80 anni) che copre gran parte della V dinastia. Solo due di questi templi, tuttavia, sono stati rinvenuti archeologicamente, quelli di Userkaf e Nyuserra, rispettivamente primo e sesto sovrano della V dinastia, situati nella zona oggi chiamata Abu Ghurab, propaggine settentrionale della necropoli regale di Abusir, a circa 20 km a sud del Cairo. Fra i due, tuttavia, solo il tempio di Nyuserra è ancora oggi ben conservato tanto da permetterci di comprendere appieno le caratteristiche architettoniche di questi monumenti. Si tratta infatti di monumenti assai diversi dai più tardi e ben noti santuari di Karnak e Luxor, caratterizzati da una successione di piloni monumentali, cortili a cielo aperto e ristretti ambienti di culto, atti a far procedere il sacerdote da uno stato di luce iniziale ad uno finale di buio e oscurità, simbolo del locale dio di Tebe, Amon (il nascosto).

Fig. 1: Veduta generale del tempio solare di Nyuserra con, sullo sfondo, le rovine dell’obelisco. Foto di M. Nuzzolo. Copyright del “Sun Temples Project”.

I templi solari, al contrario, erano indirizzati ad un culto ipetro, ossia da svolgersi totalmente alla luce del sole (fig. 1). Nel tempio solare di Nyuserra si passava, infatti, tramite alcuni bui corridoi e due stanze di culto collocate a sud, ad un enorme cortile centrale, al centro del quale si trovava un monumentale altare in alabastro, fulcro del culto solare stesso e delle offerte quotidiane al dio sole (fig. 2). Alle sue spalle (verso ovest) un enorme obelisco costruito in blocchi di calcare e granito, il simbolo (o quasi potremmo dire la manifestazione in pietra) del dio sole splendente a mezzogiorno.

Fig. 2: L’altare in alabastro del tempio solare di Nyuserra situato al centro del cortile ipetro. L’altare è composto da 4 lastre a forma di segno geroglifico “Hetep” (offerta) con al centro il disco solare, un chiaro riferimento alle offerte che quotidianamente venivano fatte alla divinità. Foto di M. Nuzzolo. Copyright del “Sun Temples Project”.

Il tempio venne scoperto e scavato negli anni 1898-1901 dall’archeologo tedesco Ludwig Borchardt, lo scopritore, fra le altre cose, anche del famoso busto di Neferititi, oggi al museo di Berlino. Dopo tale scavo, e una magistrale pubblicazione datata 1905, il tempio è stato sostanzialmente dimenticato dagli studiosi e solo a partire dal 2010 è stato nuovamente oggetto di indagini archeologiche da parte di una missione Italiana, a partire dal 2020 divenuta una missione congiunta Italo-Polacca, sotto la direzione di Rosanna Pirelli (Università di Napoli L’Orientale) e Massimiliano Nuzzolo (Accademia delle Scienze di Varsavia). Quest’ultimo è anche il direttore di un più ampio progetto di ricerca sui templi solari, chiamato “Sun Temples Project” (www.suntemplesproject.org) che ha, fra gli altri obiettivi, l’ambizione di ritrovare uno o più dei 4 templi solari mancanti all’appello. Ora pare che i primi frutti siano arrivati.

Cosa avete trovato, quando e dove?

A partire dal 2019 stiamo riscavando le fasi pre-templari dell’edificio in pietra. Nel quadrante nord-orientale infatti il pavimento originario del tempio manca del tutto e questo ci ha permesso di investigare le fasi ad esso precedenti. Era nostra convinzione infatti che al di sotto del tempio ci potesse essere un altro edificio precedente. Ben 4 dei sei templi solari conosciuti dalle fonti non sono mai stati individuati archeologicamente anche se sappiamo dai documenti papiracei contemporanei (i cosiddetti “Papiri di Abusir”) che dovevano trovarsi a breve distanza dalle coeve piramidi degli stessi faraoni, tutte collocate nella necropoli di Abusir. Era dunque logico pensare che anche i templi mancanti fossero situati non lontano dai due finora conosciuti. Tuttavia, in superficie, non restava nulla che facesse pensare ad un tempio in questa zona.

Fig. 3: Pianta generale dell’edificio in mattoni (aggiornata al Dicembre 2021). Elaborazione di Mohamed Osman. Copyright del “Sun Temples Project”.

Le caratteristiche di questo nuovo edificio, interamente costruito in mattoni, lasciano supporre che fosse monumentale (fig. 3). La struttura era allineata sull’asse est-ovest, come il successivo tempio in pietra, e misurava almeno 60 x 20 metri (tracce dei muri di cinta dell’edificio sono state trovate sui lati sud ed est e, almeno parzialmente, anche sul lato nord). I suoi muri erano tutti intonacati in bianco e nero, spesso con tracce di pittura blu e rossa e mostrano rifiniture adeguate ad un edificio regale, con spessori che variano dai 3 ai 1,5 m. Dal punto di vista architettonico, la struttura era composta da un ingresso monumentale, di cui restano le basi di due colonne in calcare bianco di Turah (le colonne sono state probabilmente re-impiegate già in antico) e una soglia monumentale, pure in calcare bianco fine (fig. 4).

Fig. 4: Vista del corpo d’ingresso dell’edificio in mattoni, con la soglia e una delle due basi di colonna in calcare bianco fine. Foto di Mohamed Osman. Copyright del Ministero Egiziano delle Antichità e del Turismo.

Questo ingresso monumentale dava accesso, tramite uno stretto corridoio ad forma di L, ad un ampio cortile centrale, pavimentato in fango battuto, con ulteriori spazi chiusi (stanze di culto?) verso ovest, che non è stato possibile investigare dal momento che su questa area insiste parte del tempio in pietra ancora conservato di Nyuserra.

Muovendosi ancora più ad ovest la struttura risulta particolarmente danneggiata e di difficile comprensione. Quello che risalta agli occhi però è che in questa zona si trovano svariati blocchi di quarzite fine rossa di notevoli dimensioni conficcati nella fondazione del pavimento di questo edificio in mattoni. Questi blocchi, sebbene danneggiati, hanno facce levigate e non sono quindi scarti di lavorazione del tempio successivo in pietra ma sembrano appartenere ad una struttura qui originariamente costruita (un proto-obelisco???) e successivamente smantellata.

Ma la scoperta più interessante è stata fatta nell’angolo nord-orientale della parte da noi scavata di questo edificio in mattoni, che corrisponde (forse non casualmente) anche all’angolo nord-orientale del recinto sacro del tempio di Nyuserra (fig. 5A). In questa zona – accessibile direttamente dal corridoio di accesso a L del tempio di cui abbiamo detto in precedenza e caratterizzata da una serie di ambienti paralleli, probabilmente adibiti a magazzini – abbiamo trovato un enorme accumulo di ceramica, composto da decine di giare di birra, molte delle quali completamente intatte, ma anche da forme squisitamente rifinite di ceramica rossa (tecnicamente chiamata “red-slipped ware”) come le cosiddette “Meidum Bowls” (fig. 5B).

Fig. 5A e 5B. Due immagini del deposito di ceramica scoperto nell’angolo nord-orientale del tempio di Nyuserra sotto le lastre distrutte del pavimento. Nell’immagine 5B una veduta di dettaglio con, sulla destra, una delle forme squisitamente rifinite di ceramica rossa. Foto di Mohamed Osman. Copyright del Ministero Egiziano delle Antichità e del Turismo.

Particolarmente interessante è il fatto che molte delle giare di birra fossero state riempite di fango del Nilo, sicuramente inteso ad espletare alcuni rituali religiosi prima della loro sepoltura in questa parte dell’edificio. Va inoltre rimarcato il fatto che la ceramica può essere datata con una certa precisione alla prima metà della V dinastia, dunque ad un periodo prima di Nyuserra. E’ certo ancora presto per dare una conclusione definitiva ma questi elementi preliminari, uniti al fatto che tutta la ceramica appare deposta in maniera accurata ed intenzionale, e non gettata alla rinfusa, ci fanno pensare ad una qualche sorta di deposito di fondazione, o forse meglio ad un accumulo rituale di ceramica effettuato quando il tempio venne smantellato e livellato da Nyuserra per costruirci sopra il suo santuario. Come è ben visibile dalle foto, in questa parte del tempio, la pavimentazione del santuario del tempio di Nyuserra, e persino i monumentali bacini lustrali in alabastro, poggiano direttamente sui resti di questo edificio in mattoni, senza praticamente (se non in rari casi) alcuna fondazione.

Che altri ritrovamenti sono stati effettuati?

A poca distanza da questo deposito/accumulo di ceramica, e non lontano da quello che sembra essere uno dei muri perimetrali dell’edificio di nuovo in un gap della pavimentazione del tempio in pietra, si è trovata un’altra piccola fossa che ha restituito enormi soprese. Insieme ad un accumulo impressionante di perline di faience, tutte sparse in questa fossa alla rinfusa, sono stati trovati svariati coltelli di selce, alcuni anche ben rifiniti, e soprattutto decine di cretule di argilla, con relative impronte di sigilli, che recano iscritti i nomi di sovrani della V e VI dinastia.

Fig. 6: Vista di dettaglio dell’impronta di sigillo con su impresso il nome dell’enigmatico re della V Dinastia Shepseskara. Foto di M. Nuzzolo. Copyright del “Sun Temples Project”.

Fra di essi, sicuramente il più interessante è l’impronta di sigillo con il nome del re Shepseskara (fig. 6), un sovrano della V dinastia che rimane ad oggi ancora quasi del tutto sconosciuto, al punto che non sappiamo neppure dove sia stato sepolto e quando esattamente abbia regnato. Secondo la maggior parte degli studiosi Shepseskara avrebbe regnato subito prima di Nyuserra ma non è da escludere che abbia potuto succedere direttamente a Nyuserra. Qualunque sia il caso, la presenza del nome di Shepseskara sul materiale archeologico ritrovato ad Abu Ghurab attesta che il re fu attivo nell’area oggi occupata dal tempio di Nyuserra, ed apre prospettive storiche assolutamente inedite su questo scorcio della V dinastia.

 

Dobbiamo quindi pensare che il santuario precedente sia stato costruito da Shepseskara?

Questa è una conclusione prematura sulla base dei dati archeologici, anche se ovviamente non può essere esclusa. Quello che è certo è che questo edificio non era una fase precedente del tempio in pietra, come arguito da Borchardt anni fa. In effetti lo studioso tedesco aveva già brevemente – e solo parzialmente – investigato questa struttura in mattoni di cui stiamo parlando, concludendo che si trattava di una semplice fase costruttiva, in mattoni, del più tardo edificio in pietra. Tutte e due gli edifici, secondo Borchardt, sarebbero dunque appartenuti a Nyuserra. Questa ipotesi era all’epoca plausibile ma oggi sappiamo che accade di solito il contrario, ossia gli edifici regali dell’Antico Regno si costruiscono sempre in pietra ma vengono poi spesso completati in mattoni per eventi improvvisi, come per esempio la morte prematura del re. E’ questo il ben noto caso dei templi delle piramidi di Micerino a Giza e di Raneferef ad Abusir, terminati rispettivamente da Shepseskaf e Nyuserra. Proprio Raneferef a me sembra il candidato più plausibile per l’edificio da noi ritrovato. Il tempio solare di questo sovrano è citato nelle fonti coeve solo una volta, nella mastaba del potente funzionario Ty a Saqqara. Nella sua autobiografia, incisa sulle pareti della sua tomba, Ty dice di essere stato sovraintendente alla costruzione del tempio di questo sovrano il quale però, come sappiamo, morì improvvisamente dopo pochissimo tempo (probabilmente 1 o 2 anni di regno). Una delle caratteristiche dell’edificio in mattoni da noi ritrovato è che è stato spianato ad un livello che farebbe pensare che non sia mai stato ultimato, tanto che Nyuserra, come già detto, lo utilizzò direttamente come fondazione del suo tempio successivo.

Lei ci ha appena detto che i templi regali dell’Antico Regno venivano costruiti in pietra. Perché dunque questo sarebbe stato costruito in mattoni?   

Questa è una bella domanda, per rispondere alla quale dobbiamo fare un passo indietro. Il tempio solare del primo sovrano della V dinastia, Userkaf, colui che in effetti introdusse questa nuova tipologia architettonica e di culto, fu costruito interamente in mattoni ma con alcuni elementi centrali in pietra, come appunto l’obelisco, centro del culto solare. Questo obelisco, nel caso di Userkaf, era tutto in blocchi di quarzite, parzialmente ancora visibili oggi fra le macerie del tempio e, come ricordato in precedenza, anche nel nostro caso abbiamo trovato molti blocchi in quarzite di grandi dimensioni sicuramente appartenenti all’edificio in mattoni. Non è dunque da escludere che, come per Userkaf, anche l’edificio da noi scoperto potesse aver seguito lo stesso canovaccio: mattoni per la struttura architettonica portante ed elementi cruciali in pietra (soglia e colonnato in calcare, obelisco – o struttura simile – in quarzite). Il perché poi questi primi templi venissero costruiti in mattoni e non direttamente in pietra deve sicuramente essere legato al loro significato su cui è nostra intenzione indagare meglio. Quello che sembra probabile è che Nyuserra, ad un certo momento, abbia deciso di passare alla pietra, forse per eternare la sua memoria in associazione del dio sole. Quello che infatti stupisce del tempio solare di quest’ultimo, specie se comparato con quello di Userkaf, è la presenza centrale del faraone nelle decorazioni templari, di contro alla quasi totale assenza del dio sole, teoricamente il destinatario finale del monumento.

Il tempio solare, dunque, come tempio per il faraone e solo secondariamente per il dio sole?

Direi di si, o meglio direi che il tempio era il santuario per il culto solare nella misura in cui, tramite questo culto, il faraone regnante si accreditava al mondo intero, ogni giorno, come l’incarnazione vivente del dio sole, il suo unico figlio che, con il padre, e tramite il padre, condivideva una natura divina ed immortale. Non è un caso che proprio in questi anni viene introdotto nella titolatura regale il famoso titolo di “Sa-Ra” – “figlio del dio sole Ra”, che diviene uno dei 5 nomi canonici del re. Nel divenire della storia della terra del Nilo sarà sempre questo il nome che metterà in associazione diretta il faraone, sulla terra, con il suo padre divino (e solare) nei cieli.

Qual è quindi il prossimo step della ricerca.

Confermare senza ombra di dubbio la natura dell’edificio in mattoni da noi ritrovato come un tempio solare e attribuirlo ad un ben determinato sovrano è ovviamente la nostra priorità. Per far questo ci ripromettiamo di completare lo scavo del monumento in particolare verso sud e ovest, dove ancora restano da indagare varie parti del monumento. Ma a noi interessa anche cercare di capire meglio quali erano i rituali di culto che si svolgevano nei santuari del sole e come vivevano le comunità che intorno ad essi abitavano. E del resto è anche questo uno degli obiettivi del progetto che è partito nel 2020 e che vede in campo una forte sinergia fra istituzioni Italiane e Polacche. Spero di potervi presto dare ulteriori novità.

CREDITS FOR IMAGES: “Massimiliano Nuzzolo”

Main mission partners and projects:

  • Sun Temples Project. Religious spaces, ideological patterns and social dynamics of constructing the sacred landscape in Third Millennium BC Egypt, funded by the National Science Center of Poland (scientific responsible: Dr. Massimiliano Nuzzolo, Institute of Mediterranean and Oriental Cultures of the Polish Academy of Sciences, Warsaw)
  • Virtual Reconstruction of the sun temple of Niuserra at Abu Ghurab, funded by the Italian Ministry of Foreign Affairs and International Cooperation (scientific responsible: Prof. Rosanna Pirelli, L’Orientale University of Naples, Italy)

For more information visit: www.suntemplesproject.org

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Paolo Bondielli

Storico, studioso della Civiltà Egizia e del Vicino Oriente Antico da molti anni. Durante le sue ricerche ha realizzato una notevole biblioteca personale, che ha messo a disposizione di appassionati, studiosi e studenti. E’ autore e coautore di saggi storici e per Ananke ha pubblicato “Tutankhamon. Immagini e Testi dall’Ultima Dimora”; “La Stele di Rosetta e il Decreto di Menfi”; “Ramesse II e gli Hittiti. La Battaglia di Qadesh, il Trattato di pace e i matrimoni interdinastici”.

E’ socio fondatore e membro del Consiglio di Amministrazione dell’Associazione Egittologia.net. Ha ideato e dirige in qualità di Direttore Editoriale, il magazine online “MA – MediterraneoAntico”, che raccoglie articoli sull’antico Egitto e sull’archeologia del Mediterraneo. Ha ideato e dirige un progetto che prevede la pubblicazione integrale di alcuni templi dell’antico Egitto. Attualmente, dopo aver effettuato rilevazioni in loco, sta lavorando a una pubblicazione relativa Tempio di Dendera.

E’ membro effettivo del “Min Project”, lo scavo della Missione Archeologica Canario-Toscana presso la Valle dei Nobili a Sheik abd el-Gurna, West Bank, Luxor. Compie regolarmente viaggi in Egitto, sia per svolgere ricerche personali, sia per accompagnare gruppi di persone interessate a tour archeologici, che prevedono la visita di siti di grande interesse storico, ma generalmente trascurati dai grandi tour operator. Svolge regolarmente attività di divulgazione presso circoli culturali e scuole di ogni ordine e grado, proponendo conferenze arricchite da un corposo materiale fotografico, frutto di un’intensa attività di fotografo che si è svolta in Egitto e presso i maggiori musei d’Europa.

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