L’archeologia moderna ha, da ormai quasi cinquant’anni, il suo cardine ideologico nel cosiddetto Metodo Stratigrafico. Si tratta del principio scientifico per il quale, scavando un qualsiasi sito, l’archeologo deve rimuovere in ordine rigorosamente cronologico gli strati che incontra, iniziando dai più recenti e proseguendo via via verso quelli più antichi. Non sono ammesse scorciatoie, tagli approssimativi, rimozioni incomplete: è buona norma per ogni professionista di cantiere seguire rigorosamente quest’ordine e documentarne ogni passaggio.

Questa prospettiva ha fatto sì che, non potendo più mirare in maniera diretta agli strati più profondi e antichi, gli archeologi iniziassero a documentare e, a volte, interessarsi a quei livelli più superficiali che un tempo venivano rimossi senza troppi complimenti. Nascono così delle branche dell’archeologia che si occupano dell’indagine dei tempi più recenti, non più solo Antichità e Medioevo, ma anche Età Moderna e Contemporanea. Un esempio ben rappresentativo di questa categoria è la cosiddetta Archeologia Islamica, disciplina che indaga nel Vicino Oriente e in Nord Africa una gamma di siti che va dal VII d.C. fino al secolo scorso.

dettaglio di una fornace dallo scavo di Tell Zayd. Credits to Unive

L’investigazione del sito di Tell Zeyd, nel Kurdistan Iracheno, è uno dei più recenti e chiari casi di questo tipo di archeologia. Condotta nell’ambito del Land of Niniveh Archaeological Project, dell’Università di Udine, essa è diretta dalla prof.ssa Cristina Tonghini dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, e ha portato alla scoperta di un abitato che i cliché sull’archeologia definirebbero “recente”. Si tratta infatti di un villaggio abbandonato a inizio ’900, precisamente nel 1910. La precisione di questa datazione è dovuta alla testimonianza diretta resa agli studiosi da un anziano signore, nipote di alcuni abitanti del villaggio all’epoca del suo abbandono, che ne ha raccontato le ultime vicende riportando le storie che aveva sentito dai suoi nonni. La testimonianza, affascinante ma di per sé non sufficiente per la rigida “giuria” accademica, ha ricevuto piena conferma dallo scavo, e in particolare dal rinvenimento di una moneta dalla cronologia assolutamente coerente con quanto dichiarato dal testimone.

Gli strati archeologici più superficiali delineano dunque il profilo di un piccolo villaggio situato nella Valle del Tigri, lungo un piccolo affluente di quel grande fiume, dotato dei resti di una straordinaria struttura: un mulino ad acqua. La scoperta di questo edificio può non apparire particolarmente entusiasmante, ma si tratta invece di un importantissimo dato, poiché rende il villaggio di Tell Zayd uno dei rarissimi casi in cui siano noti sia il mulino sia i laboratori artigianali che esso riforniva, permettendo agli specialisti di compiere degli studi molto importanti sulle tecniche di produzione e sulla vita quotidiana dell’abitato.

pipa in terracotta da Tell Zayd. Credits to Unive

Di epoca solo leggermente più antica è il più interessante dei laboratori artigianali individuato dalla missione veneziana: una “fabbrica” di pipe. La storia del rapporto del Medio Oriente con la pratica del fumo è quella di una romance dirompente ma che ha conosciuto, nelle fasi iniziali, diversi ostacoli. Se infatti al giorno d’oggi pare del tutto chiaro il detto “fumare come un turco”, o perfettamente coerente che il Brucaliffo di Alice nel Paese delle Meraviglie ci venga presentato da Walt Disney intento a fumare da un narghilè, non è stato sempre così. La diffusione di tabacco (e caffè) in tutto l’Impero Ottomano, all’indomani della scoperta dell’America, ebbe un successo immediato tra le popolazioni suddite, ma fu inizialmente combattuto dalle autorità e, addirittura, vietato. La passione per questa pratica tuttavia era talmente forte che nel 1646, ratificando quello che era già uno stato di fatto, esso venne autorizzato, fino alla piena legalizzazione nel 1720.

pipa in terracotta da Tell Zayd. Credits to Unive

E proprio al XVIII secolo sembra risalire questo centro di produzione di pipe in terracotta, tanto importante per l’archeologia in quanto unico caso di questo tipo, ad oggi, situato in un piccolo centro rurale anziché in una grande città. Qui si producevano dunque le cosiddette pipe islamiche, celebri presso qualunque archeologo del Vicino Oriente, poiché erano tanto amate che non c’è scavo tra la Turchia e l’Arabia, dall’Afghanistan fino ai Balcani, che non abbia restituito dai livelli superficiali almeno un frammento di questo genere di oggetti. La parte principale, il “fornello”, veniva realizzata in terracotta, e poi decorata in vari modi, con incisioni o applicazioni di figurine, e verniciata, generalmente di rosso ma anche di nero o marrone. A questo componente si aggiungeva poi la cannula che terminava con il bocchino, realizzata in legno. Presso Tell Zayd sono state rinvenute non solo le fornaci deputate alla cottura dei pezzi in terracotta, ma anche tantissimi fornelli di pipa “difettosi”, veri e propri scarti di produzione che erano stati gettati via nel corso degli anni. Non manca tra i reperti nemmeno la materia prima del laboratorio: argilla purissima, conservata vicino ai forni e pronta per essere modellata.

il sito di Tell Zayd. Credits to Unive

Lo scavo di Tell Zayd è solo all’inizio, e nei prossimi anni fornirà certo tanti altri importantissimi dati alla comunità scientifica: si crede infatti che il villaggio sia stato abitato ininterrottamente fin dal VII secolo d.C., e che le prime operazioni d’insediamento risalgano addirittura al Periodo Calcolitico (VI-IV millennio a.C.!). Nuove intriganti scoperte attendono qui dunque gli archeologi, che non dovranno fare altro che, come dicono loro, “scendere” pazientemente strato per strato, dal presente al passato prossimo e verso il passato remoto dell’umanità.

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