Piramide”. Il suono di questa parola evoca, in chiunque la senta, l’immagine di un ambiente ben preciso: un vastissimo deserto sabbioso, spazzato da venti caldi e bruciato dal sole, solcato da un possente fiume che, con le sue acque benefiche, ha permesso lo sviluppo di una delle più antiche e importanti civiltà umane. Eppure, la piramide protagonista della storia odierna ci trasporta in tutt’altro ambiente. Si potrebbe allora pensare a un contesto completamente opposto: una rigogliosa jungla tropicale, popolata da animali feroci e popolazioni sanguinarie, tra i cui verdi soffitti si aprono una via delle maestose piramidi a gradoni in pietra grigia. Anche questa volta, però, non è questa la giusta strada da percorrere e, come già fatto con l’Egitto, tocca abbandonare il Messico. La piramide in questione si trova in Asia, e non è nemmeno una delle mitiche ziqqurat mesopotamiche di cui sentiamo parlare fin dalle scuole elementari.

La piramide durante le fasi di scavo. Credits to Gumilyov Eurasian National University

Kyrykungir a Toktamys, questo il nome dell’intero complesso, si trova nelle fredde steppe del Kazakistan, grandi pianure verdi a perdita d’occhio, da sempre abitate da popolazioni nomadi, e risale a 4000 anni fa, in piena Età del Bronzo. Un contesto speciale e inaspettato per una piramide particolarissima: niente base perfettamente quadrata, niente alzato di decine di metri, niente rivestimento in pietra pregiata, la piramide a gradoni kazaka ha una regolare pianta esagonale di 13m per lato, e si innalza sul livello del terreno circostante per poco più di 3 metri. All’interno del perimetro esagonale, una serie di muri colossali a forma di cerchi concentrici forma un labirinto che conduce, nel centro, a una tomba. L’intero complesso doveva essere ricoperto da un tumulo, ma l’aspetto forse più suggestivo sono gli enormi monoliti di pietra nera, del peso di una tonnellata ciascuno, posizionati agli angoli d’intersezione tra i vari segmenti del muro, i quali presentano la faccia rivolta verso l’esterno completamente levigata.

Vista di un muro della piramide; sulla destra, uno dei monoliti neri. Credits to Gumilyov Eurasian National University

Ugualmente straordinaria e significativa è la decorazione: sulle facce esterne dei muri, infatti, sono stati rinvenuti una serie di petroglifi. Si tratta di incisioni, in numero abbondante ma imprecisato, che raffigurano animali, in particolare cavalli (di cui sono state rinvenute anche centinaia di ossa), ma anche cammelli e altre bestie. Lo scavo all’interno del complesso ha portato al rinvenimento di decine di oggetti, tra cui ceramiche, gioielli (tra cui alcuni bellissimi orecchini d’oro femminili) e una serie d’altri utensili. Nell’area circostante, altri agglomerati funerari sono stati individuati, anche se molto più tardi, e afferenti alle popolazioni dei Saka (II secolo a.C. – I secolo d.C.) e dei terribili Unni (IV-VI secolo d.C.). Si tratta di un complesso straordinario, unico dell’Asia Centrale e con pochissimi vaghi confronti in tutto il pianeta.

Ma di che si tratta? Alcune prime risposte sono state fornite, in una conferenza stampa straordinaria, lo scorso mese di agosto 2023 da Ulan Umitkaliyev, direttore della missione della Gumilyov Eurasian National University che ha lavorato allo scavo del complesso monumentale. Le prime datazioni al radiocarbonio sembrano datare al XIX secolo a.C. la realizzazione dell’opera, che appare in tutto e per tutto connessa a due finalità principali: da un lato, pare innegabile il ruolo di tomba monumentale, riservata probabilmente a membri di spicco della nobiltà nomade della regione. Dall’altro, il luogo sembrerebbe assimilabile a una sorta di santuario per la venerazione del “culto del cavallo”, centralissimo per le popolazioni nomadi indoeuropee che si aggiravano per l’area nell’Età del Bronzo.

Sezione della piramide. Credits to Gumilyov Eurasian National University

Secondo Umitkaliyev, emerge chiaro il “ruolo della piramide come cuore pulsante dell’antica espressione culturale della regione”: “Ritrovamenti durante gli scavi di ceramiche, orecchini femminili in oro e altri gioielli indicano che questo luogo era, nell’età del bronzo, il centro della cultura di quei tempi antichi. Ciò significa anche che a quel tempo il culto del cavallo era estremamente importante, come evidenziato dal ritrovamento di ossa di cavallo intorno all’edificio in pietra…”. Il monumento, come riferito dalle autorità kazake e certificato dal materiale fotografico diffuso, è meglio conservato da un lato, con i muri di quello opposto che risultano molto peggio conservati. Dettagli ulteriori, al momento non risultano disponibili.

Vista aerea della piramide. Credits to Gumilyov Eurasian National University

Chi ha eretto questo monumentale complesso? Come hanno potuto (e perché hanno voluto) delle popolazioni nomadi compiere sforzi così grandi come il trasporto e la lavorazione dei giganteschi monoliti? Come si svolgevano i riti e le pratiche legate al culto dei cavalli tra questi muri? E chi è sepolto nel centro della struttura? A queste e a molte altre domande non è ancora possibile rispondere, se non per ipotesi, e saranno necessari ancora anni e anni di studio per penetrare nel profondo dei misteri di questo affascinante e suggestivo luogo sperduto nel cuore della steppa.

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Giulio Vignati

Nato nel 1997, grande appassionato di storia antica e storia in generale, frequenta il Liceo Classico a Milano diplomandosi nel giugno del 2016. Si iscrive poi al corso di laurea in Lettere con indirizzo Antichista presso l’Università degli Studi di Milano, laureandosi nell’ottobre del 2019 con una tesi in Epigrafia Latina dal titolo “Gli equites nella documentazione epigrafica di Brixia”. Passa poi al corso di laurea magistrale in Archeologia presso la medesima università, specializzandosi in storia e archeologia del Vicino Oriente Antico e conseguendo la laurea con una tesi di ambito vicino-orientale dal titolo “Produzione e circolazione di manufatti d’argento tra Anatolia e Mesopotamia Settentrionale durante il Bronzo Medio”. Dal 2020 è membro della missione italiana in Turchia PAIK, che scava presso l’antico sito anatolico di Kaniš/Kültepe, e della missione italiana nel Kurdistan Iracheno MAIPE, che scava presso gli antichi siti di Tell Aliawa e Tell Helawa, partecipando alle operazioni di scavo, documentazione e post-scavo di entrambi i progetti.
 

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