Pompei, grazie alla nuova stagione di scavi promossa dal direttore del Parco archeologico Massimo Osanna, regala ancora un’eccezionale scoperta. Dopo i ritrovamenti nella zona del “cuneo“, Regio V, ad emergere da un ambiente delle Terme Centrali una piccola vittima dell’eruzione. Durante i lavori di consolidamento e restauro del complesso, gli archeologi hanno rinvenuto il corpo di un bambino/a di età stimata tra i 7-8 anni.
Una straordinaria e fortuita scoperta in un edificio comunque già indagato nell’800 e che ha ancora dati e sorprese da regalare agli studiosi. Lo scheletro è emerso durante la pulizia di un ambiente di ingresso in una collocazione inusuale rispetto alla stratigrafia vulcanica del 79 d.C. Questo è infatti immerso nel flusso piroclastico, il mix mortale di gas e materiale vulcanico, in un ambiente dove non vi sono tracce di lapillo che in altri edifici ha provocato il crollo dei tetti. In questo caso, l’ambiente in cui la vittima si era rifugiata per scappare dalla catastrofe, essendo chiuso, non avrebbe fatto penetrare il lapillo ma solo il flusso piroclastico dalle finestre nel momento finale dell’eruzione. Le ossa sono state trovate al di sotto di uno strato di circa 10 centimetri. Dapprima è affiorato il piccolo cranio, dopo le ossa, disposte in maniera raccolta e che dalle prime analisi ne hanno determinato subito la giovane età.
Lo scheletro non è del tutto completo; manca una porzione del torace destro, della mandibola e parte degli arti superiori e inferiori, lesioni che comunque non sembrano riconducibili alle intercettazioni ottocentesche. Il sesso non sarà possibile stabilirlo in questa prima fase di analisi, in quanto i caratteri di dimorfismo tipicamente maschili o femminili non sono ancora definiti in età infantile. La determinazione del sesso, si verificherà in una seconda fase di studio che prevede analisi sul DNA, qualora si presenti in buono stato di conservazione.
Il Laboratorio di Ricerche Applicate del Parco Archeologico di Pompei sarà il luogo predisposto per le analisi preliminari sullo scheletro, gli studi antropologici effettueranno un primo screening per verificarne lo stato di salute per poi procedere con analisi metriche, morfologiche e dei markers di stress scheletrici (misurazioni ossa, valutazioni di impronte muscolari sullo scheletro utili a valutare se ci sono tracce di attività fisica pesante come il trasporto pesi, deambulazione ecc.). Nella fase di scavo, oltre all’antropologa, erano presenti esperti vulcanologi e geologi che hanno contribuito a determinare l’individuazione delle fasi stratigrafiche del seppellimento della vittima, mentre le analisi del DNA saranno condotte dal team del Dipartimento di Medicina Molecolare e Biotecnologie mediche della Federico II. Già in passato questo tipo di analisi hanno permesso di ricostruire una Pompei ancora poco conosciuta, quella fatta di abitudini di vita, un microcosmo che difficilmente è possibile ricostruire dai ritrovamenti in necropoli e che la città vesuviana permette invece di ricostruire attraverso lo studio delle sue vittime morte per calamità naturale nel pieno della loro vitalità.
“Pompei è a una svolta per la ricerca archeologica – dichiara Massimo Osanna, Direttore del Parco Archeologico di Pompei – non solo per le scoperte eccezionali che regalano forti emozioni come nel caso di questo ritrovamento. Ma anche perché si è consolidato un nuovo modello di approccio scientifico che affronta in maniera interdisciplinare le indagini di scavo. Un team di professionisti specializzati quali archeologi, architetti, restauratori ma anche ingegneri, geotecnici, archeobotanici, antropologi, vulcanologi lavora stabilmente, fianco a fianco e con il supporto di risorse tecnologiche all’avanguardia, per non lasciare al caso nessun elemento scientifico, e dunque ricostruire nella maniera più accurata possibile un nuovo pezzo di storia che, attraverso gli scavi, ci viene restituito.”