Profumi antichi

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L’autore Plinio il Vecchio attribuisce l’invenzione del profumo a maestranze persiane, i Medi, popoli di maghi e scienziati che, oltre a ad usarlo per scopi igienici, gli attribuivano un valore metafisico e religioso; era un legame tra uomini e dei nella contemplazione ascensionale del fumo prodotto dai legni accesi e, vista questa duplice funzione di vanità e cura, il profumo assunse un significato rituale e cultuale in molte civiltà antiche.

 Aryballos See page for author [CC BY 2.5 (http://creativecommons.org/licenses/by/2.5)], via Wikimedia Commons
Aryballos See page for author [CC BY 2.5 (http://creativecommons.org/licenses/by/2.5)], via Wikimedia Commons
Venne visto come elemento per la cosmesi e come arma di seduzione a partire dal VII secolo a.C. sempre presso i popoli mediorientali che usavano come base per la preparazione l’olio di sesamo. Alcune notizie sempre forniteci da Plinio ci dicono che l’unguento reale usato dai notabili persiani era formato da 27 ingredienti mescolati a vino e miele. Anche i Greci importarono le conoscenze dal mondo orientale, sia tramite i commerci che attraverso i rapporti di vicinato con le colonie e ce ne danno testimonianza attraverso le pitture vascolari o attraverso la produzione di specifici contenitori porta profumo come gli aryballoi o gli alabastra in ceramica o alabastro. Tra i profumi di moda nel mondo greco l’olio di rose citato da Omero e il profumo preferito del poeta Menandro, il telino, composto da olio fresco, cipero, calamo aromatico, meliloto, fieno greco, miele, origano e maggiorana. Il consumo diffuso di essenze, oltre che ad un incremento di importazioni di spezie dai paesi orientali, sviluppò produzioni artigianali di profumi in molti centri e non da ultimo anche alcune adulterazioni.

Secondo tradizione, sembra che l’introduzione del profumo in Italia si debba agli Etruschi. In realtà i centri di importazione dall’oriente dovettero essere diversi tenendo conto anche del ruolo che dovettero avere le colonie di Magna Grecia per quanto riguarda le importazioni di merci esotiche. Se inizialmente coprire i cattivi odori con sostanze odorose poteva essere un motivo sostanzialmente igienico, col passare del tempo divenne oggetto di ostentazione di lusso, tanto da essere vietato per motivi “morali” dai Romani. Il vero motivo era tutt’altro. Vi era un divieto di importazione di spezie dai paesi orientali e per ragioni economiche quindi e non legate alla moralità e al valore effimero del prodotto, nel II secolo a.C., se ne vietò l’importazione.

Dalla casa del Bracciale d'oro di Pompei/ph- Soprintendenza Pompei
Dalla casa del Bracciale d’oro di Pompei/ph- Soprintendenza Pompei

Secondo la morale romana erano beni inutilmente costosi e precedentemente anche filosofi come Socrate ebbero da ridire ritenendo la “profumeria come causa di illusioni. Ma oltre all’uso cosmetico vi erano occasioni davvero speciali in cui i profumi venivano utilizzati per stupire. Diffusa era l’usanza tra ricchi di far cadere dall’alto petali di rosa durante i banchetti, con un effetto scenografico sicuramente da lasciar tutti senza fiato o, durante le rappresentazioni teatrali era in uso profumare i velari con acqua all’essenza di rosa. A diffonderne l’uso nell’Impero fu soprattutto il vetro con cui erano fatti i contenitori e la produzione industriale di balsamari e unguentari contribuì ad abbassare i costi di produzione.

Aspetto che vale ancora oggi: più era preziosa la sostanza contenuta e particolare la forma del contenitore, più alti erano i costi di produzione. Quello che non si sa è che anche Pompei era famosa nell’arte profumiera. Così come ci svelano diverse testimonianze archeologiche, fu particolarmente intensa l’attività commerciale legata a profumi ed unguentari esportati fino a paesi lontani. Già negli scavi del 1750 furono trovate numerose testimonianze sull’uso e la fabbricazione di profumi nella città vesuviana, tanto che queste attività vennero impresse su alcuni cicli pittorici come nella casa dei Vettii.

Dalla casa dei Vettii/Amorini profumieri wikimedia commons
Dalla casa dei Vettii/Amorini profumieri wikimedia commons

Nell’affresco parietale sono raffigurati degli amorini profumieri mentre svolgono all’interno di un’officina specializzata attività come la preparazione dei profumi, la macerazione delle essenze e la vendita del prodotto finale al pubblico. Tra gli strumenti utilizzati si notano un torchio per la preparazione degli oli e dei vasi per macerare; al centro vi è un banco con il ricettario per miscelare le essenze, la bilancia per le dosi e un armadietto con piccoli contenitori che si possono ritrovare in frammenti negli scavi delle città vesuviane. Nella scena è presente anche una fanciulla seduta che odora l’essenza sul dorso della propria mano secondo un’usanza suggerita anche da Plinio in cui si saggia il prodotto sul dorso per evitare che il calore del palmo ne alteri l’odore. L’uso del vetro però sembra essere riservato solo esclusivamente al momento della vendita, perché, pur essendo impermeabili all’aria vi era il rischio che le sostanze si destabilizzassero con la luce. Per evitare il deterioramento i contenitori di vetro venivano conservati all’interno di ulteriori contenitori di metallo e ciò sembrerebbe confermato dalla presenza di malachite e azzurrite, sostanze dovute all’alterazione del bronzo, sulla parete esterna di un unguentario pompeiano. Per maggiori studi su forme e contenuti gli archeologi tendono a non svuotare più i contenitori ritrovati, permettendo così di scoprire altre curiosità su un’attività ancora poco conosciuta come l’arte del profumo.

A Pompei sono stati esaminati circa 1200 balsamari e unguentari in vetro, di cui solo 150 conservano residui, mentre da Oplontis provengono 16 unguentari. La differenza tra questi due centri è che i ritrovamenti di Oplontis provengono dalla Villa Imperiale e le sostanze contenute nelle boccette sono preziose; sono state ritrovate sostanze come l’olio essenziale di Postemon cablin, cioè il patchouli, importato dall’India e il limone, all’epoca ritenuto un frutto esotico.

Ma quale era il profumo in voga al tempo dei Romani? Secondo Plinio il profumo più apprezzato era composto da olio di mirto, calamo aromatico, cipresso, henna, lentisco e scorza di melograno. L’essenza più costosa invece era quella di cinnamomo contenente solo spezie esotiche costosissime, come l’olio di balano, lo xilobalsamo, il calamo aromatico, i semi di giunco profumato, la mirra e il miele profumato.

Non tutti però potevano permettersi profumi costosi e ricercati, quindi, cosa si faceva? Si creavano adulterazioni e falsi! Un uso che ancora oggi si trova con i falsi d’autore, ovvero profumi contraffatti da marchi noti. Anche a Roma vi era questo uso diffuso soprattutto con i balsami orientali. Alcuni profumieri invece di mettere le essenze più preziose a macerare, le spruzzavano solo, risparmiando così sui costi.

 

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Alessandra Randazzo

Studia Lettere Classiche presso il DICAM dell’Università di Messina. Ha ricoperto il ruolo di redattrice e social media manager per www.mediterraneoantico.it e attualmente per la testata Made in Pompei, inoltre è Ufficio Stampa per la società di videogames storici Entertainment Game Apps, Ltd.
Durante la carriera universitaria ha partecipato a numerose campagne di scavo e ricognizione presso siti siciliani e calabresi.
Per la cattedra di Archeologia e Storia dell’arte Greca e Romana presso il sito dell’antica Finziade, Licata (AG) sotto la direzione del Prof. G.F. La Torre, febbraio-maggio 2012; per la cattedra di Topografia Antica presso Cetraro (Cs) sotto la direzione del Prof. F. Mollo, luglio 2013; per la cattedra di Topografia Antica e Archeologia delle province romane presso il sito di Blanda Julia, scavi nel Foro, Tortora (Cs) sotto la direzione del Prof. F. Mollo, giugno 2016.
Ha inoltre partecipato ai corsi di:
“Tecnica Laser scanning applicata all’archeologia” in collaborazione con il CNR-IPCF di Messina, gennaio 2012;
Rilievo Archeologico manuale e strumentale presso l’area archeologica delle Mura di Rheghion – tratto Via Marina, aprile-maggio 2013;
Analisi e studio dei reperti archeologici “Dallo spot dating all’edizione”, maggio 2014; Geotecnologie applicate ai beni culturali, marzo-aprile 2016.
Collabora occasionalmente con l’ARCHEOPROS snc con cui ha partecipato alle campagne di scavo:
“La struttura fortificata di Serro di Tavola – Sant’Eufemia D’Aspromonte” sotto la direzione della Dott.ssa R. Agostino (Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria) e della Dott.ssa M.M. Sica, 1-19 ottobre 2012;
Locri – Località Mannella, Tempio di Persefone sotto la direzione della Dott.ssa R. Agostino (Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria), ottobre 2014;
Nel marzo 2014 ha preso infine parte al Progetto “Lavaggio materiali locresi” presso il cantiere Astaldi – loc. Moschetta, Locri (Rc) sotto la direzione della Dott.ssa M.M. Sica.

Collabora attualmente con la redazione di: www.osservarcheologia.eu

1 COMMENTO

  1. Grazie per l’articolo! Credo tuttavia che l’immagine degli amorini profumieri sia errata. Quella che avete inserito dovrebbe essere quella degli “amorini orefici”. Quella corretta è questa:

    https://www.google.com/search?client=firefox-b-d&tbm=isch&sa=1&ei=mJVlXKP7BNHdwQKQvr7wDQ&q=amorini+profumieri&oq=amorini+profumieri&gs_l=img.3…5797.7266..7682…0.0..0.83.745.10……1….1..gws-wiz-img…….0j0i30j0i8i30j0i24.a_elQrvN_7k#imgrc=VBfQhqn_UPZ8mM:

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