Il mito di Edipo al Museo Egizio del Cairo

Il ritrovamento, il restauro, l’esposizione

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E’ dall’inizio dell’anno che il Museo Egizio del Cairo ha rilanciato il “pezzo del mese”, tradizione da lungo tempo abbandonata che mira a mettere in risalto manufatti provenienti dalle sue preziose collezioni mediante l’esposizione degli stessi all’ingresso dello stabile per un mese. Lo scopo di questa iniziativa è quello di incoraggiare e sviluppare il turismo al museo, dare nuovi impulsi di luce alla sua immagine in modo da incrementare il ruolo importante che già ha nell’economia del paese, e confermarlo ancora una volta il più prestigioso museo egizio del mondo, sempre in movimento e sempre pieno di proposte interessanti. L’idea di donare maggiore visibilità ad alcuni reperti custoditi nelle gallerie del museo era nata all’inizio di questo millennio ed era stata subito attuata, ma l’iniziativa fu interrotta purtroppo nel 2006. Per ripristinare questa abitudine, non c’è che dire, il Museo di Tahrir Square ha iniziato proprio alla grande esponendo per la prima volta in assoluto un capolavoro uscito direttamente dai suoi laboratori di restauro sempre attivi e produttivi. Si tratta dell’affresco di Edipo, opera che risale al II secolo d.C. proveniente dalla necropoli greco-romana di Tuna El-Gebel, il sito archeologico ad ovest di Hermopolis Magna (la città sacra al dio Thoth e, successivamente, anche alla sua controparte greca, Hermes, al quale i greci consacrarono la città), nel governatorato di Minya, Medio Egitto. Nel settore sud della necropoli è presente una serie di tombe a forma di casa, a volte anche disposte su due piani, dove i motivi della mitologia greca si possono trovare ovunque. L’affresco arriva proprio da una di queste tombe, da una porzione di un muro di una casa funeraria datata dagli scavatori al periodo adrianeo, ma probabilmente di età più tarda. Il mito di Edipo è una delle più famose leggende della mitologia greca e nell’affresco si possono riconoscere i tratti salienti del mito secondo la narrazione tramandata dall’antico drammaturgo greco Sofocle, il quale, brevemente, ci ha lasciato in eredità questa storia: “Edipo fu abbandonato dal padre, il re Laio, in seguito ad una nefasta profezia emanata dall’oracolo di Apollo a Delfi, secondo la quale Laio sarebbe stato ucciso dal figlio e questo ne avrebbe poi sposato la moglie. Edipo fu trovato da un pastore che lo portò al re di Corinto, il quale lo crebbe come suo figlio. Edipo, divenuto adulto, lasciò quella che credeva la sua città natale e si scontrò con un uomo che uccise e che non riconobbe essere il suo vero padre. Raggiunse Tebe e la liberò dalla mostruosa Sfinge; la terribile creatura, infatti, avrebbe decimato la popolazione finché qualcuno non avesse risolto il suo famoso enigma: ‘Che cos’è che al mattino cammina su quattro zampe, a mezzogiorno cammina su due e la sera su tre?’ (l’uomo). Edipo divenne il re di Tebe sposando la regina Giocasta, ignaro però di chi veramente fosse. Quando scoprì che non solo aveva ucciso il proprio padre, ma anche sposato sua madre, si tolse la vista e Giocasta si impiccò” (racconto del mito diffuso dal Museo Egizio).

La house-tomb 16, chiamata anche tomba di Edipo per la presenza al suo interno della rappresentazione del suo mito, vanta la più grande e importante collezione di miti greci presenti a Tuna el Gebel: quello di Edipo, infatti, non è il solo ciclo rappresentato; ma è importante sottolineare che è anche un affresco unico nel suo genere. Di fatto, nonostante che le scene del mito si riscontrano altrove, gli episodi scelti per la rappresentazione in questa casa funeraria sono esclusivi tra le opere ad oggi conosciute. Nei suoi 239 cm di lunghezza per 98 cm di altezza la pittura rappresenta due momenti della vita di Edipo; tra queste due scene, sorprendenti sono le tre personificazioni di Agnoia, Zetema e Tebe, identificate da iscrizioni, che rispettivamente rappresentano l’ignoranza, la ricerca e il luogo di nascita di Edipo, nonché la città dove regnò.

Particolare dell'affresco in cui Edipo uccide il re Laio
Particolare dell’affresco in cui Edipo uccide il re Laio

Partendo dalla destra dell’osservatore, vediamo Edipo, vestito di un solo mantello rosso annodato su una spalla, uccidere il padre, mentre una figura femminile, avvolta in una tunica stretta in vita da un mantello arrotolato e annodato sul davanti, solleva le braccia al cielo in segno di orrore per la tragedia che si sta compiendo nella scena precedente. E’ Agnoia quella figura, l’elemento più affascinante di questo affresco, è colei che incarna l’ignoranza; infatti Edipo non sapeva che l’uomo che stava uccidendo fosse il suo genitore. L’effige di Agnoia appare solo un’altra volta nei lavori giunti sino a noi, ma qui è rappresentata in una forma molto diversa. Al centro della scena osserviamo un’altra figura femminile che impersona la città di Tebe; rappresentata come una ninfa spaventata in volto, la sua immagine appare già nel V secolo a.C. in altri lavori, ma la sua raffigurazione qui non corrisponde con le precedenti rappresentazioni, è un unicum, come lo è Agnoia.

Dettaglio dell'affresco in cui Edipo risolve l'enigma della Sfinge
Dettaglio dell’affresco in cui Edipo risolve l’enigma della Sfinge

Segue Zetema, che probabilmente rappresenta la ricerca di conoscenza e di autocoscienza, la cui figura non è riscontrabile altrove. All’estremità sinistra del dipinto, Edipo, vicino ad un arco, è ritratto davanti alla Sfinge mentre ne risolve l’enigma.

L’intonaco dipinto, catalogato con il numero JE 63609, è stato scoperto nel 1934 da Sami Gabra che ne pubblicò gli studi nel 1984; proprio dall’analisi delle foto prodotte dal Gabra lo staff del laboratorio di conservazione del Museo del Cairo è riuscito a capire lo stato in cui versava l’affresco al momento del suo ritrovamento. Anche se era già stato sottoposto a restauro dopo la sua scoperta, la pittura murale necessitava di nuovi interventi di recupero da effettuare con tecniche di conservazione innovative e per la prima volta utilizzate in Egitto. Dopo un esame approfondito delle crepe, della perdita di colore, al tipo di restauro a cui era già stato sottoposto e di ogni altro suo punto debole, i tecnici del laboratorio hanno deciso come intervenire. Si è iniziato con una prima e accurata pulizia effettuata con panni morbidi e spazzole di setola. Strati di carta giapponese imbevuta di Paraloid, una resina acrilica, sono stati successivamente applicati ai lati del dipinto; ogni singolo strato è stato applicato solo dopo la perfetta asciugatura dello strato precedentemente disposto. Una volta terminata questa fase l’affresco è stato girato per il restauro della parte posteriore. Individuati i materiali utilizzati come supporto (in questo caso si trattava di gesso ed una rete metallica) si è stabilita la tecnica migliore da adoperate per rimuovere i materiali apportati senza compromettere le condizioni dell’affresco e successivamente, raggiunto lo strato di malta originale, sono stati applicati due nuovi strati composti da polvere di marmo, calce, sabbia e primer. Terminato il lavoro, l’affresco è stato messo in sicurezza aggiungendo come ulteriore sostegno una leggerissima struttura a nido d’ape in alluminio, chimicamente stabile; la struttura ad alveoli permette infatti di trasferire il peso dell’affresco su ciascuna cella, così da distribuirne uniformemente il peso.

Restauratori all'opera
Restauratori all’opera

A questo punto, la carta speciale che ricopriva la parte anteriore del reperto è stata rimossa e, dopo un’accurata pulizia finale, le crepe sono state riempite fino a lasciare un dislivello di circa un millimetro al di sotto della superficie del dipinto; in questo modo si è resa ben visibile la differenza tra il piano originale ed l’opera di conservazione. L’affresco è stato anche sottoposto ad indagini con un sensore multispettrale, che ha consentito lo studio dei vari strati dei pigmenti, ed alla RTI (Reflectance Transform Imaging) per valutare gli effetti di deterioramento provocati dai trattamenti sui pigmenti stessi. Il processo di conservazione è durato diversi anni ed ora, grazie allo straordinario lavoro firmato dai laboratori del Museo Egizio del Cairo, il reperto, già unico di per sé, ha un valore aggiunto dovuto proprio all’intervento delle maestranze locali, eccellenze egiziane.

Il museo, per questo appuntamento mensile, ha messo in luce non solo questo reperto di straordinaria bellezza, ma un insieme di oggetti che sono al di fuori del classico percorso turistico e che per l’occasione sono stati spostati in modo da donar loro una maggiore visibilità ed evidenziarne i valori artistici e storici. Febbraio dunque ci ha mostrato tre artefatti: con l’affresco di Edipo vediamo una statua portatrice di offerte e un arazzo colorato.
La statua è in legno dipinto e intagliato, ed è stata trovata all’interno della tomba di MeketRa, un’ipogeo dell’XI dinastia (Primo Periodo Intermedio) nella necropoli della riva occidentale di Luqsor, a Deir el Bahari. L’elegante e raffinato reperto è catalogato con il numero d’inventario JE 46725.

Il terzo oggetto scelto dai curatori del Museo Egizio del Cairo è un antico arazzo colorato appartenuto ad un nobile di nome Sennefer, da non confondere però con il più noto proprietario della tomba delle vigne. Qui Sennefer viene rappresentato davanti ad una tavola per le offerte al di sopra della quale è presente un’iscrizione che dice “Osiride, Servitore nel Luogo della Verità, Sennefer”. L’arazzo, un panno di lino bianco dipinto, copriva il più grande dei sarcofagi ritrovati nella DM 1159, la sua tomba nella necropoli di Deir el-Medina, sempre sulla riva occidentale di Luqsor.

Statuina portatrice di offerte XI dinastia
Statuina portatrice di offerte XI dinastia
Arazzo con Sennefer seduto avanti ad un tavolo per le offerte
Arazzo con Sennefer seduto avanti ad un tavolo per le offerte

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                    Credits: Courtesy of Ministry of Antiquities, Cairo, and Egyptian Museum, Cairo. All photos by Angel Rubino and the Conservation Department.

Le immagini ad ultravioletti permettono l'osservazione della variazione e il degrado dei pigmenti
Le immagini ad ultravioletti permettono l’osservazione della variazione e il degrado dei pigmenti
L'affresco agli infrarossi
L’affresco agli infrarossi
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Tiziana Giuliani

Egittofila, sin dall’infanzia appassionata di Antico Egitto, collabora con l’associazione Egittologia.net dal 2010. Ha contribuito alla realizzazione di EM-Egittologia.net Magazine (rinominato poi MediterraneoAntico) seguendone la pubblicazione già dai primi numeri e ricoprendo in seguito anche il ruolo di coordinatrice editoriale. Dal 2018 è capo redattrice di MediterraneoAntico.

Organizza conferenze ed eventi legati al mondo degli Egizi, nonché approfondimenti didattici nelle scuole di primo grado. Ha visitato decine di volte la terra dei faraoni dove svolge ricerche personali; ha scritto centinaia di articoli per la ns. redazione, alcuni dei quali pubblicati anche da altre riviste (cartacee e digitali) di archeologia e cultura generale. Dall’estate del 2017 collabora con lo scrittore Alberto Siliotti nella realizzazione dei suoi libri sull’antico Egitto.

Appassionata di fotografia, insegna ginnastica artistica ed ha una spiccata predisposizione per le arti in genere.

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