Ad ispirare questa mostra è il cinquecentenario della morte di Raffaello Sanzio (Urbino, 1483 – Roma, 1520). Ma il rapido e comodo computo degli anni ci fa intuire facilmente quale fosse il periodo giusto per questa ricorrenza: l’anno 2020. Non serve aggiungere altro.
Il momento è finalmente arrivato e il progetto del Parco Archeologico del Colosseo, curato da Vincenzo Farinella e Alfonsina Russo con Stefano Borghini e Alessandro D’Alessio, è stato presentato alla stampa in un assolato e caldissimo pomeriggio romano. Dal 23 giugno la Domus Aurea ha riaperto ai visitatori offrendo questo straordinario allestimento della Sala Ottagona, che diventa il nuovo accesso all’area archeologica invertendo la direzione di marcia della visita.
La produzione è di Electa che ha curato anche il catalogo, mentre allestimento e interaction design sono dello studio milanese Dotdotdot. Il lighting partner della mostra è Erco.
Cosa lega Raffaello alla Domus Aurea di Nerone?
All’indomani del pauroso incendio che nel 64 d.C. divorò gran parte del centro di Roma, Nerone diede il via alla costruzione di una nuova suntuosa residenza, affidandone il progetto agli architetti Severus e Celer e le decorazioni al pittore Fabullus. La nuova reggia aveva edifici distribuiti tra il Colle Oppio e il Palatino riparati da vigneti, giardini e boschi, con un grande lago nella valle che oggi ospita l’Anfiteatro Flavio.
Tra questi ambienti, tutti riccamente decorati con affreschi, marmi policromi, pietre preziose e oro, ricordiamo la coenatio rotunda, una sala in grado di ruotare su sé stessa con cui l’imperatore amava stupire i suo commensali, e il grande vestibolo che ospitava una statua colossale di Nerone rappresentato come il dio sole.
Lo straordinario complesso neroniano passò alla storia come Domus Aurea, ma nonostante l’incredibile estensione dei suoi edifici e lo sfarzo con cui furono realizzati, cadde presto nell’oblio del tempo. Alla morte dell’imperatore fu depredata degli arredi ed interrata fino all’altezza delle volte, relegando la dorata reggia neroniana a mero supporto per la costruzione di nuovi edifici e se ne perse memoria fino al Rinascimento.
“Raffaello e la Domus Aurea. L’invenzione delle grottesche” sì immerge nel racconto di questa riscoperta portando il visitatore in quelle “grotte” dove Pinturicchio, Filippino Lippi, Giulio Romano, Signorelli, Raffaello ed altri ancora, si calarono affidandosi alla fioca e tremolante luce delle torce, riscoprendo l’originario complesso neroniano ed ammirandone le decorazioni pittoriche. Poco importa se questi artisti credevano di muoversi all’interno delle Terme di Tito, perché ciò che davvero conta è il “bottino” che il loro sguardo attento si è di volta in volta portato via, per ritrovare spazio sulle superfici adeguatamente preparate negli edifici dei committenti, iniziando un percorso artistico che ancora non si è concluso.
L’arte delle grottesche trova infatti una facile sponda nell’irrazionale e fantastico movimento del surrealismo. Il poeta André Breton rimase molto colpito dalla lettura de L’interpretazione dei sogni di Freud e decise che l’inconscio doveva essere maggiormente rappresentato nella civiltà moderna, seguìto in questa riflessione da Guillame Apollinaire e interpretato nelle opere di artisti come Salvador Dalí e Joan Mirò. Uno schiaffo al gusto stereotipato dei classicisti e un passaggio al calore bianco per le anime deteriorate dei moralisti, poste d’innanzi a soggetti ispirati dai personaggi onirici ed irreali delle grottesche.
In alcuni scritti d’arte del 1496 appare per la prima volta il termine “grottesche” per indicare un tipo specifico di decorazioni che si rifanno a quelle osservate e studiate in “grotta” dagli artisti rinascimentali. Ma per mettere a sistema questo tipo di pittura e farne un uso sistematico, dovremo aspettare il secondo decennio del Cinquecento, proprio con Raffaello, che nel 1516 progetta per il cardinal Bibbiena una piccola stanza da bagno privata, detta “stufetta”, al terzo piano del Palazzo Apostolico in Vaticano, proprio accanto alla Loggetta che porta il nome dello stesso cardinale. Entrambi questi ambienti, oggi purtroppo non visitabili, sono decorati da Raffaello “a grottesche” e costituiscono il punto di partenza per il grande ciclo di stucchi e affreschi che l’artista di Urbino realizzerà nelle Logge vaticane tra il 1517 e il 1519.
La mostra, dunque, ha più chiavi di lettura: far rivivere al visitatore la scoperta di un complesso di edifici semplicemente straordinario, dimenticato ormai da secoli; far percepire al visitatore il legame intimo dell’arte con il nostro inconscio, una dimensione che non tiene conto del tempo cronologico e che coinvolge e sconvolge l’uomo antico e l’uomo moderno; mostrare al visitatore come l’uomo, in ogni tempo, abbia ricercato nel passato tracce di quel “sé” collettivo da riproporre nelle declinazioni del presente, presupposti fondamentali per il futuro.
Per poterlo fare anche il visitatore deve calarsi nelle “grotte” come fecero gli artisti del Cinquecento, ma osservando strettamente le vigenti regole in materia di sicurezza! Ad assolvere questo complesso compito ci ha pensato lo studio Stefano Boeri Architetti con la realizzazione di una passerella pedonale da percorrere lentamente guardandosi bene intorno.
Il nuovo accesso alla Domus Aurea è una vera e propria immersione nella storia di Roma ed avviene attraverso una galleria che era parte delle Terme di Traiano e che si immette nella Sala Ottagona della domus neroniana. Al centro l’Atlante Farnese, prestigioso prestito del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, ci attende per farsi leggere a tutto tondo, mentre una serie di ambienti a sviluppo radiale ospitano il racconto di questa esposizione, suddiviso in sezioni.
E poi la volta.
Qui i curatori hanno voluto ricordare un ambiente straordinario, descritto da Svetonio, privo purtroppo di riscontri archeologici e da collocare probabilmente sul Palatino: la coenatio rotunda. In questo ambiente circolare in grado di ruotare su sé stesso Nerone amava stupire i suoi commensali offrendo la vista della volta celeste e, al termine di sontuosi banchetti, una cascata di profumatissimi petali di rosa.
Le immagini a tema astronomico riprodotte sul globo terrestre sorretto da Atlante “esplodono” sulla volta della Sala Ottagona, trasformandola in un cielo notturno senza nuvole e simulando il movimento della coenatio rotunda, che il visitatore può osservare adagiandosi su un divano circolare dallo schienale molto inclinato. E al termine dell’alternarsi di costellazioni e segni zodiacali la pioggia di petali di rosa.
La prima sezione ripropone l’emozione della scoperta. Così come gli artisti del Cinquecento scoprivano animali fantastici, strumenti musicali, palmette seguendo la luce della torcia, anche il visitatore spostandosi nella stanza può generare il medesimo risultato, visualizzandone gli effetti in una proiezione di grande impatto che occupa la parete di fondo.
Nella seconda sezione possiamo osservare il primo utilizzo messo a sistema della pittura a grottesche in una riproduzione multimediale della Stufetta del Bibbiena, la piccola stanza da bagno del cardinal Bibbiena realizzata nel 1516 su disegno di Raffaello. La riproduzione assume ancor più valore per l’impossibilità di visitare questo piccolo spazio privato, non inserito nel percorso di visita dei Musei Vaticani.
Il particolare allestimento multimediale oltre a dare una visione di insieme delle decorazioni, dà la possibilità al visitatore di osservare dei preziosi dettagli grazie a degli opportuni ingrandimenti di parti delle opere raffaellesche.
Il magnifico Laocoonte attende il visitatore nella terza sezione di questa mostra immersiva per raccontare la storia della sua scoperta, avvenuta proprio nei luoghi della domus neroniana. Il reperto in mostra è un calco in gesso, importante prestito di Palazzo Albani di Urbino, alle spalle del quale scorrono con la fluidità del morphing le immagini delle varie copie realizzate nel tempo di questa straordinaria scultura.
Nella quarta e quinta sezione lo studio Dotdotdot, che ha curato l’intero progetto espositivo, mette letteralmente tra le mani dei visitatori una sfera e una semisfera, rossa la prima e blu la seconda.
Grazie alla sfera rossa posta nella quarta sezione è possibile viaggiare alla ricerca dei luoghi dove le grottesche si sono diffuse. Un viaggio che ci porta nell’Alhambra di Granada e più precisamente all’interno del Peinador de la Reina voluto da Carlo V; nelle luminosissime Gallerie degli Uffizi; a Fontainebleau presso la Galleria di Federico I e in altri meravigliosi luoghi dove questo tipo di pittura “all’antica” ha trovato spazio nelle dimore più sontuose.
La semisfera blu installata nella quinta sezione dialoga direttamente con la fantasia del visitatore, consentendogli di ricreare ambienti e scenografie popolate dai soggetti delle grottesche, reinterpretati dagli artisti del Novecento.
Prima di avviarmi verso l’uscita e attraversare l’intero grandioso monumento, dotato adesso di una nuova illuminazione, mi volto indietro per un ultimo coupe d’œil alla Sala Ottagona e rifletto sul percorso multisensoriale interamente digitale che ho appena concluso.
Una storia accattivante che coinvolge e stupisce grazie alla flessibilità di un allestimento geniale, in grado di muoversi nel tempo e nello spazio pur mantenendo la coerenza indispensabile alla storicità dei fatti.
L’Atlante Farnese, l’unica opera antica presente datata al II sec. d.C., abituato a dominare la scena con le sue misure maggiori del vero e il suo portato storico, qui cede spazio alla narrazione facendosi punto di incontro tra l’incorporeità delle istallazioni multimediali e la concretezza degli antichi ambienti neroniani che le ospitano, pur tuttavia senza esserne invasi.