Gli archeologi al lavoro sul sito di Cerro San Vicente. © Universidad de Salamanca
Gli scavi condotti dall’Università di Salamanca presso il sito dell’età del ferro di Cerro San Vicente, iniziati nel 1990, coprono un’area di ca. un ettaro e mezzo. Le indagini effettuate di recente hanno portato alla luce amuleti e ceramica dipinta, i cui motivi iconografici provengono dall’arte egizia o vicino orientale.
Come spiegato dai direttori dello scavo Antonio Blanco-González e Juan Jesús Padilla Fernández, entrambi del Dipartimento di Preistoria, Storia Antica e Archeologia dell’Università di Salamanca, i frammenti ceramici rinvenuti appartengono a un intarsio di ceramica invetriata: unendo i diversi pezzi si compone la parte inferiore della ciocca curva che appartiene alla capigliatura della dea egizia Hathor.
Come racconta Padilla Fernández al quotidiano spagnolo El Pais “Ogni pezzo è stato modellato per adattarsi perfettamente alla sua base di supporto. Poi, con una sorta di resina o adesivo, sono stati incollati in posizione. Attualmente stiamo analizzando il pezzo nel nostro laboratorio per vedere se ci sono tracce di questa colla ancora sulla superficie interna, per determinare che tipo di resina è stata utilizzata”.
I frammenti ceramici erano stati collocati deliberatamente tra le pareti di una grande sala rettangolare, precisamente tra i blocchi di adobe, impasto composto di argilla, sabbia e paglia essiccata all’ombra, e la malta di fango. Insieme a questi frammenti, sono stati trovati un dente di squalo, un pezzo di anfora decorata con motivi floreali in blu egizio e una collana di perle. Tra le domande degli archeologi c’è la motivazione della presenza di Hathor in questo sito: già nel 2021 era stato portato alla luce un amuleto in faïence blu raffigurante la dea. Le ipotesi oscillano tra la presenza di una delegazione fenicia, che avrebbe portato il manufatto come dono o per commercio, e la possibilità che alcuni abitanti si fossero dedicati a culti e riti dell’area vicino orientale.
Hathor, una dea dai molteplici ruoli.
Sebbene la più antica testimonianza di un culto di Hathor risalga al regno di Djedefra (IV dinastia), un’incisione su avorio a forma di vacca della I dinastia porta l’iscrizione “Hathor nelle paludi della città di Dep di re Djer”. Il legame di Hathor con la vacca è forse da connettersi alle due dee vacca Mehet-Weret e Bat, la prima inondazione del Nilo, la seconda spirito femminile. In forma antropomorfa, Hathor indossa copricapo con disco solare e corna bovine curve.
Essendo “Signora del Sicomoro”, la dea può essere rappresentata anche nelle sembianze di questo albero. Secondo l’analisi di Susan Tower Hollis, l’origine di Hathor, che letteralmente significa “dimora di Horus” (Ḥwt Ḥr), proviene dal luogo di acclamazione del nuovo sovrano/Horus (ḥwt Ḥr) per poi iniziare il processo di deificazione all’inizio della IV dinastia, mentre già al tempo di Menkaura (seconda metà IV din.) il passaggio sembra essere completo. Ciò andrebbe spiegato con una modifica nella relazione tra i sovrani e il dio-Sole Ra: se nella IV dinastia i sovrani sono diretta emanazione del dio, nella V essi diventano suoi figli. In questo senso Hathor, essendo dimora di Horus/nuovo sovrano, e quindi “contenendo” il re, ne diventa la madre. La dea è allora, secondo questo schema, sposa di Ra e madre di Horus. La connessione di Hathor con la regalità dalla metà della IV alla VI dinastia è anche evidente nei titoli delle sacerdotesse: diminuiscono quelli che officiano per Neith e per Hathor e aumentano quelli in favore di quest’ultima. Hathor è anche figlia di Ra nella sua manifestazione di “Occhio”: nel mito de La distruzione dell’umanità, in quanto “Occhio di Ra”, la dea scende sulla terra nella sua forma leonina di Sekhmet per distruggere gli esseri umani.
Per quanto riguarda la presenza di Hathor nel mondo funerario, la sua menzione nei Testi delle Piramidi è piuttosto scarna, per cui sembrerebbe che durante l’Antico Regno non sia particolarmente legata all’aldilà, mentre pare avere un ruolo rilevante nei Testi dei Sarcofagi. Tuttavia, secondo Hartwig Altenmüller, Hathor nel mondo funerario dell’Antico Regno ha invece una funzione molto importante: è colei che accoglie il sovrano nell’aldilà ed è connessa ai letti funerari, simbolo di rinascita. Leo Roeten associa Hathor alla rinascita sia nella sua forma di vacca celeste sia durante il rituale dello ššš wḏ3, ovvero il tintinnio del papiro utilizzato fin dalla IV dinastia.
Durante questo rituale, il defunto chiama Hathor che emerge dai ciuffi dei papiri per accoglierlo nell’aldilà. Il tintinnio ricorda il suono del sistro, strumento collegato alla dea a partire dalla VI dinastia, che le varrà poi il legame con la musica e l’ebbrezza.
Una caratteristica che appartiene solo ad Hathor è quella della connessione con la navigazione, che si evincerebbe sia dall’epiteto di “Signora della Barca” che la dea porta accompagnando Ra e il defunto della Barca Solare, sia dal movimento dei corpi celesti con un legame con Mehet-Weret, “via tortuosa navigabile” attraverso la quale si muovono il sole, la luna e i pianeti che attraversavano il cielo. Questa correlazione originerebbe, secondo Tower Hollis, nel legame con la Vacca Celeste alla quale si rivolgevano i primi pastori nel loro vagare con il bestiame. Hathor è anche la Signora delle Terre Straniere legata in modo particolare a Punt e Biblo. E a Biblio è venerata come “la Signora di Dendera che vive in Biblo”, protettrice dei marinai e della navigazione. Hathor è anche “la Signora della Turchese”, essendo la patrona della zona del Sinai nella quale si estraeva il minerale.
Successivamente Hathor è dea dell’amore, della fertilità, della sessualità e del parto.
Fonti:
Altenmüller, H.: Zum Ursprung von Isis und Nephthys, in Altägyptischen Kultur 27 (1999), pp. 1-26.
Münster, M.: Untersuchungen zur Göttin Isis vom Alten Reich bis zum Ende des Neuen Reich, in Münchner Ägyptologische Studien 11, Berlin 1968.
Roeten, L.: Loaves, Beds, Plants and Osiris. Considerations about the emergence of the Cult of Osiris, Oxford 2018.
Tower Hollis, S.: Hathor and Isis in Byblos in the Second and First Millennia BCE, in Journal of Ancient Egyptian Interconnections 1/2 (2009), pp. 1-8.
Tower Hollis, S.: Five Egyptian Goddesses. Their Possible Beginnings, Actions, and Relationships in the Third Millennium BCE, Great Britain 2020.