Nove anni fa, la città di Palmira subiva un devastante attacco da parte delle forze del califfato di Daesh, che nella sua avanzata in Siria raggiunse questo straordinario sito patrimonio UNESCO e decise, deliberatamente, di distruggere con l’esplosivo gran parte dei monumenti della città. In uno dei più commoventi e strazianti episodi di quei giorni terribili trovò la morte Khaled al-Asaad, archeologo e scrittore siriano rimasto a Palmira e catturato dai miliziani dell’Isis. Secondo quanto riferito dai media internazionali, nonostante le torture subite il coraggioso studioso si rifiutò di rivelare la posizione di diverse opere d’arte che erano state preventivamente nascoste, salvandole a costo della vita e di un’orribile morte.

Khaled al-Asaad

Da anni MediterraneoAntico è vicino a Palmira e ai suoi custodi, tra cui i figli di al-Asaad e l’ultimo Direttore al Turismo di Palmira, Mohamed Saleh, costretti a rifugiarsi in Germania in quei terribili giorni. È dunque con grande forza e coinvolgimento emotivo che MA unisce oggi la sua voce a quella di numerosi accademici e testate internazionali nel rilanciare un appello che, nelle ultime settimane, è stato lanciato dalle pagine del Bulletin of ASOR (American Society of Overseas Research) da parte di Maamoun Abdulkarim e Jacques Seigne. I due studiosi, che hanno condotto in seguito alla liberazione della città uno studio diretto delle rovine superstiti alla furia iconoclasta del califfato, hanno sottolineato l’assoluta necessità di procedere a dei lavori di restauro e conservazione di quello che forse è il simbolo principale di Palmira: il Tempio di Bel.

Il Tempio di Bel a Palmira

Ma perché proprio il Tempio di Bel? E perché la città di Palmira dovrebbe avere un valore simbolico superiore a tanti altri siti archeologici vittime delle distruzioni?

Naturalmente, non può esistere una “classifica di sacrificabilità” quando si parla di patrimonio culturale, ma è indubbio che il valore simbolico di alcuni siti archeologici travalichi i semplici criteri di importanza scientifica. La città di Palmira, “ultima città d’Oriente e prima città d’Occidente”, è uno di questi incredibili luoghi simbolici. Nata attorno a un’oasi nel Deserto Siriano circa 2.000 anni prima di Cristo, ha sostanzialmente mantenuto il suo nome attraverso i 4 millenni della sua esistenza: l’originale nome aramaico “Tadmor”, oltre a sopravvivere nell’attuale toponimo arabo del centro abitato (“Tadmur”), è anche la base del suo nome più celebre, “Palmyra” appunto, affibbiatole dai greco-macedoni Seleucidi, che tradussero nella loro lingua il termine aramaico, che intuitivamente significava “palma”/”città delle palme”, a causa della sua natura di oasi.

Veduta della città di Palmira

Già citata in testi cuneiformi anatolici, paleo-babilonesi e assiri come città commerciale, fu con l’arrivo di Alessandro Magno e la creazione in oriente della monarchia ellenistica di Seleuco I che la città assunse un ruolo strategico di primo piano: divenendo di fatto autonoma e indipendente da qualsiasi controllo, assunse il ruolo di cerniera tra i circuiti commerciali mediterranei e quelli mesopotamici; da essa passavano tutte le carovane che, attraversando il deserto, mettevano in contatto diretto questi due mondi. Il suo momento di massima gloria e fama, tuttavia, giunse nel corso del III secolo d.C., quando l’Impero Romano attraversò quel caotico periodo di anarchia militare che lo condusse a un passo dalla distruzione. All’epoca la città, a cavallo tra i due grandi imperi romano e partico, era formalmente indipendente ma strettamente legata a Roma, quando in seguito a un complotto fu la regina Zenobia a prendere il potere. Approfittando del periodo di debolezza dei Romani, essa proclamò nel 268 d.C. la secessione di gran parte delle province orientali da Roma, formando un grande regno che si estendeva dal Nilo al Mar Nero, e aveva Palmira come capitale.

Estensione del Regno di Palmira. Credits to Lastoriaviva.it

La gloria durò ben poco: il neo-eletto imperatore Aureliano invase i domini di Zenobia e, nel 272, annesse nuovamente tutti i territori a Roma. Tuttavia, il ricordo di quell’esperienza rimase indelebile, e alimentò leggende e racconti per i secoli a venire; per fare un solo esempio, nel 1813 Gioacchino Rossini scrisse un’opera per l’apertura della stagione teatrale alla Scala, il cui titolo era… “Aureliano in Palmira”! Il destino della città, tuttavia, era ormai segnato: in seguito a una ribellione, Aureliano ne permise il saccheggio e ne fece abbattere le mura, sancendo di fatto la fine del suo splendore e l’inizio di un brusco declino, che trasformò la gloriosa “Sposa del Deserto” prima in una città-guarnigione delle legioni romane, e poi in un semplice centro carovaniere. Essa continuò ancora a vivere della gloria passata per qualche secolo e sopravvisse alla caduta dell’Impero Romano, ma con la conquista araba cadde definitivamente in rovina.

Le rovine della città di Palmira, ancora in gran parte precarie nonostante la riapertura del sito ai turisti

I suoi straordinari resti archeologici, antichissimi, multiculturali e in gran parte in ottimo stato di conservazione, costituiscono da ormai oltre tre secoli uno dei principali punti d’attrazione storico-archeologica in Siria e in tutto il Medio Oriente, oltre che il simbolo della possibile e fruttuosa comunione tra Occidente e Oriente. Proprio per questo è stata tragicamente vandalizzata, proprio per questo è un simbolo che sarebbe triste perdere. Per questo motivo il Tempio di Bel, uno dei siti simbolo della città, è stato sottoposto all’indagine di Abdulkarim-Seigne, cui ha fatto seguito l’appello che riportiamo. La struttura, inaugurata nel 32 d.C. e centro religioso della vita della città, è stato fino ai vandalismi uno degli esempi meglio conservati di struttura templare antica; oggi, è vittima non solo dei danni inflitti dai terroristi, ma anche della mancanza di un immediato restauro. La situazione dei resti, infatti, è talmente precaria da costituire un rischio non solo per la sopravvivenza stessa dell’edificio, ma anche per l’incolumità di eventuali visitatori. Urgono al più presto interventi cospicui e mirati, e noi di MediterraneoAntico ci uniamo al coro di voci che rilancia questo importante appello.

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Giulio Vignati

Nato nel 1997, grande appassionato di storia antica e storia in generale, frequenta il Liceo Classico a Milano diplomandosi nel giugno del 2016. Si iscrive poi al corso di laurea in Lettere con indirizzo Antichista presso l’Università degli Studi di Milano, laureandosi nell’ottobre del 2019 con una tesi in Epigrafia Latina dal titolo “Gli equites nella documentazione epigrafica di Brixia”. Passa poi al corso di laurea magistrale in Archeologia presso la medesima università, specializzandosi in storia e archeologia del Vicino Oriente Antico e conseguendo la laurea con una tesi di ambito vicino-orientale dal titolo “Produzione e circolazione di manufatti d’argento tra Anatolia e Mesopotamia Settentrionale durante il Bronzo Medio”. Dal 2020 è membro della missione italiana in Turchia PAIK, che scava presso l’antico sito anatolico di Kaniš/Kültepe, e della missione italiana nel Kurdistan Iracheno MAIPE, che scava presso gli antichi siti di Tell Aliawa e Tell Helawa, partecipando alle operazioni di scavo, documentazione e post-scavo di entrambi i progetti.
 

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