Oltre 3500 anni fa, nel cuore della penisola anatolica (attuale Turchia), nasceva e rapidamente di espandeva a macchia d’olio uno dei più grandi regni della storia del Vicino Oriente: l’Impero degli Ittiti. Di origine indoeuropea, il popolo Ittita aveva tempo prima abbandonato i Balcani e attraversato il Mar Nero, venendosi a insediare nelle ricche e fertili valli delle montagne dell’Altipiano Anatolico, accanto a molte altre popolazioni, sia di origine indoeuropea come i Luvi, sia di origine asiatica, come gli Hatti. Alla metà del II millennio a.C., agli ordini di alcuni grandi re conquistatori (Anitta, Labarna, Hattusili e Mursili), gli Ittiti estesero il loro dominio su tutta l’Anatolia centro-orientale, su parte di quella occidentale, e poi giù a sud-est, oltre il Tauro, in Siria settentrionale e nel Levante, arrivando a saccheggiare Babilonia in Mesopotamia e, più avanti, a contendersi il controllo dei piccoli regni libano-palestinesi con i grandi faraoni egizi.

L’ascesa così rapida e il dominio su un territorio così vasto, tuttavia, ebbero sempre il loro prezzo: al di fuori del cuore del regno, le decine di popolazioni diverse che componevano l’Impero mantennero la propria lingua, le proprie tradizioni religiose e culturali. Inoltre, in molti casi, esse si rivelarono più pronte alla ribellione che alla compatta difesa del loro sovrano in caso di guerra aperta con nemici potenti. Persino la corte imperiale, nella grande capitale Hattusa, era nota per essere il peggior covo di intrighi e congiure di tutto il Vicino Oriente. L’enorme varietà culturale dei sudditi Ittiti, dunque, fu sempre uno dei principali talloni d’argilla del gigantesco impero. Eppure, questa straordinaria situazione di convivenza di culture e tradizioni, spesso imparentate tra loro ma sempre più o meno divergenti, risulta estremamente interessante per gli studiosi moderni per la sua ricchezza. E proprio nella grande capitale dell’Impero è stata appena fatta una nuova, importantissima scoperta: una tavoletta cuneiforme con testimonianze di un’antichissima lingua sconosciuta.

Hattusa: la trincea di scavo da cui è stata recuperata la tavoletta. Credits to Deutsches Archaeologisches Institut

Rinvenuta nel corso dell’ultima campagna di scavo condotta dal Deutsches Archaeologisches Institut, sotto la direzione ormai decennale di Andreas Schachner, la scoperta di questa tavoletta è un perfetto esempio del variegato panorama dipinto poco sopra. Come spesso accadeva, gli Ittiti erano molto attenti e curiosi nel registrare tutti i differenti rituali religiosi presenti nei loro territori, spesso corredati dalle formule di preghiera in lingua originale. E proprio all’interno di un testo rituale, scritto in caratteri cuneiformi ittiti, è stato tramandato un verso di (probabilmente) una preghiera, scritto in una lingua fino ad oggi ignota. Una scoperta di enorme valore, ma non del tutto inaspettata, come spiega il prof. Daniel Schwemer, filologo responsabile dello studio dei testi emersi dagli scavi: gli Ittiti, infatti, avevano un grande interesse per l’identificazione e la registrazione delle lingue straniere.

Ma cosa si sa, al momento, riguardo questa lingua? Tanto per cominciare, non c’è dubbio che si tratti di una lingua indoeuropea, del ramo anatolico (e imparentata perciò abbastanza da vicino con Ittita e Luvio). L’area in cui veniva parlata è stata identificata nella marca nord-occidentale del regno ittita, nella regione costiera del Mar Nero a metà strada tra le moderne Istanbul e Ankara (Distretto di Gerede). Nonostante questo, secondo la prof.ssa Elisabeth Rieken, specialista della Philipps Universität Marburg, essa mostrerebbe segni di parentela più stretta con le lingue del sud dell’Anatolia (dialetti luvii) che con quelle del nord (Ittita e Palaico). E per quanto riguarda il contenuto? Al momento, ancora nulla di sicuro può essere affermato: è probabile, come già detto, che si tratti di un passaggio di un inno religioso o di una formula rituale, ma il testo è al momento intraducibile.

cartina che mostra le principali aree linguistiche dell’Anatolia Ittita: in verde l’area di Kalašma. Immagine rielaborata da Wikipedia

In attesa di nuove scoperte epigrafiche che aumentino il materiale a disposizione, facilitandone la decodificazione, la lingua è stata battezzata “Lingua di Kalašma”, dal nome della piccola entità politico-culturale alla cui area d’insediamento è stata attribuita.

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Giulio Vignati

Nato nel 1997, grande appassionato di storia antica e storia in generale, frequenta il Liceo Classico a Milano diplomandosi nel giugno del 2016. Si iscrive poi al corso di laurea in Lettere con indirizzo Antichista presso l’Università degli Studi di Milano, laureandosi nell’ottobre del 2019 con una tesi in Epigrafia Latina dal titolo “Gli equites nella documentazione epigrafica di Brixia”. Passa poi al corso di laurea magistrale in Archeologia presso la medesima università, specializzandosi in storia e archeologia del Vicino Oriente Antico e conseguendo la laurea con una tesi di ambito vicino-orientale dal titolo “Produzione e circolazione di manufatti d’argento tra Anatolia e Mesopotamia Settentrionale durante il Bronzo Medio”. Dal 2020 è membro della missione italiana in Turchia PAIK, che scava presso l’antico sito anatolico di Kaniš/Kültepe, e della missione italiana nel Kurdistan Iracheno MAIPE, che scava presso gli antichi siti di Tell Aliawa e Tell Helawa, partecipando alle operazioni di scavo, documentazione e post-scavo di entrambi i progetti.
 

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