Il Museo Egizio apre una nuova sala dove affronta e racconta del più grande generatore di cultura di tutti i tempi: la morte. Ma attenzione: qui siamo nell’antico Egitto e possiamo parlare di morte solo raccontando la vita! Non ci dobbiamo stupire quindi se il luogo che ospiterà in modo permanente 91 mummie – sei delle quali esposte – porta il nome di: Alla ricerca della vita.

L’ingresso della nuova sala al termine dello spazio dedicato a Deir el-Medina. Una chiara indicazione informa il visitatore che all’interno sono esposti resti umani. Credits: Museo Egizio.

Ma andiamo per ordine.

Il Museo possiede un cospicuo numero di resti umani, in gran parte acquisiti durante le attività di scavo della Missione Archeologica Italiana in Egitto diretta da Ernesto Schiaparelli. Reperti archeologici quindi, ma che necessitano di un’attenzione particolare. Un corpo mummificato è tante cose assieme, ma soprattutto è ciò che resta di una persona e non sono sufficienti i consueti metodi applicati ai reperti come il restauro e la conservazione per poterli valorizzare in una teca. E una corretta gestione dei resti umani prescinde da un eventuale progetto espositivo, perché è dovere di ogni istituzione prendersene cura anche e soprattutto durante la loro permanenza nei depositi, facendo riferimento a delle precise linee guida riconosciute ormai dell’intera comunità internazionale.

Con l’apertura di “Alla ricerca della vita” il Museo Egizio ha fatto molto di più del necessario, riunendo in un unico spazio la struttura conservativa e la sede espositiva, al termine di una lunga e complessa riflessione di respiro internazionale che ha coinvolto gli studiosi delle varie discipline interessate da questo aspetto dell’archeologia.

Potremmo dire che non è cosa ma è come. Non possiamo infatti limitarci ad osservare cosa è stato fatto in questo nuovo spazio, ma è necessario capire come è stato fatto, per dare un senso alla scelte che hanno portato al risultato finale.

Fin dal riallestimento del 2015 il Museo Egizio ha voluto sottolineare la presenza di resti umani presenti lungo il percorso espositivo con un’apposita segnaletica, chiedendo ai visitatori di assumere un comportamento adeguato e rispettoso una volta giunti in prossimità. Allo stesso tempo ha avviato una lunga campagna di restauro e di indagini scientifiche estesa alle mummie animali, avvalendosi nel tempo anche di professionalità esterne di alto profilo e di enti di ricerca come l’Eurac Research di Bolzano, responsabile della celebre quanto delicata mummia dell’uomo di Similaun.

Un’infografica informa il visitatore sull’evoluzione della sepoltura nel corso dei millenni. Molti dei dati inseriti sono stati ricavati dalle indagini realizzate durante lo studio e l’allestimento di questa sala. Credits: Paolo Bondielli.

Grazie alla raccolta di questi preziosi dati scientifici è stato possibile risalire ad alcuni aspetti importanti per ciascuna delle mummie esaminate, come il genere, l’età, il tipo di lavoro svolto e quindi lo stato sociale a cui apparteneva il defunto, ma anche le patologie che lo hanno afflitto in vita e, in qualche caso, lo hanno portato alla morte. Le indagini diagnostiche hanno consentito di sbendare virtualmente le mummie, potendo verificare, tra le altre cose, la presenza di amuleti all’interno del corpus delle bende.

Il confronto continuo su come l’archeologia e la museologia si debbano rapportare ai resti umani ha dato vita ad una conferenza internazionale suddivisa in più sedi: il Parco Archeologico di Pompei, presso il quale sono custoditi centinaia di calchi in gesso che contengono i resti di chi trovò la morte nell’eruzione del 79 d.C., Napoli e il Museo Egizio.

Oltre al necessario confronto tra gli esperti del settore, il Museo Egizio ha voluto coinvolgere in questa riflessione anche i propri visitatori, commissionando all’agenzia Quorum un sondaggio sul tema dell’esposizione dei resti umani. L’indagine è stata strutturata in modo molto articolato, intervistando una parte dei visitatori al termine della visita e chiedendo ad altri di rispondere “in remoto” grazie ad un sondaggio online. Per completare l’indagine sono stati creati due focus group, formati da chi non aveva ancora visitato il museo dopo il riallestimento del 2015 e chi invece lo aveva visitato.

Il dato più interessante uscito da questo sondaggio, oltre ad un generale e marcato apprezzamento per il modo in cui il Museo ha esposto i resti umani, è la trascurabile percentuale di coloro che si sentono attratti dalle mummie egizie semplicemente per una fascinazione morbosa. Un buon punto di partenza per gli studiosi del Museo, che sanno di poter contare su visitatori consapevoli ed informati.

La nuova sala apre al pubblico dopo questa lunghissima serie di riflessioni e ogni dettaglio ne è una conseguenza diretta: dalla tecnologia utilizzata per la conservazione dei resti umani, basata sui più alti standard del settore, alla tecnologia applicata all’esposizione vera e propria.

E si arriva così alla narrazione, a ciò che il visitatore “vede” percorrendo il corridoio che avvolge in un abbraccio ideale il “deposito”, simile per certi versi ai corridoi delle tombe egizie e qui occorre dare una risposta a una domanda tanto ricorrente quanto importante: gli antichi egizi erano davvero così ossessionati dalla morte?

Uno scorcio del primo corridoio della sala, al termine della quale ci si reimmette nello spazio dedicato a Deir el-Medina per attraversarlo ed accedere al meraviglioso corredo funerario di Kha e Merit. Credits: Paolo Bondielli.

Le genti che hanno vissuto lungo le sponde del grande fiume Nilo erano ossessionati semmai dalla vita e lo erano a tal punto da desiderarne un’altra, del tutto simile, nell’aldilà. Gli stessi termini legati alla morte rispecchiano questo principio, per cui la necropoli era il “Bell’Occidente”, il sarcofago “Il Signore della Vita” e la morte era equiparata ad un sonno da cui era possibile risvegliarsi grazie alla magia e alla potenza di riti appropriati.

La morte colpisce l’uomo come un fascio di luce colpisce un prisma, scindendo in più parti ciò che prima era un intero. I principi spirituali abbandonano il corpo e cominciano un percorso di trasfigurazione verso la nuova vita, al temine del quale dovranno ritrovare integro il “supporto originario”, il corpo, reso incorruttibile dalle abili mani degli imbalsamatori e dalla potenza magica dei testi sacri recitati da un sacerdote.

Questo è il senso della mummificazione. Niente di morboso e tetro, di sinistro e spaventevole, ma il desiderio di risvegliarsi da quel particolare sonno e far scorrere la propria vita in eterno, come fa il Nilo da “milioni di anni”.

Torniamo alla nuova sala il cui nome adesso dovrebbe apparirci del tutto appropriato: “Alla ricerca della vita”. Qui si raccontano sei storie che compongono l’intero di una vita lunga due millenni, dove la cronologia rispettata è quella dell’età degli individui, dal più giovane al più vecchio, tralasciando quella relativa all’epoca in cui hanno vissuto. L’evoluzione delle sepolture è raccontata in una tavola cronologica molto intuitiva, con un’infografica chiara e leggibile anche nell’alternanza di buio e luce che la dinamica espositiva prevede.

Nel tratto iniziale del primo corridoio alcuni bambini osservano ed ascoltano con grande attenzione. Credits: Paolo Bondielli.

Le sei postazioni sono del tutto identiche, con un grande schermo rettangolare su cui gira in loop un video informativo, completato da un racconto vocale e dalla visione dei resti umani composti all’interno di una vetrina, resi visibili al momento opportuno del racconto.

L’audio è di grande qualità e di tipo direzionale: ponendosi sotto gli altoparlanti nel luogo indicato da un’apposita grafica ci si isola del resto dei rumori di fondo per un ascolto ottimale.

Sul sito del Museo Egizio vengono riproposti i video che il visitatore può vedere nei sei monitor predisposti lungo il percorso. Sarà sufficiente seguire questo link: https://museoegizio.it/esplora/notizie/il-24-giugno-2021-apre-il-nuovo-spazio-permanente-alla-ricerca-della-vita/

Nel primo corridoio è presente il feto di un bambino che fu deposto in un apposito contenitore in legno, datato al 1550-1450 a.C., che ci pone di fronte alla drammatica delicatezza della vita nascente, un fase della vita che anche l’uomo moderno affronta con grande preoccupazione. Poco oltre è l’infanzia, racchiusa in un sudario di grande pregio realizzato per un infante di circa 4-5 anni, probabilmente di sesso maschile. La datazione fa risalire il suo periodo di vita all’epoca Tolemaica e l’esecuzione accurata del processo di imbalsamazione lo colloca in una famiglia particolarmente agiata, probabilmente già avviato ai primi gradi di istruzione.

Meres, una giovinetta di età compresa tra gli 11 e i 13 anni vissuta più di 4000 anni fa. La TAC ha mostrato un amuleto posto tra le bende a protezione della giovane, che doveva appartenere ad un ceto sociale elevato. Credits: Paolo Bondielli.

Spostandoci un poco in avanti incontriamo Meres, una giovinetta di età compresa tra gli 11 e i 13 anni, che ebbe il suo tempo all’incirca nel 2100 a.C. Il suo corpo è adagiato su un fianco, com’era in uso all’epoca e presenta ancora la maschera funeraria in cartonnage, suggerendo, assieme alla qualità della mummificazione, l’appartenenza ad un elevato ceto sociale. Purtroppo il sarcofago costruito per proteggerla non ci è pervenuto, ma la TAC ha mostrato un amuleto ancora in loco, sistemato tra le bende perché si prendesse cura di lei nelle fasi più delicate di questo passaggio.

Nel secondo corridoio, più breve e perpendicolare al primo, un’infografica di semplice lettura offre una visione generale dell’evoluzione delle sepolture negli oltre tre millenni di storia della civiltà egizia, fornendo al visitatore molti dati utili ad una più ampia comprensione di questo aspetto della vita quotidiana egizia.

Un dettaglio dell’infografica che informa il visitatore sull’evoluzione delle sepolture nel corso dei secoli. Credits: Paolo Bondielli.

A questo punto, dalla penombra dei corridoi, si sale per raggiungere il luminosissimo roof garden vivendo l’esperienza di un’inaspettata “uscita al giorno”, per la visione di un video che è parte integrante dell’esposizione e completa l’infografica di cui si è appena detto.

Al termine del video si torna di nuovo in sala, nel terzo corridoio parallelo al primo, perché ci attendono ancora altri aspetti della vita: la piena giovinezza, l’età adulta e la maturità.

Il roof garden. Credits: Paolo Bondielli.

Accoglie il visitatore il medesimo sistema informativo, con i grandi monitor che forniscono informazioni e l’audio direzionato nel punto giusto, che ci racconta adesso di una giovane donna di cui si ignora il nome, vissuta intorno al II sec. a.C. Le indagini diagnostiche hanno indicato datazioni diverse per la mummia ed il sarcofago: la prima risale al II sec. a.C. mentre il secondo al V sec. a.C. In questi casi non è semplice capire il motivo per cui le datazioni non coincidono: potremmo trovarci di fronte ad un riuso già in antico del manufatto ligneo oppure all’azione di un uomo moderno, che ha semplicemente adagiato in un sarcofago vuoto un corpo mummificato che ne era sprovvisto.

Nel secondo corridoio troviamo la mummia di una giovane donna ed il sarcofago con cui giunse a Torino inserita nella collezione Drovetti. Grazie alle indagini scientifiche si è scoperto che il sarcofago e i resti umani appartengono ad epoche diverse. Credits: Museo Egizio.

Un lieve indizio lo possiamo ricavare ancora una volta dalla mummificazione, eseguita in modo molto accurato con l’asportazione delle viscere e il cuore – ritenuto sede dell’intelletto – ancora al suo posto. È probabile che una famiglia di un ceto sociale così elevato abbia voluto per la propria figlia un sarcofago nuovo e non di reimpiego, avvallando in questo caso la seconda ipotesi.

La quinta storia ci racconta di un uomo che ha raggiunto il vertice della complessa macchina amministrativa egizia, il visir, nominato direttamente dal faraone a cui solo doveva rispondere.

Si tratta di Imhotep, vissuto durante il regno di Thutmosi I, la cui tomba fu ritrova nella Valle delle Regine da Ernesto Schiaparelli e Francesco Ballerini, purtroppo già depredata in antichità. I pochi reperti sopravvissuti all’ingordigia devastante dei ladri sono stati tuttavia in grado di raccontarci parte della storia di questo importantissimo funzionario deceduto intorno ai 40 anni, che nel primo ventennio del XV sec. a.C. ha gestito per conto del re un potere immenso.

Le iscrizioni su alcuni reperti ritrovati nella tomba di Imhotep hanno consentito di ricostruirne in parte la storia. Credits: Paolo Bondielli.

Chiude l’esposizione un’altra donna, questa volta di cinquant’anni. La datazione al radiocarbonio la colloca nella XXII dinastia, approssimativamente tra il 945 e il 712 a.C. ed i consueti esami condotti sulla mummia ci riportano ancora una volta ad una classe agiata, anche se non è stato possibile darle un nome e collocarla in una località del territorio egiziano. La comparazione con altri reperti simili indicherebbe Tebe come suo luogo di provenienza, ma è un’informazione troppo debole per farne anche solo un indizio.

L’aspettativa di vita in epoca faraonica poneva i cinquant’anni come un’età ragguardevole e probabilmente questa donna aveva già terminato la fase produttiva, qualsiasi essa fosse, sapendo di poter contare sui figli per il proprio sostentamento.

La nuova sala è posta al primo piano del Museo Egizio e si raggiunge dopo aver visitato la sezione dedicata a Deir el-Medina, il villaggio che per mezzo millennio ospitò gli artigiani che realizzarono le tombe della Valle dei Re e delle Regine. Probabilmente la scelta dello spazio espositivo è stata dettata dalle possibilità che il palazzo del Collegio dei Nobili poteva offrire, ma sembra essere collocato al posto giusto.

Dopo un’immersione nella vita quotidiana di un gruppo di uomini incaricati di fornire le dimore eterne ai sovrani del Nuovo Regno, il visitatore si trova a riflettere sui temi della vita ultraterrena seguendo un preciso percorso scientifico. Le nozioni che si acquisiscono grazie all’apparato tecnologico sono importantissime perché ci avvicinano a quegli uomini antichi più di quanto ci potremmo aspettare, scoprendo con stupore di condividere con loro le stesse tensioni emotive, le stesse paure, le stesse speranze.

Al termine di questo percorso alla “ricerca della vita” si esce con un’immagine diversa dell’uomo egizio che va ben oltre lo stereotipo con cui ce lo ha consegnato Erodoto. Lo sforzo prodotto per allestire la propria tomba che tanto stupiva lo storico di Alicarnasso non aveva nulla a che fare con la morte, perché gli antichi abitanti della Valle del Nilo avevano capito che c’era un solo modo per sconfiggerla: viverla.

 

SCHEDA TECNICA:

Progetto scientifico
Christian Greco, Paolo Del Vesco, Federica Facchetti, Susanne Töpfer

Ideazione e progetto architettonico-allestitivo
Enrico Barbero

Collection Management
Marco Rossani, Valentina Brambilla, Valentina Turina, Roberta Accordino

Conservazione e analisi
Sara Aicardi, Valentina Turina

Project manager
Virginia Cimino

Progetto grafico
Piera Luisolo

Progetto multimediale
Paolo Barbieri (Promediabox)

Contenuti digitali
Robin Studio

Allestimento multimediale
Acuson

Partner scientifico
EURAC Research – Institute for Mummy Studies

Consulenti progetto
Giancarlo Gonnet (Studiogonnet S.r.l.), Andrea De Zan, Davide Sorrentino (MCM Ingegneria S.r.l.)

Realizzazione
Agrogreen S.r.l., C.I.E.M. S.a.s.

Con il sostegno e il contributo della Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino

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Paolo Bondielli

Storico, studioso della Civiltà Egizia e del Vicino Oriente Antico da molti anni. Durante le sue ricerche ha realizzato una notevole biblioteca personale, che ha messo a disposizione di appassionati, studiosi e studenti. E’ autore e coautore di saggi storici e per Ananke ha pubblicato “Tutankhamon. Immagini e Testi dall’Ultima Dimora”; “La Stele di Rosetta e il Decreto di Menfi”; “Ramesse II e gli Hittiti. La Battaglia di Qadesh, il Trattato di pace e i matrimoni interdinastici”.

E’ socio fondatore e membro del Consiglio di Amministrazione dell’Associazione Egittologia.net. Ha ideato e dirige in qualità di Direttore Editoriale, il magazine online “MA – MediterraneoAntico”, che raccoglie articoli sull’antico Egitto e sull’archeologia del Mediterraneo. Ha ideato e dirige un progetto che prevede la pubblicazione integrale di alcuni templi dell’antico Egitto. Attualmente, dopo aver effettuato rilevazioni in loco, sta lavorando a una pubblicazione relativa Tempio di Dendera.

E’ membro effettivo del “Min Project”, lo scavo della Missione Archeologica Canario-Toscana presso la Valle dei Nobili a Sheik abd el-Gurna, West Bank, Luxor. Compie regolarmente viaggi in Egitto, sia per svolgere ricerche personali, sia per accompagnare gruppi di persone interessate a tour archeologici, che prevedono la visita di siti di grande interesse storico, ma generalmente trascurati dai grandi tour operator. Svolge regolarmente attività di divulgazione presso circoli culturali e scuole di ogni ordine e grado, proponendo conferenze arricchite da un corposo materiale fotografico, frutto di un’intensa attività di fotografo che si è svolta in Egitto e presso i maggiori musei d’Europa.

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