Estratto da MediterraneoAntico Magazine, Anno 2015, Numero 1

Una piramide a Roma

La Piramide di Caio Cestio a Roma, al centro del piazzale di Porta San Paolo, è divenuta (purtroppo per i più) un semplice spartitraffico nel caos incessante del transito cittadino (foto 1). La Piramide si trova tra il Cimitero Acattolico e Porta San Paolo (sede del museo) (foto 2) ed è uno dei monumenti più caratteristici di Roma. Tuttavia, sebbene ricordi le piramidi egizie, è un monumento costruito completamente seguendo le tecniche costruttive romane. Cioè i materiali, le dimensioni e la struttura sono tipiche dell’edilizia romana e al centro del monumento si trova un’unica camera sepolcrale.

La Piramide di Caio Cestio è l’unica costruzione avente questa forma sopravvissuta fino ad oggi, perché infatti non fu la sola opera piramidale realizzata a Roma nell’antichità. Dopo le vicende di Cesare, Marco Antonio e Cleopatra e, soprattutto, dopo l’annessione dell’Egitto all’impero romano nel 31 a.C., quel mondo orientale sviluppò l’esplosione di una vera e propria moda che era imitata e ammirata perché affascinava. Fu così che a Roma divennero “di tendenza” molte espressioni caratteristiche egizie, sia nello stile di vita, nella religione e nell’arte, e la forma piramidale fu tra i primi elementi esotici ad arrivare, tanto che qui a Roma ne furono realizzate almeno quattro di piramidi. Però, ciò che permise alla Piramide di Caio Cestio di sopravvivere fino ad oggi, sono state le mura erette nel 275 d.C. da Aureliano a difesa della città.

Con la necessità di una più funzionale cinta muraria difensiva per Roma, gli architetti inglobarono al suo interno moltissimi monumenti antichi come l’Anfiteatro Castrense, l’attuale Porta Maggiore, una parte dell’acquedotto e la Piramide di Caio Cestio. Tutto questo per risparmiare tempo, mezzi e materiali (foto 3). Smontare la piramide sarebbe stato troppo difficoltoso, mentre lasciarla inglobata nelle mura avrebbe fornito un’ottima protezione per la città. Quindi si scelse di non destabilizzarne la struttura, evitando di prelevare i preziosi marmi di copertura, per evitare cedimenti e pericolosi crolli della cinta muraria che, qui, costeggiava il bivio che sorgeva all’altezza dell’importante snodo commerciale della Via Ostiense.

A Roma, a partire dalla fine dell’VIII secolo a.C., non si seppellisce più dentro la città; uniche eccezioni potevano essere i bambini, come stabiliva la più antica opera legislativa romana, la Legge delle XII Tavole1 che prescriveva che nessun morto fosse inumato in città. Dunque i cimiteri antichi erano fuori le città o lungo le strade, con le tombe segnalate da monumenti funerari. La Piramide di Caio Cestio venne costruita con un nucleo cementizio rivestito di marmo di Luni (Carrara) e l’epigrafe esterna ci dice il nome del defunto con una sintetica biografia: “Caio Cestio Epulone, figlio di Lucio, della tribù Poblilia, pretore, tribuno della plebe, settemviro preposto ai banchetti sacri”. La carica di Praetor farebbe risalire il personaggio al I secolo a.C., identificandolo con un appartenente alla famiglia che realizzò Ponte Cestio, il ponte che collega tutt’ora Trastevere all’Isola Tiberina. Per la piramide la datazione è riferita ad un ristretto periodo compreso tra la legge contro il lusso nelle tombe, promulgata nel 18 a.C., e la morte di Agrippa nel 12 a.C.

Per la ricchezza che esprime la tipologia di monumento funerario in sé, è stata avanzata l’ipotesi che Caio Cestio fosse un ricco commerciante che operava anche in Asia Minore, oppure un appaltatore delle imposte. E comunque, come ci dice l’epigrafe, Caio Cestio faceva parte del Collegio degli Epuloni, che organizzavano ogni anno il banchetto sacro per celebrare Giove Massimo Capitolino. In particolare, nell’antica Roma le disposizioni testamentarie erano regolate in modo molto rigoroso, dovendo essere eseguite in un periodo ben preciso nel quale l’erede le doveva realizzare altrimenti perdeva l’eredità. E’ così che anche qui sulla piramide di Caio Cestio l’epigrafe ci comunica questo messaggio: entro 330 giorni gli eredi avrebbero dovuto concludere tutti i lavori e le cerimonie inerenti la sepoltura di Caio Cestio, non per riferimenti rituali ma per il prestigio e l’ostentazione di potenza, per mostrare di riuscire ad adempiere ad impegni complessi in un tempo ridotto.

La piramide di Caio Cestio

Foto 4 / (©Francesca Pontani) Le mura Aureliane e la Piramide di Caio Cestio (maggio 2014)

La Piramide di Roma è una piramide in stile egizio, la tomba di Caio Cestio. Si tratta di un edificio costruito in calcestruzzo con una ricopertura di marmo, quello bianco di Luni, e ci mostra quanto sia stato vasto l’impatto della cultura egizia nel mondo romano. Caio Cestio, in particolare, rimasto impressionato dalle piramidi in Egitto, decise di farsene costruire una appositamente, però prendendo come modello non tanto le piramidi della piana di Giza quanto le piramidi nubiane, più slanciate e con una diversa pendenza degli angoli (foto 4). Nel suo testamento Caio Cestio scrisse che la piramide si sarebbe dovuta costruire in 330 giorni, altrimenti tutta la sua eredità sarebbe andata perduta; e gli eredi furono tanto veloci che la piramide sorse addirittura con qualche giorno di anticipo. La piramide venne costruita come sepolcro per un settemviro degli epuloni, cioè il sacerdote che aveva l’incarico di curare i banchetti per gli dei, certamente all’interno del periodo compreso tra il 18 e il 12 a.C., cioè tra l’anno in cui fu promulgata una legge a carattere suntuario (contro l’ostentazione del lusso) che impedì, quindi, di porre all’interno della cella alcuni preziosi arazzi, e l’anno della morte di Marco Agrippa, genero di Augusto, menzionato tra i beneficiari del testamento. In particolare, il testamento è scritto su due basamenti gemelli2 che sorreggevano le statue di bronzo originariamente poste sul lato orientale del sepolcro.

Foto 5 / (©Francesca Pontani) Le due colonne rialzate con il restauro del 1663 (maggio 2014)

La Piramide di Caio Cestio si eleva nell’area a sud dell’antica porta Ostiensis (attuale Porta S.Paolo), all’incrocio con la vecchia via Ostiensis, i cui basoli sono ancora in parte visibili all’interno dell’area che oggi racchiude il monumento. Costruito in età augustea sull’onda delle nuove mode che si andavano affermando a Roma dopo la sconfitta di Antonio e Cleopatra ad Azio (31 a.C.) e la conquista dell’Egitto, i lati nord e sud del monumento finirono per rimanere “imprigionati” all’interno del circuito delle Mura Aureliane, costruite nel 271 d.C. L’area sepolcrale tutta intorno la piramide è delimitata da un recinto quadrangolare in opera quadrata di tufo3, aperto sul lato ovest. È qui, all’interno di questo recinto, che sono stati recuperati diversi elementi che erano stati impiegati per l’arredo esterno del monumento, alcuni dei quali in particolare riscoperti nel corso degli scavi promossi nel biennio 1662-1663 da Papa Alessandro VII Chigi: due colonne con fusto scanalato (foto 5), rialzate nel 1663 in corrispondenza degli spigoli del lato orientato verso ovest, alle quali corrispondevano altre due colonne sul lato orientale; due basi che sostenevano statue bronzee di Caio Cestio e le fondazioni di un triclinio per i banchetti funerari a forma di gamma contrapposte. La base della piramide poggia su fondazioni in opera cementizia e blocchi di travertino, mentre l’alzato, anch’esso in opera cementizia, è interamente rivestito di lastre di marmo lunense. La stanza funeraria è rettangolare ed è oggi raggiungibile attraverso il passaggio che venne aperto nella massicciata di calcestruzzo all’epoca dei restauri di Papa Alessandro VII; è coperta da una volta a botte che risulta foderata da una cortina in opera laterizia decorata con affreschi di III Stile Pompeiano (foto 6). Liste nere e rosse incorniciano i pannelli rettangolari bianchi, all’interno dei quali campeggiano vasi lustrali e figure femminili ritratte in piedi e sedute, tutto questo alternato ad alti candelabri (foto 7).

Nei quattro angoli della volta si possono invece ancora vedere figure di Vittorie alate con corone nelle mani, che in particolare convergono verso il centro del soffitto dove, probabilmente, era stata raffigurata l’apoteosi di Caio Cestio, portato in cielo da un’aquila (foto 8). La pavimentazione della cella, oggi completamente perduta, doveva essere stata in opera spicata, come suggeriscono i resti di laterizi rinvenuti durante recenti restauri.

Un ricco corredo epigrafico

La maggior parte delle informazioni relative la costruzione della piramide e l’identità del suo titolare, le conosciamo grazie al ricco corredo epigrafico del monumento stesso. Il proprietario è stato infatti identificato attraverso le due iscrizioni gemelle incise sulla facciata orientale (verso Piazzale Ostiense) e occidentale (verso il Cimitero Acattolico) del sepolcro:

C(AIUS) CESTIUS, L(UCI) F(ILIUS), POB(LILIA TRIBU) EPULO, PR(AETOR), TR(IBUNUS) PL(EBIS), / VIIVIR EPULONUM: Caio Cestio, figlio di Lucio, detto Epulo della tribù Poblilia, pretore, tribuno della plebe e settemviro del collegio degli Epuloni.

I due testi, che sono identici anche “nell’impaginazione”, esibiscono il nome completo del defunto accompagnato dal patronimico e dalla tribù di appartenenza (Caius Cestius, Luci Filius, Poblilia tribu epulo), ma anche l’elenco delle principali cariche che il defunto aveva ricoperto in vita (praetor, tribunus plebis, viivir epulonum). In particolare questo elenco segue un ordine gerarchico inverso perché inizia con l’ultima (in ordine cronologico) e più importante magistratura, quella di praetor, che Caio Cestio probabilmente rivestì nel 44 a.C.4, e termina con quella di tribunus plebis, che invece ricoprì all’inizio della sua carriera pubblica. La carica sacerdotale di septemvir epulonum (viivir epulonum), vitalizia e rivestita contemporaneamente da sette membri di famiglie di alto rango con il compito di presiedere e curare l’organizzazione dei banchetti rituali (epula) in occasione delle principali feste religiose, invece veniva assunta5 in un momento imprecisabile, al di fuori della rigida e preordinata successione delle cariche civili. Proprio a questa carica collegiale Caio Cestio deve l’appellativo di epulo, che forse venne aggiunto nel binomio prenome-gentilizio allo scopo di evitare equivoci di omonimia, probabilmente con altri personaggi contemporanei appartenenti alla famiglia Cestia. Sul lato orientale della piramide, invece, quello verso Piazzale Ostiense, è presente un’altra iscrizione che ci dice che il monumento venne costruito in 330 giorni, termine che era stato stabilito dallo stesso Caio Cestio nel suo testamento, sottoscritto sotto la direzione di L. Pontius Mela, erede del testatore, assistito da Pothus, un liberto della famiglia Cestia:

OPUS APSOLUTUM EX TESTAMENTO DIEBUS CCCXXX, / ARBITRATU / [L(UCI)] PONTI, P(UBLI) F(ILI), CLA(UDIA TRIBU), MELAE HEREDIS, ET POTHI L(IBERTI): Opera completata, come da testamento, in 330 giorni, per disposizione di Lucio Ponzio, figlio di Publio, della tribù Claudia, erede di Mela, e di Potho, liberto.

Una terza iscrizione è il testo ripetuto, con diversa impaginazione, sulle due basi di statue6 rinvenute, negli anni 1662-1663, in prossimità della facciata orientale e occidentale della piramide, che soprattutto ci fornisce importanti indizi per circoscrivere i tempi della costruzione del monumento tra il 18 a.C. e il 12 a.C.:

M(ARCUS) VALERIUS MESSALLA CORVINUS, / P(UBLIUS) RUTILIUS LUPUS, L(UCIUS) IUNIUS SILANUS, / L(UCIUS) PONTIUS MELA, D(ECIMUS) MARIUS / NIGER, HEREDES C(AI) CESTI, ET / L(UCIUS) CESTIUS, QUAE EX PARTE AD / EUM FRATRIS HEREDITAS, / M(ARCI) AGRIPPAE MUNERE, PER/VENIT, EX EA PECUNIA, QUAM / PRO SUIS PARTIBUS RECEPER(UNT) / EX VENDITIONE ATTALICOR(UM), / QUAE EIS PER EDICTUM / AEDILIS IN SEPULCRUM / C(AI) CESTI EX TESTAMENTO / EIUS INFERRE NON LICUIT.

Il primo tassello cronologico che si ricava da questa iscrizione è che gli eredi di Caio Cestio commissionarono e curarono l’erezione di due statue bronzee impiegando la somma di denaro proveniente dalla vendita degli Attalica7, cioè i preziosi arazzi intessuti d’oro che erano stati introdotti nell’uso funerario da Attalo III, re di Pergamo. Caio Cestio infatti aveva richiesto nel testamento di riporre nel sepolcro vesti e arazzi di gran pregio, ma questo desiderio si rivelò irrealizzabile a causa dei provvedimenti suntuari, cosicché le stoffe furono vendute e con il ricavato vennero fatte fondere due statue di bronzo dorato con cui venne ornato il lato orientale della piramide. Parti di queste furono rinvenute durante gli scavi seicenteschi. Tale vendita avvenne quindi dopo il 18 a.C., anno in cui fu promulgata la lex Iulia sumptuaria contro l’ostentazione del lusso nelle cerimonie pubbliche, comprese quelle funebri, da porre verosimilmente in relazione con l’editto dell’edile nominato nell’iscrizione8, che impedì agli eredi di ottemperare alle disposizioni testamentarie del defunto9. Non era più ammesso lo sfoggio del lusso, il corredo non si poteva più comporre di oggetti preziosi, eccettuati i fili d’oro che legavano i denti del defunto. Il secondo termine cronologico, dentro il quale i lavori per la costruzione della piramide devono essersi conclusi è invece il 12 a.C., anno della morte di Marco Agrippa, che figura tra i beneficiari del testamento10.

Dentro la piramide di Roma

Foto 9 (©Francesca Pontani) Ingresso realizzato con i lavori di restauro di Papa Alessandro VII

La Piramide di Caio Cestio è costituita da un imponente nucleo in opera cementizia, all’interno del quale venne realizzata la camera sepolcrale, raggiungibile tramite un breve diverticolo della via Ostiense che conduceva ad un recinto, delimitato da un muro in opera quadrata in tufo. Ai quattro angoli della piramide erano disposte altrettante colonne poste su alte basi, due di queste vennero ricollocate nella posizione originaria in seguito al loro rinvenimento nel corso degli scavi del 1656. La piramide ha una base quadrata di 29,50 metri (100 piedi romani) ed è alta 36,40 metri (125 piedi romani). La struttura poggia sopra una fondazione di travertino ed è costruita in opus caementicium con paramento in laterizio, ricoperto da blocchi di marmo, materiale preziosissimo utilizzato in molti monumenti dell’antica Roma. Le pietre tagliate e sagomate sulla stessa via Mormorata11 importante scalo litico, provenivano via mare dalle antiche e rinomate cave di Luni, in Toscana. Una volta giunte nel porto di Ostia venivano fatte risalire attraverso il Tevere fino in prossimità del luogo dove oggi la piramide sorge. Una lastra “a scomparsa” sigillava l’accesso al sepolcro. Un corridoio rivestito di mattoni conduce dal lato nord-occidentale dentro alla camera sepolcrale con pareti affrescate, percorribile attraverso il cunicolo comunicante con una porta che venne aperta nel corso del restauro seicentesco di Papa Alessandro VII, sul lato occidentale (foto 9).

Foto 10 / (©Francesca Pontani) Dettaglio dei candelabri dipinti

La cella interna, coperta con volta a botte, presenta le dimensioni di 4 per 5,85 metri. Le pareti e la volta della camera sepolcrale sono dipinte in bianco, con decorazioni del III stile Pompeiano. In particolare lo schema decorativo è costituito da grandi pannelli rettangolari con figure femminili alternate a vasi lustrali, separati tra loro da strette partiture rettangolari con candelabri (foto 10). Anche la volta a botte presenta una decorazione a sottili linee su fondo bianco con, ai quattro angoli, immagini di Vittorie alate recanti in mano una corona ed un nastro. In particolare, il centro della volta presenta una doppia riquadratura, ma la pittura che doveva decorarla nella parte centrale, probabilmente una scena di apoteosi del defunto, venne distrutta nel Medioevo, nel tentativo di cercare ulteriori ambienti nascosti nell’intradosso della volta stessa (foto 11). Per quanto riguarda il corredo funebre di Caio Cestio questo sparì, forse, durante il medioevo, quando una banda di ladri penetrò all’interno del sepolcro per depredarlo.

All’interno della sala sepolcrale è infatti possibile osservare il condotto scavato per raggiungerla: i tombaroli si calarono da questa apertura scolpendo addirittura in tutta tranquillità dei veri e propri gradini per scendere più agevolmente dentro (foto 12). Probabilmente non trovarono nulla, o non abbastanza, in quanto, pensando ci fossero altre stanze ricche di preziosi gioielli, tentarono di trovarne una scalpellando via gran parte delle pareti dove si ipotizza fosse raffigurato il defunto Caio Cestio: cercarono “stanze segrete” sia in fondo alla sala che sul soffitto dipinto. Non si ha alcuna indicazione circa il tipo di sepoltura di Cestio e il punto esatto in cui fosse collocata. L’urna che conteneva le ceneri non è stata mai trovata, sottratta probabilmente durante gli scassi praticati già in epoca medievale da parte di cercatori di tesori.

Le sorti della Piramide

La Piramide di Caio Cestio è dunque ancora oggi inglobata nelle Mura Aureliane, in laterizio, alte 6 metri e profonde più di 3 metri, costruite tra il 272 e il 279 d.C., e molto probabilmente deve la sua sopravvivenza proprio grazie a questa sua collocazione. I Mirabilia Urbis Romae, la famosa descrizione di Roma composta intorno agli anni 1140-1143, associano alla Piramide Cestia diversi miti, primo fra tutti la sua identificazione come “Meta Remi”, cioè la sepoltura di Remo, il fratello gemello di Romolo. Nonostante la chiarezza delle iscrizioni (la sua originaria funzione sepolcrale non fu mai messa in dubbio), la Piramide di Caio Cestio rimase a lungo un oggetto misterioso per i più, tanto che fino al XVII secolo le leggende popolari la credettero in relazione con la fondazione di Roma, e anche tra le persone più colte la decifrazione delle iscrizioni creò dei problemi e, fino al restauro di Alessandro VII, rimase alquanto dubbia. Nell’età moderna le prime raffigurazioni della Piramide di Caio Cestio sono legate alla nuova mentalità prodotta dall’umanesimo, ossia la volontà di recupero dell’antico nel suo valore originario, secondo un procedimento filologico che si attua a partire dai resti del passato presenti a Roma. Dal XV secolo iniziano ad apparire disegni e stampe della Piramide Cestia che ne studiano approfonditamente l’aspetto (foto 13). Da queste immagini possiamo ricostruire la fisionomia del monumento così come appariva agli occhi dei testimoni dell’epoca: parzialmente interrata e quindi più bassa, priva di aperture, “sbeccata” in più punti e invasa dalla vegetazione che, crescendo tra gli interstizi, avvolgeva l’edificio, con lastre di marmo divelte che giacevano abbandonate ai piedi dell’edificio, mentre altre erano in equilibrio precario (foto 14).

Nel corso del suo pontificato Alessandro VII diede vita ad una serie di progetti e realizzazioni in campo edilizio che, avvalendosi dell’opera di Gian Lorenzo Bernini, modificarono il volto della città di Roma. Sulla linea di un programma politico che voleva ridare autorità morale e prestigio culturale alla capitale del mondo cattolico, prese vita questa ristrutturazione urbana che portò anche al restauro del Pantheon e, nel 1656, al restauro della piramide i cui lavori terminarono nel 1663. Nello sgomberare lo strato di terreno che ricopriva la base, vennero alla luce due colonne, che furono ricollocate ai lati del sepolcro, come è ancora oggi.

Nel 1663 iscrizioni del pontefice sottolineavano il degrado della tomba indicato come segno della passata gloria pagana, mentre il restauro veniva esaltato come atto di intercessione della Chiesa per la protezione e la salvezza delle anime delle vittime della peste, volendo in questo modo chiaramente rovesciare il significato simbolico del rudere, da pagano a cristiano. La proposta di restauro più eclatante fu quella di Fioravante Martinelli che propose la religiosa trasmutatione, ossia propose l’adattamento della piramide a cappella in onore dei Santi Pietro e Paolo. Evidentemente il papa sentiva il bisogno di giustificare le spese profuse per restaurare un rudere pagano con valide motivazioni, e quindi era necessaria la “purificazione” del monumento da significati pagani. Il progetto di Martinelli però non venne mai realizzato e, dopo il restauro e lo scavo del terreno circostante fino al livello originario, fu praticata un’apertura, una piccola porta che metteva in comunicazione l’esterno con la stanza interna (foto 9). Così la piramide entrava nell’iconografia cristiana per diventare simbolo di morte e al tempo stesso di eternità.

1 milione di euro donati da un imprenditore giapponese per restaurare la Piramide

Foto 15 / (da roma.corriere.it) Yuzo Yagi, l’imprenditore giapponese il cui finanziamento ha permesso il restauro della piramidi.

Nel 2013 Yuzo Yagi (foto 15), 70 anni, titolare della Tsusho Ltd, marchio di esportazione di tessili italiani in Giappone, è venuto a Roma e ha “scoperto” la Piramide di Caio Cestio. Viste le condizioni in cui stava, decise di sponsorizzarne il restauro donando un milione di euro e firmando un contratto con la Soprintendenza Speciale Archeologica di Roma. L’intervento ora è quasi concluso e non ha comportato solo il recupero dei marmi (foto 16) e delle superfici esterne del monumento ma, ha avuto anche il compito di sondarne l’interno: da anni, infatti, proseguono indagini attraverso radar e ultrasuoni che hanno evidenziato la presenza di zone cave che potrebbero celare strutture mai investigate, forse proprio quelle stanze in cui Caio Cestio, nei primi anni del I secolo d.C., organizzava i banchetti in onore degli dei. La bellezza e l’imponente semplicità della Piramide di Caio Cestio hanno fatto sì che altri, giunti in Italia da fuori, abbiano deciso di intervenire per salvare una parte del nostro patrimonio storico.

Senza avere nulla in cambio (a quanto so), senza diritti di utilizzo dell’immagine del monumento, ma semplicemente finanziando il recupero di un pezzetto del nostro Paese (di cui la maggior parte di chi vive in Italia non è più in grado di percepire l’eccezionalità e la bellezza) (foto 17), una persona giunta da lontano ha avuto la sensibilità di ridare vita a quello che tutto il mondo ci invidia (sembra retorica ma è così), tanto che l’unico desiderio di Yuzo Yagi “è di lasciare un segno nel nostro paese”, e “a fronte della sua donazione ha chiesto una targa commemorativa” vicino (e non sopra) la piramide.

1) Attribuita dalla tradizione al 450-451 a.C.
2) Oggi ai musei Capitolini
3) 58,26 metri 4) Probabilmente lo stesso menzionato da Cicerone che ricoprì la carica nel 44 a.C.
5) Come accadeva per tutti gli incarichi di natura religiosa
6) cm 84 x 79 x 44; 79 x 72 x 51
7) “ex ea pecuniam, quam pro suis partibus receperunt ex venditione attalicorum”
8) “per edictum aedilis”
9) “eius inferre non licuit”
10) “Marci Agrippae munere”
11) nel quartiere di Roma Testaccio, dove erano presenti enormi depositi di marmi e di pietre che a Roma giungevano attraverso il Tevere o via terra e qui ammassati in attesa di essere venduti o lavorati

Bibliografia

G.L. Gregori – M. Mattei (cur.), Supplementa Italica, Imagines. Roma (CIL, VI) 1. Musei Capitolini, Roma 1999, nr. 155.
C. Krause, Sepulcrum: C. Cestius, in E.M. Steinby (cur.), Lex. Top. Urb. Rom., IV, Roma 1999, p. 168 (ivi bibliografia precedente).
G. Di Giacomo, La Piramide di Caio Cestio, in R. Lucignani (cur.), Testaccio, Roma 2009, pp. 212-217.

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