In un mondo dell’editoria specializzato sulla storia dell’antica Roma irrimediabilmente saturo a causa di una continua immissione sul mercato di volumi spesso tutto fuorché originali o su temi oramai trattati esaustivamente, Massimo Polidoro produce un’opera che si propone di superare questi limiti. La scelta dell’argomento, il Colosseo, emblema della Città Eterna e simulacro dell’antica gloria di Roma, Domina gentium, signora dei popoli, è particolarmente felice, dal momento che il tema ad oggi è stato per lo più oggetto di mere pubblicazioni specialistiche, mentre il racconto popolare della sua storia è lasciato a documentaristi e a guide turistiche tanto appassionate quanto boccheggianti nella canicola romana.
Raffinato conoscitore dei meccanismi, quanto delle dinamiche recondite, della divulgazione, Polidoro fiuta questo vacuum culturale e lo occupa temerariamente, quasi manu militari. Raccontare al grande pubblico la storia del più grande anfiteatro del mondo antico, dei suoi costruttori, dei gladiatori e delle fiere che vi persero la vita nel corso dei secoli, della complessa tecnica di controllo delle masse esercitata dalle classi dirigenti romane (in breve, riassumibile nella celeberrima espressione panem et circenses) e della evoluzione storica di questa ciclopica costruzione, districandosi in un labirinto di letteratura accademica specializzata sul tema, è impresa a dir poco erculea. Il rischio di cadere nella trappola del gusto del tecnicismo o di perdere l’equilibrio tra le parti della storia che si vuole raccontare è dietro l’angolo. Per ovviare a questo problema, Polidoro sceglie una formula comunicativa tanto inconsueta quanto efficace, ammantando l’opera a guisa di romanzo storico, in cui un gruppo di viaggiatori del tempo ha la possibilità di ripercorrere la storia del Colosseo fin dall’epoca del suo massimo splendore sotto la dinastia antonina sino alla sua ultima metamorfosi in sito archeologico, a brani puramente narrativi che permettono di ricreare l’atmosfera e la vita delle diverse epoche, se ne alternano altri di natura epidittica, per un totale di 33 agili capitoli (371 pagine inclusi gli indici ed una concisa prefazione del romanziere Valerio M. Manfredi), corredati di un ricchissimo inserto iconografico e fotografico, di accattivanti box di approfondimento ed appendici cronologiche e sulle fonti.
La lingua impiegata dall’autore è di facile fruibilità, mentre lo stile è duplice: nei primi capitoli rispecchia molto la tecnica divulgativa della scuola angeliana (l’autore da decenni collabora con i programmi SuperQuark), quasi volesse rassicurare l’ansioso lettore italiano medio che, nonostante la mole dell’opera, la maniera espositiva sarà la medesima cui questi è più avvezzo. Con il procedere dei capitoli, tuttavia, lo stile vira verso una divulgazione più affine a quella britannica, concisa nella presentazione dei fatti e concentrata sulla formulazione di chiavi interpretative di carattere generale (vd. la dissertazione sull’ardore del martirio da parte dei primi cristiani o il tema della corruzione degli animi alla vista della violenza).
Colpisce positivamente – in particolare chi, come il sottoscritto, studia la paleopatologia e la storia della medicina – che l’autore incorpori nella propria narrazione con grande disinvoltura ed eleganza i dati biomedici ed antropologici ricavati dallo studio dei resti mortali dei gladiatori, in particolare quelli rinvenuti ad Efeso in Turchia, ricavando dall’analisi scientifica delle ferite indicazioni fondamentali sullo stile di combattimento e sulla dinamica della morte di quei guerrieri. Particolarmente interessanti anche gli excursus sulla fauna antica catturata e messa a morte, alla stregua degli schiavi umani, sul palcoscenico di quella truculenta arena, e sulla ricchissima flora sviluppatasi sulle rovine del Colosseo secoli dopo la caduta di Roma.
Abbondante di aneddotti, curiosità e misteri che connettono venti secoli di storia e protagonisti della stessa, L’Avventura del Colosseo si qualifica come opera adatta ad un pubblico vasto e variegato, dai semplici curiosi in cerca di una lettura piacevole sotto l’ombrellone, agli aficionados della storia di Roma bramosi di reperire un volume enciclopedico che sazi la loro curiosità sul Colosseo e sulla vita dei gladiatori, per finire con i lettori accademici, come me, che troveranno spunti di riflessione e stimoli per ulteriori approfondimenti.
Come ricorda Polidoro, il pollice rivolto verso l’altro od il basso dell’imperatore che vediamo nel film Il Gladiatore di Ridley Scott (2000) è forse solo il prodotto della nostra maldestra interpretazione delle fonti: il pollice o era in estensione all’esterno del pugno a simboleggiare la spada sguainata, ossia la condanna a morte, o veniva premuto dentro alla mano, a significare la spada infoderata, ovverosia la vita concessa.
Ebbene, concedendo al critico letterario per un istante i poteri a suo tempo propri dell’impresario dei giochi gladiatorii, rimanga infoderato il calamo e che questo libro possa vivere e possa battersi con valore nell’arena scrittoria guadagnandosi il posto che si merita, un po’ come immagina Jonathan Swift nell’indimenticabile, La Battaglia dei Libri (1697).
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