Di Giorgio Franchetti ho già avuto il piacere di recensire un libro sul cibo nell’antichità. Era il 2017 e me lo consegnò a mano ad una sua conferenza di presentazione nello splendido scenario della Villa Romana del Varignano, in provincia della Spezia. Era presente anche Cristina Conte e, soprattutto, il prodotto delle sue ricerche sul cibo antico, che i presenti hanno potuto assaggiare o – per meglio dire – degustare.
Il titolo di quel libro era “A tavola con gli antichi romani. Storia, aneddoti e tante ricette per scoprire come mangiavano i nostri antenati culturali”, la cui recensione potete leggere qui: https://mediterraneoantico.it/articoli/libri-archeologia-classica/a-tavola-con-gli-antichi-romani/
Tuttavia, pur trovandomi di fronte a un libro realizzato molto bene e del quale consiglio ancora la lettura, con un corposo e puntuale approfondimento storico e più di cento ricette presentate nel dettaglio con fotografie di qualità, sapevo che l’argomento del cibo nell’antica Roma poteva contare su una gran quantità di fonti scritte.
Ricordiamone brevemente solo alcune: Seneca, Plinio il Vecchio e Plinio il Giovane, Orazio e poi Celio, il cuoco di Marco Gavio Apicio, che trovò il tempo per redigere ben dieci libri – il celebre De Re coquinaria – basandosi sulle ricette che venivano cucinate durante le fastose cene organizzate dal suo datore di lavoro.
Ma quando ho realizzato che il nuovo lavoro editoriale del duo Franchetti-Conti trattava del medesimo argomento declinato però al mondo etrusco, la domanda che mi è sorta spontanea è stata: ma le fonti?
Il grande popolo etrusco nonostante le cospicue evidenze archeologiche e la sua affascinante storia, non ha lasciato testi di letteratura, religiosi, di costume o trattati su argomenti specifici. Alcuni indizi sottendono che materiale di questo genere doveva esistere e reperti di eccezionale valore sembrerebbero confermarlo, ma non esiste nulla – tra le circa 13.000 iscrizioni etrusche che ad oggi ci sono pervenute e che si esauriscono per lo più nello spazio di una frase all’interno di un contesto funerario – qualcosa di simile a un ricettario.
E quindi?
E quindi Giorgio Franchetti, assieme all’archeocuoca Cristina Conte, ha dato una risposta più che esauriente alla domanda che mi è sorta spontanea, ma della quale non vi dirò nulla! Del resto sarebbe un clamoroso spoiler e il mio intento è quello di incuriosirvi e di invitarvi alla lettura del libro.
Impreziosito dalla prefazione di Stephan Steingräber, professore associato dell’Università degli Studi Roma Tre – Dipartimento Studi Umanistici ed autore di oltre 200 pubblicazioni sui temi dell’urbanistica, dell’architettura e della pittura funeraria etrusca e dell’Italia Meridionale/Magna Grecia, lo studio di Giorgio Franchetti si snoda tra le strade che percorrono i territori che furono etruschi, utilizzando come fossile guida tutto ciò che può essere ricondotto all’ambito culinario. Laddove non parlano le fonti scritte si attinge alla cultura materiale e all’arte, soprattutto quella funeraria, che nelle raffigurazioni dei banchetti offre preziose informazioni.
Nel viaggio che questo libro ci proporne troviamo dei focus di estremo interesse che se pur funzionali all’argomento trattato, riverberano i costumi e le usanze degli etruschi, oltre a raccontarci le rotte dei commerci, che disegnavano nel Mediterraneo un fitto reticolo di vie d’acqua percorse da popoli e genti che portavano con sé la propria cultura, le proprie idee, i propri costumi.
Ed eccoci immersi in una lettura ricca di sapori e profumi, che ci racconta della donna etrusca, dei servizi da tavola che gli archeologi hanno potuto vedere nelle pitture parietali e ritrovare nei corredi funerari. E poi il vino e l’olio, da sempre ricchezze del bacino del Mediterraneo e un interessantissimo capitolo, l’ultimo, che parla di rievocazione…culinaria.
L’autore, infatti, nel suo peregrinare per terre etrusche ha incontrato una persona che si occupa proprio di questo particolare aspetto della rievocazione storica, Gian Battista Fiorani, che ha ricostruito l’angolo di una casa etrusca dedicato alla cottura dei cibi, documentandosi approfonditamente e prendendo spunto dai reperti custoditi presso il Museo Civico Archeologico di Monterenzio. Come sempre non aggiungo altro invitandovi alla lettura del libro.
Parte integrante del libro e senza dubbio catalizzatrice della curiosità dei lettori è la sezione dedicata alle “ricette all’etrusca”. E già nel titolo si nasconde parte della risposta alla domanda che mi sono posto all’inizio di questa recensione: non dunque “ricette etrusche”, ma all’etrusca.
Il lavoro di Cristina si è svolto da una parte basandosi sulla grande esperienza di archeocuoca acquisita in anni di sperimentazione che le ha consentito di prendere dimestichezza con il cibo nell’antichità, dall’altra attingendo dal proprio estro culinario lasciato libero dall’assenza di fonti scritte, ma rigorosamente ancorato ai binari della veridicità storica.
Il risultato tangibile di questo studio è una serie di gustosissime ricette che tutti noi possiamo riprodurre nelle cucine delle nostre case, immaginando di avere come graditi commensali una famiglia etrusca, ma consapevoli che quello che stiamo preparando per i nostri ospiti non è un ricetta etrusca, ma una ricetta all’etrusca.
“A tavola con gli etruschi” può essere considerato il naturale prosieguo di “A tavola con gli antichi romani” e insieme costituiscono un unico e valido strumento per conoscere la storia del cibo in quei territori dove la civiltà etrusca e quella romana si sono incontrate, scontrate e permeate. E non è solo un esercizio di gusto o una curiosità di costume, perché attorno al cibo si è sviluppato un ricco e articolato mercato che ha messo in comunicazione le sponde del Mediterraneo e andando oltre, si sono sviluppati riti e miti, arte e letteratura.