Scheda del libro
Titolo: Lo Scriba e il Faraone
Autrice: Annamaria Zizza
Casa editrice: Algra Editore
Pagine: 271
Prezzo: 17 €
La scrittura non ha bisogno delle leggi della fisica. Si alimenta invece di ciò che non ha regole e che, proprio per questo, è concretamente astratto.
Ben lo sapevano gli antichi egizi che chiamavano “parole del dio” il loro complesso e affascinante sistema di scrittura, “tesori per il rimedio dell’anima” le biblioteche e “case della vita” i luoghi dove – tra le altre numerose attività – venivano istruiti i futuri funzionari da immettere nel complesso apparato amministrativo egizio.
Ed è proprio nell’assenza delle perniciose pastoie che vincolano il tempo e lo spazio che si muove il romanzo “Lo scriba e il Faraone”, se pur ancorato al rigore dello storicamente plausibile quando l’autrice crea – e della più rigorosa ricerca quando costruisce l’ossatura della storia.
I personaggi sono noti, fin troppo, anche al di fuori del mondo egittologico: il sovrano fanciullo e lo scopritore della sua tomba. È necessario che ne scriva i nomi?
Accanto a loro altre presenze note che nel corso del tempo hanno rivestito i propri ruoli con sfumature diverse in una miriade di pubblicazioni di ogni tipo, nel difficile tentativo di ricostruire e raccontare un periodo storico durato meno di un ventennio, ma da sempre al centro dell’interesse di molti studiosi e appassionati di antico Egitto.
Del resto Akhenaton pare irrompere nell’apparente quiete della storia egizia con un tackle scivolato impossibile da evitare, oggetto di una damnatio memoriae che ha finito per amplificarne l’immagine ammantando di un immeritato – o quanto meno eccessivo – alone mistico il suo regno e i pochi anni successivi alla sua morte.
È quindi un filone esaurito quello che attinge dal periodo amarniano? E uno degli eventi più noti del Novecento, la scoperta della tomba di Tutankhamon e del suo strabiliante tesoro da parte di Howard Carter, ha già raccontato tutto?
In realtà non è “cosa”, ma è “come”. Non esistono filoni esauriti perché la scrittura è libera dalle leggi della fisica, lo abbiamo già detto, e le parole vivono nella magia delle cose nuove, come note vergate sulle linee di un pentagramma in una musica sempre diversa.
“Lo Scriba e il Faraone” alterna le sue vicende tra le calde sabbie dell’Egitto faraonico e le ferventi attività archeologiche che hanno interessato l’Egitto nel corso del Novecento, con una piacevolissima prosa.
Annamaria Zizza collabora con MediterraneoAntico da molto tempo e di certo non mi stupisce ritrovare in questa sua opera prima l’armonia dello scriver bene, ma c’è di più.
Il racconto non cede mai, corre in avanti rapido anche quando si muove in doppio senso di circolazione tra l’epoca di Howard e quella di re Tut. I personaggi li senti accanto, vicini, con le tensioni emotive che li accompagnano e li rendono una presenza percepita, di cui puoi udirne il respiro e distinguerne la voce sommessa in un sussurro, amplificata dalle ampie volumetrie del palazzo, mescolata ai rumori della città.
In genere protagonisti forzati di complotti di vario genere o descritti attraverso esiti di complessi esami diagnostici volti alla morbosa ricerca di malattie e parentele, finalmente i personaggi di quel particolare periodo storico prendono vita e si riscattano dal luogo comune. E forse è proprio questo il grande merito di Annamaria. Leggendo “Lo Scriba e il Faraone” ci si muove nel tempo, tra le emozioni di uomini antichi, nella vita quotidiana di una civiltà millenaria e nella composita società di quel tempo, dove il verum è trascinato dalla fabula e dove la fabula è saldamente ancorato al verum.
Non entrerò nel merito della trama perché farei un torto al lettore che – ne sono certo – uscirà dalla lettura di questo avvincente romanzo arricchito di nuovi contenuti storici e meravigliato per lo stupore che una grande civiltà dal passato può ancora offrire. A merito dell’autrice.