Nella cornice dell’edificio storico del Buon Pastore a Sapri (SA) ieri, 5 agosto, è stata inaugurata, alla presenza delle autorità cittadine la mostra dedicata alla Magia dei Grandi Miti d’Amore. Sono esposte gratuitamente al pubblico più di cinquanta opere tra dipinti e sculture provenienti dalla collezione privata del Senatore Francesco Castiello.
Affascinante il percorso che accompagna lo spettatore e lo rende partecipe dei racconti della grecità e romanità legati alle storie d’amore tra mortali e divinità, con uno sguardo in particolare a quelle tramandate dalle Metamorfosi. Le Metamorfosi sono un poema epico-mitologico in quindici libri composto da Publio Ovidio Nasone (43 a.C.-17 d.C.), uno dei maggiori esponenti della letteratura latina, caduto in disgrazia agli occhi di Augusto e per questo esiliato dall’imperatore a Tomis (attuale Costanza), colonia fondata dai greci sul Mar Nero.
Nel percorso espositivo si incontrano diversi personaggi, connessi tra di loro non solo dall’amore, ma anche dalla passione cieca, dall’ardore, dalla tragedia, dall’immortalità e dalla vendetta. I cosiddetti miti d’amore della tradizione classica, infatti, nascondono al loro interno ogni sfaccettatura dell’animo umano. Se ne riportano alcuni.
Il mito di Borea e Orizia (Metamorfosi VI, 675-701), è rappresentato in mostra tramite la scultura prodotta nella scuola di Louis Simon Boizot (1743-1809). Borea, personificazione del Vento del Nord, si invaghì della principessa ateniese Orizia, figlia del sovrano Eretteo. Poiché venne rifiutato, rapì la fanciulla che stava danzando sulle rive del fiume Ilisso. Dall’unione nacquero due gemelli, Calaide e Zete, che portano il nome di Boreadi. Orizia è identificata con la brezza fresca che segue il freddo vento del nord.
Il mito di Leda e il cigno (Metamorfosi VI), che ha avuto particolare risonanza negli ultimi anni grazie alla scoperta dell’omonima domus di Pompei (Regio V, 6), è rappresentato in mostra tramite il dipinto di Paolo de Matteis (in copia, originale in prestito all’esibizione “Sulla Tela e sulla Carta. Dipinti e documenti antichi raccontano la Napoli Barocca”). Opera della fine del XVII secolo, questa vede il momento dell’amplesso tra Leda e il cigno. Il mito ci racconta di Leda, regina di Sparta e sposa di Tindaro, della quale Zeus si invaghì. Tramutatosi in cigno, si presentò alla regina sulle rive del fiume Eurota e generò con la mortale prole famosa: Elena, rapita da Paride e motivo dello scoppio della guerra di Troia; Clitemnestra, regina di Micene, sposa e omicida del sovrano Agamennone; Castore e Polluce, i due gemelli conosciuti anche come Dioscuri. Un’altra versione del mito attribuisce a Zeus la paternità di Elena e Polluce, mentre Clitemnestra e Castore al mortale Tindaro.
Altra opera di de Matteis (1662-1728) è Pan e Siringa (Metamorfosi VI, 689-712). Nel dipinto sono ritratti gli elementi della fuga della ninfa Siringa. Per sfuggire ad un Pan infatuato, Siringa corse lungo le sponde del fiume Ladone. Invocate le Nàiadi, Siringa fu tramutata in canne che, mosse dal vento, emanavano un melodioso suono. Pan tagliò le canne, usò la cera e realizzò il suo famoso flauto al quale diede il nome di siringa.
Il Trionfo di Galatea, illustrato in un dipinto del 1700 della bottega di Sebastiano Ricci, rappresenta la nereide su un cavallo marino. Il mito (Metamorfosi XIII, 735-897) racconta di Galatea e di Aci, figlio di Pan e di una ninfa, innamorati e divisi dalla furia del ciclope Polifemo, innamorato e rifiutato dalla ninfa. Polifemo scaglia un masso e uccide Aci. Questi viene tramutato da Zeus, a seguito delle lacrime di Galatea, in un fiume di colore rossastro per la presenza di ossidi ferrosi, che rimanda al sangue di Aci. La sorgente è chiamata, ancora oggi, in siciliano “ ’u sangu di Jaci”. Secondo un’altra tradizione, la stessa Galatea diede ad Aci la natura di ninfa facendolo divenire una sorgiva dalle acque cristalline.
In scultura bronzea del XX secolo, opera di un seguace del fiammingo Giambologna (Jean de Boulogne, 1529-1608) è rappresentato il mito di Deianira e Nesso (Metamorfosi IX, 163-258). Principessa di Calidone e sposa di Eracle, esiliati entrambi dalla terra natia di lei, dovettero attraversare il fiume Eveno. Il traghettatore era il centauro Nesso che, invaghitosi di Deianira, traghettò prima Eracle, tentando poi di violentare la principessa. Chiamato in soccorso il marito, questi scagliò una freccia che colpì a morte Nesso. Mentre moriva, il centauro rivelò a Deianira che, se avesse realizzato una tunica intrisa del suo sangue che sgorgava dalla ferita e dalla punta di freccia, avrebbe avuto un’arma d’amore. Così fece. Quando Eracle si innamorò di Iole, principessa d’Ecalia, Deianira regalò la tunica ad Eracle, pensando di tenere il suo amore per sé. Una volta indossato l’indumento, la pelle di Eracle iniziò a bruciare. Il semidio morì a causa della tunica avvelenata. Deianira si impiccò, e Nesso ebbe la sua vendetta.
Il mito di Selene e Endimione è in mostra con il dipinto di Girolamo Donnini, della prima metà del XVIII secolo. La dea della luna, associata successivamente anche ad Artemide, sebbene quest’ultima non fosse originariamente una dea lunare, era una titanide, figlia di Iperione e Teia, sorella di Elio (Sole) ed Eos (Aurora). Selene si invaghì di Endimione, al quale la tradizione attribuisce il ruolo di cacciatore, pastore o principe. Il mito vuole che Selene, vedendo il mortale che riposava in una grotta nei pressi di Mileto, se ne innamorò perdutamente. Temendo che, con il passare del tempo, Endimione invecchiasse e poi morisse, chiese a Zeus per lui l’eterna giovinezza. Il padre degli dei l’accontentò, “congelando” la vita di Endimione in quello stesso attimo. Ogni notte Selene andava a fargli visita. Da lui ebbe cinquanta figlie.
Concludiamo il nostro piccolo excursus con l’immancabile mito di Amore e Psiche, che forse racchiude in sé il senso della mostra, tra i racconti più noti nel libro XI delle Metamorfosi o L’Asino d’oro di Apuleio (125-170 d.C. circa). Il rimando alla mitologia è qui espresso tramite una doppia scultura bronzea di inizio XX sec. Figlia di re, Psiche era estremamente bella, aveva molti corteggiatori ma nessun pretendente, proprio a causa del suo fascino. Abbigliata come sposa, venne lasciata su una rupe dalla propria famiglia. Il Vento la rapì e la portò in una dimora ricca di marmo e giardini. Psiche aveva una sola condizione: non doveva assolutamente vedere il suo sposo, che andava da lei nelle ore notturne. Spinta dalla famiglia, che era riuscita ad andare a trovare, tese un tranello al consorte accendendo una lampada notturna. Purtroppo, l’olio della lucerna cadde sulla sua mano. Amore si svegliò e abbandonò Psiche. Questa iniziò a vagare per la terra fino a quando Afrodite, invidiosa della sua bellezza, non la fece prigioniera imponendole i lavori più umili. Un giorno la dea la spedì negli Inferi, da Proserpina, a prendere una boccetta con l’acqua di Giovinezza. Psiche non avrebbe dovuto aprire la fiala, ma lo fece, e si addormentò. Amore, che non aveva dimenticato la fanciulla, la trovò, la svegliò e la portò al cospetto di Zeus per chiedere in sposa Psiche. Zeus acconsentì.
È vero, non possiamo fare a meno del mito classico. Esso, infatti, parla costantemente dell’animo umano, dei suoi dissidi, dei suoi amori, delle sue scelte, se anche proiettato in una sfera mitica e divinizzata. Non possiamo fare a meno del mito, e lo sottolineano le battute finali scelte per la presentazione della mostra rimandando alle parole di Nietzsche che, nella sua Nascita della tragedia, scriveva «oggi l’uomo, spogliato del mito, sta come uno che muoia di fame in mezzo a tutti i suoi passati ed è costretto a scavare freneticamente in cerca di radici, magari tra le più remote antichità».
La mostra Magia dei Grandi Miti d’Amore è fruibile tutti i giorni dalle 18 alle 22 fino al 10 settembre.
Fonte dei miti: Enciclopedia della Mitologia, Garzanti 2005 / Wikipedia.